L'Inutilità
della guerra
di Nico Chillemi
È passato un po’
in sordina l’ultimo lavoro di Edoardo Bennato. Un po’
troppo!
“L’uomo occidentale”, titolo dell’album,
ha infatti già quasi un anno di vita, ma se ne è parlato
poco. Forse la parentesi di alcuni dischi meno riusciti degli ultimi
anni (a parte Sbandato, dove si è ricominciato a ritrovare
parte del Bennato di un tempo) ha fatto passare sotto silenzio il
fatto di aver rivisto finalmente un Bennato tornato a schierarsi
alla grande. Con un disco a 360° contro tutte le guerra, da
quelle che coinvolgono i paesi potenti e di cui si parla sempre,
a quelle dimenticate di cui non si parla mai, a quelle di beghe
interne come accade da sempre nella sua Bagnoli, a quelle di terrorismo
con il triste fenomeno dei kamikaze già espresso da Vecchioni,
in cui Edoardo ha la sensibilità di non cadere nel luodo
comune che vuole il fenomeno ristretto al mondo musulmano (“Non
è amore la guerra della fede di chi è pronto a uccidere
e morire per amore di Cristo o di Allah”). Il tutto trovando
anche spazio per i più deboli e gli emarginati, per coloro
che “in un censimento nessuno conterà”.
Mia moglie mi ha regalato “L’uomo occidentale”
circa quattro mesi fa. Prima di allora avevo ascoltato solo un paio
di brani che passavano per radio, troppo poche volte per la verità.
Su Isoradio esattamente, che per un viaggiatore come me è
sicuramente la radio più ascoltata per causa di forza maggiore.
"Stop America" per esempio era il brano più trasmesso
credo, anche perché uscito prima con un singolo. Ne rimanevo
sempre più catturato ("...però, questo è
il Bennato che piace a me!"), quasi a scandire le dolcissime
e fortissime sensazioni che mischiavano i ricordi più antichi,
in cui il vecchio Bennato era immancabilmente in testa ai miei ascolti
insieme a Guccini e De André (Lolli e Bertoli sono arrivati
dopo). Ascoltavo con immenso piacere questo nuovo e ritrovato Bennato
durante uno dei miei tanti viaggi, imprecando per il fatto che ormai
Isoradio per il 99% trasmette musica che non amo. "Meno male
che c'è ancora un piccolo 1%", ogni tanto mi ritrovavo
a dire. E adesso continuo ad ascoltare tutto il disco con assiduità,
scoprendo ogni volta delle sensazioni nuove.
“Stop
America”, come dicevo, è un bel pezzo che apre l’album
e condanna senza mezzi termini lo strapotere statunitense. Ma a
fare grande l’album, a mio avviso, è la collaborazione
con il fratello Eugenio, ben conosciuto a noi di Bielle. Questo
sodalizio si manifesta nel disco in quelli che secondo me sono i
due brani più incisivi, scritti da Eugenio e musicati da
Edoardo che, verso dopo verso, è riuscito a cogliere con
la musica ogni sfumatura di quanto scritto da Eugenio. "A cosa
serve la guerra" l'ho sentita un centinaio di volte, insieme
all'altro brano scritto da loro a quattro mani che è "Non
c'è tempo per pensare". Entrambe le canzoni hanno una
musica quasi perfetta, che Edoardo Bennato non poteva addattare
meglio ai testi. Sembra quasi che abbiano scritto la stessa cosa,
uno a parole e l'altro in musica. Già quando una canzone
ti prende, ti entra dentro in modo forte e deciso ed è destinata
a non uscire più dal tuo cuore e dalla tua testa... pensa
poi quando in questa canzone c'è un concetto già espresso
da Claudio Lolli, che amo in modo particolare, esattamente alla
stessa maniera! Allora il piacere diventa doppio! Sembra stupido,
ma si ripercorre tutta una vita in compagnia di questi personaggi,
ed è bello quello che si prova pensando che la tua musica
non è casuale.
"si perdevano in discorsi accademici
sulla storia e il suo occhio di lince,
per capire se è vero che chi perde ha torto
e che ha sempre ragione chi vince..."
(la fine del cinema muto - claudio lolli)
"la guerra è un caso irrisolto
perché la sua soluzione
è che il più debole ha sempre torto
e il più forte ha sempre ragione"
(a cosa serve la guerra – edoardo/eugenio bennato)
In “Non c’è
tempo per pensare” c’è forte il concetto del
falso patriottismo esteso dai potenti anche all’obbligo morale
di partecipare a guerre sante per salvare in fretta il mondo, con
conseguente sacrosanta ribellione, che sfocia nella diserzione,
dovuta alla consapevolezza dell’inutilità di ogni tipo
di guerra.
Un altro pezzo bellissimo è
“Every day, every night – A Kiev ero un professore”.
Prima questo filosofo vedeva tutto rosso intorno a sè, quello
della società in cui viveva e quello del “suo semaforo”,
ma “ora che ha saltato il fosso è un’altra vita,
un altro rosso”. È proprio vero che il rosso attuale
è migliore del rosso precedente?
“L’uomo occidentale”,
che dà il titolo all’album, non ha bisogno di commenti
perché il titolo riassume esattamente quello che è
il contenuto del testo (“...comporta anche il dovere di pensare
a mantenere senza orgoglio e presunzione l’equilibrio mondiale
e per questo ho il mio daffare perché è un obbligo
morale”).
Bello anche il dialogo con
un ragazzino molto più maturo della sua età, che non
riesce a capire chi “ci detta le istruzioni” e alle
cui perplessità verso il potere “non sa dare torto”
(“coloro che fanno i miracoli a loro specifico uso e consumo”).
Il disco si chiude con due
tributi, uno al grande Renato Carosone (‘O sarracino, rifatta
molto bene alla sua maniera in versione rock) e uno a Elvis Presley
(Love me, che ha voluto lasciare più o meno identica all’originale).
Alla fine di quest’ultimo tributo, dopo circa un minuto e
mezzo di silenzio nella stessa traccia (cosa già sperimentata
in album precedenti), parte un brano in accento lombardo, con quell’erre
moscia alla Guccini tipica delle parlate strette settentrionali,
tratto da una poesia del Manzoni (Marzo 1821). Bella la musica,
belli il ritmo e l’ambientazione che sembra fuori da studi
di registrazione, quasi fatta in casa.
Resta un po' un mistero la
scelta di questa chiusura, con una poesia che, attualmente, parlerebbe
quasi padano. Forse però scegliere di chiudere con il racconto
di una guerra che non si è mai combattuta non è del
tutto casuale.
Edoardo
bennato
"L'uomo occidentale"
WEA Records - 2003
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aggiornamento: 30-05-2004 |