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Piero Ciampi - Piccola biografia acritica

Nel 1976 Piero Ciampi, visibilmente ebbro, rilascia un'intervista a Lina Agostini, del "Radiocorriere TV", e così parla di Livorno e di se stesso:

D - Ce l'ha proprio con tutti...
R - Sono arrabbiato per tre buoni motivi: sono livornese, anarchico e comunista. Le basta?
D - A me sì, ma dovrebbe spiegarmi perchè il fatto d'essere livornese incide tanto sulla sua rabbia.
R - Livorno è un'isola, è la città più difficile per tutti, anche per me. Perchè a Livorno c'è tutta la contraddizione di questo mondo: ci sono gli americani, c'è il più grande Monte di Pietà che si possa immaginare, io ne so qualcosa. C'è anche una delle più numerose comunità ebraiche in Italia. A Livorno sono nati il partito socialista e quello comunista e c'è anche una squadra di calcio che milita in serie C ma che meriterebbe lo scudetto in A. Ecco, io sono il Robinson Crusoe di questa isola che poi è un mondo.
D - Che cosa crede d'avere, come livornese, anarchico e comunista, in più degli altri?
R - Niente, è questo il mio equilibrio, la mia politica. Cercare di non offendere gli altri avendo qualcosa in più dell'uomo più povero di questa terra. La poesia è la sola cosa che ho.
D - Che cosa le manca per sentirsi ricco?
R - Tante cose; una frittata di cipolle, un bicchiere di vino, un caffè caldo e un taxi alla porta. Non ho mai avuto tutte queste cose insieme.

Nel 1970 un giornalista, Antonino Buratti, presenta Piero Ciampi ad un musicista. Costui si chiama Gianni Marchetti, ed è, come lui, un genio cui la fama non ha arriso troppo. Ha scritto le colonne sonore per alcuni film di vario valore ("Muori lentamente...te la godi di più", "L'occhio selvaggio" (con Philippe Leroy e Delia Boccardo), "Il magnifico Tony Carrera" e "Diario di una 18enne-Psicoamore"). Piero gli strimpella al pianoforte "Il mio amore è scalzo" e Marchetti rimane stregato; tra i due nasce un'amicizia ed una collaborazione artistica che sfideranno tutto e tutti. Nasce subito il 45 giri contenente "Barbara non c'è" e "Tu no", forse il capolavoro assoluto di Ciampi. Per caso la canzone viene ascoltata da Charles Aznavour, che lo invita immediatamente al suo programma televisivo "Senza Rete". Ciampi ci va, ma non vuole cantare; per convincerlo, Paolo Villaggio lo deve letteralmente tirare in diretta televisiva per la giacca, e Piero lascia una memorabile interpretazione di quell'incredibile canzone per Gabriella, che dovrebbe spiacere a tutti non avere ascoltato almeno una volta nella vita:

Tu no, aspetta, no...
Se non so farti felice,
Anche se continuo a bere
Tu no, amore, no,
Tu mi devi star vicino
Perchè ormai io sono fuori.
Tu no, tu no, tu no,
Qualche cosa te l'ho data
Se mi guardi con quegli occhi...
Tu no, tu no, tu no.

L'intesa artistica ed umana tra Piero Ciampi e Gianni Marchetti è incantata. "Di quelle", scrive Enrico de Angelis, "tipo Chiosso-Buscaglione o Calabrese-Bindi, per non dire Prévert-Kosma". In TV, Piero Ciampi afferma: "Gianni Marchetti ed io ci siamo conosciuti per uno strumento. Se non ci fosse stato il pianoforte, questo pomeriggio, questa sera bellissima...Avevamo bevuto una bottiglia di champagne, io e lui, tac tac, e non c'era nessuno. Ma se non ci fosse stato il pianoforte non saremmo mai stati con voi." Gianni Marchetti è l'unico che riesce a rincorrere con le sue architetture musicali i versi rotti di Ciampi, a plasmare le note sulla sua voce che si fa sempre più aspra e roca col passare degli anni e con i barili di vino coi quali si sta lentamente suicidando. Assieme a loro, fedelmente, c'è Roberto Ciampi, il fratello avvocato, il fratello anch'egli dedito all'alcool, il fratello che nel 1985 lo ha raggiunto da qualche parte per tornare a scrivere, suonare e bere assieme. Stanno tutti a Roma; ogni giorno sono alla trattoria di Marcello Micci, in via Andrea Doria. Piero, amico o conoscente di tanti scrittori e poeti (Alfonso Gatto, Alberto Bevilacqua, Ugo Pirro e Carmelo Bene, con il quale ingaggia interminabili partite a scacchi) non si smentisce e va ad abitare dirimpetto ad Alberto Moravia. Quest'ultimo ha un bel merlo parlante, nero col becco giallo; e sarà proprio quell'uccello ad ispirargli un'altro suo capolavoro, "Il Merlo":

Merlo, mi canti qualcosa? Tristezza fra noi,
Sono disteso sul letto e qualcosa non va.
Tu, merlo, cantami una canzone
Da portare all'editore
Perchè sono senza una lira...

Merlo, ripetila ancora...è bella, lo sai?
Ripeti lento che vado al piano a suonare.
Sono contento di non aver dato
Alcun seguito quel peccato
Di volerti un giorno mangiare.

Io sono felice per questa collaborazione,
Corro a fissare la sala per un'incisione...
Beviamo insieme un pò di champagne,
Il mio cuore mi dice che va,
I problemi finiscono qua.

Piero non si mangiò il povero merlo; che però finì ugualmente male i suoi giorni, strozzato da Alberto Moravia in un accesso di collera.


Qua e là torna a Livorno, ma più raramente di prima; scrive una canzone dedicata a Dario, un giovanotto pazzo che aveva assassinato un commissario di polizia (per nascondere il fatto preciso, in un primo momento aveva intitolato la canzone "Dario di Ancona", ma poi tornò al titolo con cui è conosciuta: "Dario di Livorno"). Nel 1971 Gianni Marchetti gli fa avere una specie di contratto con la Amico, un'etichetta sussidiaria della RCA; il direttore di quest'ultima, Ennio Melis, prende a cuore il "caso Ciampi" e lo sosterrà per anni, contro tutto e contro tutti. Lo spedisce persino al "Disco per l'Estate" con una canzone intitolata "L'amore è tutto qui": si piazza ultima. Nello stesso anno esce un album realizzato, scrive De Angelis, "con piglio faraonico": testi, poesie, un album fotografico e quattordici tempere di un pittore calabrese (di Cosenza) scelto da Ciampi, Aldo Turchiaro. Ciampi s'intende di pittura ed è amico di artisti quali Mario Schifano, Mario Ceroli e Tano Festa. Lo stesso Turchiaro diverrà con gli anni un artista di fama.

Il 33 giri è fittiziamente insignito del "Premio della critica discografica", un riconoscimento "ad hoc" notoriamente insufficiente per farlo vendere. Cosa che, regolarmente, avviene. Piero Ciampi ha davvero tutte le carte in regola per essere un artista, e se ne accorge da solo. Tanto da scriverci una canzone:

Ha tutte le carte in regola
Per essere un artista:
Ha un carattere melanconico,
Beve come un irlandese.
Se incontra un disperato
Non gli chiede spiegazioni...

In quella canzone, nel ritornello, c'è la parola "miserere". È una delle parole che spesso ritornano nell'opera di Ciampi, e sentirgliela pronunciare, con la sua voce, è impressionante. Gli ultimi anni della vita di Piero sono segnati da una sorta di tardivo e blando successo di stima da parte di alcuni "addetti ai lavori", anche se il suo nome continua ad essere totalmente (e, spesso, volutamente) ignorato dai più. Nel 1973 esce un secondo album doppio (ma messo in vendita direttamente a metà prezzo), un volume di poesie stampato dalla stessa RCA e, soprattutto, una raccolta di canzoni affidate ad un'altra interprete.

Questa interprete è Nada. Nada Malanima, livornese come Piero (è nata il 17 novembre 1953 a Gabbro, una frazione collinare del comune di Rosignano Marittimo; nel paesino, praticamente tutti gli abitanti fanno "Malanima" di cognome, con nomi di battesimo assolutamente fantasmagorici come Osvego, Goindretta, Navarino o Leontaldiero; fino a pochi anni fa, dall'elenco del telefono risultava anche un "Ordigno Malanima"), si era messa in luce giovanissima, a soli 16 anni, al festival di Sanremo del 1969 con la canzone "Ma che freddo fa"; arrivò terza assoluta; l'anno dopo bissa il grande successo sanremese con "Pà, diglielo a mà, in coppia con il debuttante Rosalino (Cellamare, il futuro Ron), per poi vincere l'anno dopo con "Il cuore è uno zingaro, in coppia con Nicola di Bari; nel 1973 è già considerata una delle migliori interpreti italiane. Nada però non è una cantante "commerciale"; già negli annì70 si dedica contemporaneamente al teatro (recita con Giulio Bosetti e Dario Fo), gira dei film e degli sceneggiati (la ricordiamo nella parte di Dora Manfredi nel "Puccini" televisivo e in "Con gli occhi chiusi" di Francesca Archibugi, il film tratto dal romanzo di Federigo Tozzi) e, soprattutto, il suo incontro con Piero Ciampi segna l'inizio di una sorta di "carriera parallela" nella canzone d'autore di alta qualità che la porterà a collaborare poi anche con Paolo Conte (sua è , ad esempio, "La Fisarmonica di Stradella"). Nada, con la sua voce assolutamente unica (un'altra caratteristica che lo avvicina a Piero Ciampi) si muove indifferentemente tra i registri "elevati" e quelli meno alti della canzone; nel 1980, con "Amore disperato", vince praticamente ogni cosa "; e poi di nuovo alla ricerca di altre e più difficili strade, con un lungo silenzio discografico interrotto solo dalla sporadica pubblicazione da parte della RCA/BMG dell'album "L'Anime Nere" nel 1992, un album in cui Nada è autrice di musiche e testi, e che a causa di incomprensioni con la casa discografica raccoglie molto meno di quanto in realtà meriterebbe. Da sempre contraria alla regola di dovere di tanto in tanto apparire, anche solo per ricordare agli altri della propria esistenza, Nada ha indubbiamente ottenuto meno di quanto la qualità della sua produzione discografica possa a prima vista far pensare.

Ma torniamo alla sua collaborazione con Piero Ciampi (che del resto, come lei stessa ha affermato, la ha "segnata per tutta la vita"; tanto è vero che, ancora adesso, Nada si esibisce spesso in spettacoli dedicati alla figura e alle canzoni di Piero). L'album, intitolato "Ho scoperto che esisto anch'io" contiene dieci canzoni, di cui una sola non di Ciampi-Pavone-Marchetti. Le altre sono, nell'ordine: "Confiteor", "Sovrapposizioni", "La passeggiata", "Sul porto di Livorno", "Eri proprio tu", "Come faceva freddo", "Ma chi è che dorme insieme a me?", "I due cavallini" e "Esisto anch'io". Da ricordare soprattutto la memorabile interpretazione di "Sul porto di Livorno", eseguita con una lieve variazione testuale rispetto alla versione di Piero.

Nel 1977, assieme a Nada Malanima e a Renzo Zenobi, Piero Ciampi registra una trasmissione televisiva che non viene mai mandata in onda; subito dopo registra anche uno special intitolato "Piero Ciampi, no!", che la RAI, considerato il fatto che il protagonista vi appare visibilmente ebbro, decide di trasmettere il 3 agosto alle 13. Piero, d'altronde, disprezza la TV; al Tenco del '76, rifiuta beffardamente di farsi riprendere dalle telecamere come se fosse un'offesa, e perde pure quell'occasione. Scrive giustamente Enrico de Angelis: "Viene in mente Léo Ferré: "Thank you Satan pour ton honneur à ne paraître jamais à la télévision ""

L'ultima apparizione di Piero Ciampi al premio Tenco merita di essere raccontata un pò più in extenso. Per parecchi minuti, buio in sala e base registrata già partita, non lo si vede comparire sul palco; è nel camerino a bere e a contrattare qualcosa con Amilcare Rambaldi. Alla fine entra sul palco barcollando, suscitando qualche fischio che, per lui, è come un invito a nozze. Risponde con il suo miscuglio di compostezza e violenza: "Taci tu, parla quando te lo dico io perchè, scusami, se tu vuoi parlare vieni qua: io rischio, te no." Subito dopo, però, fa seguire la sua immancabile e signorile sollecitudine: "Però non te la prendere come un'offesa, prego"; seguono degli applausi. Ad un altro isolato fischio, interrompe la canzone e urla in puro livornese: "Dè, ma te perchè 'un tìompri un sassofono?", e così via. Canta la sua canzone, si stacca sorridendo dal microfono, fa un passo di lato e si inchina Così scompare Piero Ciampi; è la sua ultima esibizione davanti ad un pubblico teatrale. L'anno dopo viene invitato al Tenco, ma non si presenta mandando un telegramma del seguente tenore: "Non sono potuto venire. Piero."

di Riccardo Venturi

Piero Ciampi nacque a Livorno il 28 settembre del 1934, in via Pelletier al numero 12, nel quartiere del Pontino. C'è forse da inquadrare meglio questo quartiere per capire qualche cosa in più di Piero e della sua vita. Il Pontino è uno dei quartieri più antichi di Livorno, adiacente alla medicea "Venezia Nuova"; entrambi, malgrado le distruzioni terrificanti della guerra, hanno mantenuto l'impianto urbano cinquecentesco e di difesa fortificata, con canali (che a Livorno si chiamano "fossi"), scali e "cantine" (le rimesse per le barche che formano, nel sottosuolo, una rete capillare e semisconosciuta). Delimitato da Via Garibaldi, l'antico "Borgo Reale" seicentesco, dalla Fortezza Nuova e dalla Dogana d'Acqua (sopra alla quale passa il piccolo ponte che dà il nome al quartiere), il Pontino è tuttora una specie di casbah abitato prevalentemente da portuali e piccoli commercianti; non bisogna scordarsi che era però, fino ai primi anni di questo secolo, la zona dalla quale proveniva la maggior parte degli "arrisicatori", gli scaricatori che, avvistata una nave al largo, si lanciavano nottetempo sui dei barconi a remi ("gozzi") in squadre di otto per abbordarla e conquistare così il diritto esclusivo allo scarico. Sugli arrisicatori sono sempre fiorite leggende marinaresche, alcune delle quali non ancora del tutto dimenticate. Si dice che oltre la metà delle strade del Pontino derivi il proprio nome da osterie; così via dei Tranquilli, via della Campana, via del Leone e via dei Terrazzini (che però, prima, si chiamava "via dei Disperati", ed anche la relativa ed ancora esistente osteria -il cui padrone attuale si chiama Mannari). Altre strade hanno misteriosi nomi di donne di cui non si sa nulla: via Eugenia, via Adriana, via Pompilia. Probabilmente si tratta di prostitute che esercitavano nella strada in questione. Via Pelletier è una strada buia e ventosissima che parte dalla piazzetta di San Luigi per arrivare agli Scali delle Cantine; la sua prima parte è stata ricostruita negli annì50, mentre la parte che va dall'incrocio con via della Campana agli Scali è stata miracolosamente risparmiata. La casa di Piero Ciampi si trova in quest'ultima parte. La via prende nome da Jean-Baptiste De Berminy Pelletier, un capitano nato a Aix-en-Provence ma livornese di adozione, che qui aveva casa nel settecento; morì nel 1809. Già nel 1813 sorse in questa strada un piccolo teatro che portava il suo nome; nel 1835 la via gli fu intitolata.

Il padre di Piero Ciampi, Umberto, classe 1900, era un piccolo commerciante di pellami con bottega nella zona di Piazza Grande; a tale riguardo è da smentire la notizia, a volte riportata, che fosse un commerciante "di perle". Probabilmente la cosa è dovuta ad un qualche refuso ("perle" al posto di "pelle"). Ebbe due mogli (Piero era figlio della seconda) e tre figli: Paolo, Roberto e Piero; sopravvisse a tutti e tre (è morto nel 1986). Non si sa praticamente nulla della primissima parte della vita di Piero Ciampi; da alcuni abitanti della zona sono però riuscito a sapere che, dopo il primo rovinoso bombardamento di Livorno, il 28 maggio 1943, che infuriò particolarmente proprio nella zona compresa tra il Porto Vecchio e il Pontino (con quasi tremila morti), la famiglia Ciampi sfollò, come molte altre, nelle campagne pisane, vicino a Cenaia. Fino al 1949 tutta la zona fu interdetta alla popolazione; era la cosiddetta "Black Area", la "zona nera" completamente minata. In via San Giovanni la bonifica fu completata solo nel 1952.

Le prime notizie certe su Piero Ciampi si hanno negli anni universitari; si iscrive alla facolta di ingegneria dell'Università di Pisa; ma circa a metà degli esami abbandona gli studi e torna a Livorno. La passione per la musica era coltivata da tutti e tre i fratelli; Roberto, futuro avvocato, è un clarinettista e restera per tutta la vita a contatto con la musica, oltre che legatissimo al fratello, mentre Paolo emigrerà presto in Canada, a Vancouver, facendo tutt'altro. Piero è il cantante del trio, con la sua voce già particolarissima; per guadagnarsi da vivere si mette invece a vendere olio lubrificante per conto di un deposito all'interno del Porto, la ditta "Razzaguti Oli"; quel porto di Livorno che canterà in una sua indimenticabile canzone:

Io non ho lasciato il mio cuore
A San Francisco,
Io ho lasciato il mio cuore
Sul porto di Livorno.
Le luci si accendevano sul mare,
Era un giorno strano:
Mi rifiutai di credere che fossero lampare.

Richiamato al servizio militare, Piero parte per il CAR a Pesaro dove, nelle libere uscite, va a suonare in dei locali assieme a tre commilitoni; tra di essi c'è un tale Gianfranco Reverberi, subito attirato da quello strano tizio, alto, magrissimo e che riusciva ad apparire spettinato persino coi capelli tagliati a caserma. Piero Ciampi si dedica alle occupazioni preferite dai livornesi: beve come una cisterna, cerca la rissa facendo, da recluta, gavettoni ai "nonni" e declama strane poesie in camerata, ad alta voce; la figlia del comandante se ne innamora e lui le scrive tutti i giorni delle incredibili lettere ("neanche Cyrano de Bergerac avrebbe saputo fare di meglio", ricorda Reverberi). Il grande amore, però, finisce quando Piero chiede alla ragazza di intervenire presso il padre per fargli avere il trasferimento a Livorno. Ricorda ancora Reverberi: "Uno dei suoi motori non era, come si potrebbe supporre, la rabbia (troppo comoda, protettiva ed elegiaca alla fin fine) ma piuttosto il litigio e la bagarre, unico spazio vitale pubblico per un soliloquio alla Ciampi".

Nella poco nota vita di Piero Ciampi è ancor meno noto che il suo primo e principale strumento musicale sia stato il contrabbasso. Lo aveva studiato un pò da solo e un pò con un amico, ed aveva imparato a suonarlo decentemente. Ed è come contrabbassista che Piero Ciampi va a suonare assieme a tre o quattro orchestrine che si esibiscono nei locali della costa livornese. Sono gli anni del "boom", gli anni degli strani tipi a giro per i litorali, gli anni del "Sorpasso" (il film di Dino Risi in cui l'automobile di Gassmann vola di sotto, con Trintignant a bordo, proprio dalla scogliera di Calafuria, vicino a Livorno). Piero guadagna qualche soldo, ma è totalmente scontento: spesso il capo orchestra gli ordina di far solo finta di suonare il suo strumento, mentre invece la musica proviene da una rudimentale "base" registrata.

Nel 1957 iniziano le fughe di Piero Ciampi; fughe che saranno una costante di tutta la sua vita. La prima è assolutamente drastica: senza una lira in tasca, una chitarra e un biglietto di sola andata passa prima da Genova, dove va a trovare Reverberi (che gli regala una stecca di sigarette); poi prosegue per Parigi. è sicuramente nella capitale francese, e nella sua atmosfera della fine degli annì50, che dev'essere nato il Ciampi chansonnier, sebbene le sue frequentazioni, più consone alla sua indole, fossero state prevalentemente con pittori e scrittori. In Italia è appena arrivato il rock 'n' roll e nessuno, ancora neppure Fabrizio de Andrè, si sogna di comporre canzoni e cantarsele. A Parigi, invece, Ciampi scrive poesie sui tovagliolini delle brasseries e si mette a cantarle anche in tre locali a sera, duemila vecchi franchi a esibizione (cioè una miseria). Non sa spesso dove andare a dormire, e chiede ospitalità a un convento di frati cappuccini; stringe una conoscenza con Louis-Ferdinand Céline, l'autore di "Semmelweis" e "Viaggio al termine della notte", va a ascoltare al Bobino i concerti di un tizio che canta per due ore con una chitarra e una sedia, tale Georges Brassens, e passa regolarmente per matto, sulle orme di un altro livornese vissuto a Parigi di stenti, che però faceva il pittore e si chiamava Modigliani. Qualcuno però lo nota nei localacci dove va a cantare; il suo timbro di voce ricorda un pò quello di un cantautore allora rinomato, Felix Léclerc, e cominciano a chiamarlo "L'Italianò", con l'accento sull'ultima sillaba, alla francese. Nel 1959, per vie traverse perchè è senza un soldo proprio com'era partito, torna a Livorno.

Per un mese, come mi ha raccontato Giancarlo Vanni (un vecchio ancora saldo che ha cantina sugli Scali, dove ripara barche e traffica motori fuoribordo; mi piacerebbe che alla prossima "ciampiola", se ci sarà mai, lo potessimo incontrare), se ne sta a non far nulla e a girare per la città, ubriacandosi e meditando di mettersi a fare il pescatore per una cooperativa. Provano a portarlo con in mare, ma una volta poco al largo viene preso da una fifa matta e non ne fa di nulla. Arriva Reverberi, che ha saputo del suo ritorno; in Italia si sta affacciando la canzone d'autore, sul modello francese, e se lo porta a Milano convincendolo a lavorare sodo per lui. Reverberi, assieme a Franco Crepax, è alla Ricordi, la "fucina" dei cantautori; con loro c'è anche Antonio Casetta, che in un allora remoto futuro sarà il proprietario del famoso Castello di Carimate e dei relativi studi discografici. Il nome d'arte c'è già: Piero Litaliano, senza l'apostrofo; e tra il '60 e il '61 arrivano i primi dischi incisi proprio per la Bluebell di Antonio Casetta.

Quando Crepax passa alla CGD, si porta dietro Piero Ciampi come cantautore "di scuderia"; gli fa incidere altri dischi e prova pure a venderli. Enrico de Angelis riporta al riguardo un episodio curioso e, al tempo stesso, tragicamente ironico: in un articolo della "Domenica del Corriere", Piero Ciampi -anzi, Piero Litaliano-, viene preso addirittura a modello del "nuovo esasperato tecnicismo delle grandi aziende della canzone". Vale la pena riportare una parte di questo articolo, da leggere alla luce della vita di Piero:

"IL CANTANTE DI DOMANI. Il cantante di domani lo lanceranno come un detersivo, l'industria della canzone si aggiorna. [...] Ormai si creano i successi prefabbricati. Questo giovanotto si chiama Piero Litaliano e il suo nome, fra qualche mese, sarà sulla bocca di tutti: sono già pronti i dischi, i manifesti e gli slogans pubblicitari. [...] Fra sei mesi, un anno al massimo, Piero Litaliano sarà popolare come Mina. [...] è il cantante nuovo costruito scientificamente per il 1962. [...] L'hanno fatto in provetta, è un prodotto industriale. Il gioco è fatto. La fortuna è arrivata al momento giusto, ora basta afferrarla e tenerla stretta."

Ma Piero sapeva tenere strette solo due cose: la chitarra e il fiasco del vino. Nel 1963, comunque, Piero Ciampi, sempre "Litaliano", pubblica il suo primo LP (CGD 33, 1963; ristampa, anche in CD, 1990, con lo stesso titolo, "Piero Litaliano", ma attribuito a Piero Ciampi come autore titolare); contiene, tra le altre canzoni, "Autunno a Milano", "Fino all'ultimo minuto" e, soprattutto, "Lungo treno del sud". Sulla copertina del disco, Piero di profilo guarda le arcate di un chiostro; l'exergo dell'opera stampato direttamente sulla foto di copertina, recita:

"Ho scritto queste dodici canzoni per una donna che ho amato e che ho perduto. Questi dodici ricordi sono la Bastiglia del mio cuore. Per la mia donna ho fatto cose ben più grandi di queste canzoni, ma quelle cose sono ormai perdute. Ora restano soltanto dodici canzoni."

Da qui, precisamente da qui, ha inizio l'oblio sistematico di Piero Ciampi dal panorama della canzone italiana. L'album (a parte "Lungo treno del sud", che ha un qualche modesto riscontro di ascolto) non lascia alcuna traccia, e per vederlo nei negozi bisogna aspettare il 1990, quando viene inaspettatamente ristampato dalla CGD. La critica stronca pesantemente l'album, parlando di "canzoncine tutte uguali", di "aria crepuscolare e sonnolenta", di "musiche lentissime e snervanti", di "nulla di allegro", di "stile nebbioso", di "motivi eccessivamente diluiti per restare in mente". Solo Natalia Aspesi osa scrivere che "nei suoi versi ci si trova qualcosa di abbastanza poetico per riuscire incomprensibile all'amatore abituale di canzonette". Piero lascia Milano, dove viveva in Corso Vercelli, e torna a Livorno; da qui, qualche tempo dopo, si sposta a Roma al seguito di Gaetano Pulvirenti, un "fuoriuscito" della RCA dotato evidentemente di spirito temerario, dato che offre a Ciampi addirittura la direzione artistica della sua piccola etichetta discografica, la Ariel. Reclutato anche il fratello Roberto, abbandona il "Litaliano" e comincia a scrivere e cantare con il proprio nome vero.

è un periodo di scarsa rilevanza artistica; Piero e canta scrive delle canzonette in piena regola, facili e più "orecchiabili", che però hanno lo stesso successo delle precedenti: zero. Gli va decisamente meglio come autore di canzoni per artisti già affermati: produce ad esempio un 45 giri di Georgia Moll (qualcuno se la ricorderà in una vecchia pubblicità del dentifricio "Pasta del Capitano", con Tino Scotti che le chiede come faccia ad avere "quei denti bianchi e splindenti" [sic]) e, soprattutto, scrive per Gigliola Cinquetti "Ho bisogno di vederti", che arriva quarta a Sanremo nel 1965. Piero Ciampi ne incide anche una versione personale per la Ariel, che due mesi dopo, però, chiude i battenti. La direzione artistica di Ciampi l'ha portata diritta al fallimento.

Nel frattempo, durante tutti i primi annì60, Piero Ciampi non la smette mai, tra un lavoro e l'altro, di vagabondare senza meta; vagabondaggi che, a volte, racconta direttamente sulle copertine dei dischi. è spesso a Livorno, da dove parte per andare sempre "a Roma"; in realtà s'infila spesso alla stazione, prende un treno e va da tutt'altra parte. Lo trovano completamente ubriaco sulla Kungliga Torget di Stoccolma; Reverberi, una volta, riceve una cartolina con scritto "Abbracci, Piero", con una veduta di Tokyo. Lo vedono in Spagna, a Barcellona; in Inghilterra; di lì passa in Irlanda. E irlandese è la sua prima moglie "bella, bionda, alta, snella", di nome Moira. Scrive De Angelis: "Moira resiste con lui meno di un anno, poi prende il figlio che nel '63 hanno fatto insieme, Stefano, e sparisce il più lontano possibile". Un giorno viene a sapere che è in America, e dice ai suoi amici che va a cercarla; lo ritrovano ubriaco a Livorno. Sposa definitivamente l'alcool, l'alcool non scappa mai. Fuggono invece le donne, come, tanti anni prima, sua madre. Anni dopo, Piero ironizzerà in TV: "Bella quella donna che arriva e poi fugge. Ma la madre è una cosa, la donna è un'altra cosa."

"Ha amato tanto due donne, erano belle, bionde, alte, snelle. Ma per lui non esistono più", canterà poi Piero in "Ha tutte le carte in regola". La seconda si chiama Gabriella, è romana e anche da lei avrà una figlia, che chiama Mira. è lei cui piero si rivolge nel verso finale de "Il Vino":

Vita vita vita
Sera dopo sera,
Fuggi fra le dita,
Spera, Mira, spera.

La convivenza con Gabriella dura ancor meno del matrimonio con Moira: otto mesi. Lasciando delle tracce ancora più profonde, se possibile. Stanno per iniziare gli annì70, il silenzioso, sconosciuto momento magico di Piero Ciampi e delle sue canzoni. Nel 1967 Ciampi produce un album intero per una mediocre cantante, Lucia Rango, scrivendo per lei dei pezzi e facendogliene interpretare altri. Il disco, "Lucia Rango Show", passa ovviamente del tutto inosservato. Dopo aver vagato per Livorno in decine di "tristi tristi" sere (è in questo periodo che scrive il testo di "Livorno", uno dei suoi capolavori, nato originariamente come una poesia), dopo essersi fatto fotografare appoggiato al muretto degli Scali delle Cantine in quella che forse è la sua immagine più conosciuta, torna a Roma con qualche speranza professionale. Ha il privilegio di una difficile, allegra e discontinua amicizia con Gino Paoli fin dal tempo in cui, a Milano, assieme a Luigi Tenco sbarcavano il lunario e vivevano fissi nella soffitta di Reverberi, cui pagavano l'ospitalità procurandogli compagnie femminili. Fin dal 1962, Gino Paoli è l'unico collega che incide a volte canzoni di Ciampi, abitudine che non abbandonerà mai. Lo porta di nuovo in RCA bluffando clamorosamente e presentandolo, dall'alto della sua "forza contrattuale", come una specie di gallina dalle uova d'oro; i discografici credono a Paoli e forniscono a Piero non solo un contratto, ma addirittura un ottimo anticipo in denaro che Ciampi va immediatamente a scolarsi, non producendo un solo pezzo e facendo rescindere l'accordo. Piero Ciampi prosegue i suoi vagabondaggi, così come i suoi versi vagabondano di foglietto in foglietto in attesa di una musica. Di una poesia arriva a scrivere venti versioni diverse, poi le incolla a formarne un'altra, le spezzetta. Sono versi scarni, scheletriti come lui; agri, grami come la sua voce e come Livorno. Non lo conosce nessuno, ma esige d'esser chiamato poeta; è la sola cosa cui tiene, assieme al vino e ai ricordi dei suoi strani e disperati amori. Ottiene di farsi qualificare "poeta" nel suo arruffato e spiegazzato passaporto, che ho avuto una volta la ventura di vedere, da lui stesso mostrato a chi lo prendeva in giro, all'Osteria dei Terrazzini, dicendogli che in realtà non s'era mai mosso fuori d'Italia. Quand'era ubriaco, cioè sempre, a volte parlava in francese.

Gli anni fra il 1973 e il 1974 avrebbero veramente potuto essere quelli della svolta per Piero Ciampi; ma, come aveva cantato in "Tu no", oramai "era fuori". Nello stesso 1973 una sua canzone, "Io e te, Maria", viene proposta per "Canzonissima" a Nicola di Bari, che rifiuta (ma la inciderà più tardi); nella stessa edizione di "Canzonissima", però, Carmen Villani canta un altro suo capolavoro, "Bambino mio" (scritto assieme a Pino Pavone, un cantautore calabrese che Ciampi aveva casualmente conosciuto nel 1960 durante un suo vagabondaggio sulle montagne della Sila e che sarebbe stato un suo fedelissimo amico e collaboratore per tutta la vita. Pino Pavone ha debuttato "in proprio" solo nel 1992). Nel 1974, impressionata dalle canzoni di Ciampi, Ornella Vanoni contatta Gianni Marchetti e gli chiede di produrle un album intero con canzoni di Ciampi; Marchetti si precipita da Piero, ma non lo trova. è non si sa dove, verosimilmente ubriaco. Quando ricompare, sfumato ormai il progetto dell'album per la Vanoni, Piero è sempre più irrequieto, imbarazzante e "in vino". Va a cantare in salette cosiddette "d'élite" per pigliarsi i soldi, attaccando regolarmente briga col barman e insultando pesantemente il pubblico di ricchi borghesi (spesso piantando tutti in asso; a Firenze, nel 1975, se ne va via senza neanche finire il primo pezzo affermando poi d'essere il "cantante più pagato d'Italia, trecentomila lire per mezza canzone"). Gli episodi di questo periodo sono numerosi; a Roma, mentre assiste ad uno spettacolo di Silvan, lo manda pubblicamente in culo (parole testuali) perchè i suoi giochi di prestigio gli appaiono banali; un'altra sera è protagonista di una rissa con Franco Califano, che lo ha invitato nel suo night senza offrirgli da bere. I colleghi gli stanno rigorosamente alla larga, e lui ricambia volentieri la diffidenza. Ha una silenziosa e grande stima da parte di Fabrizio de André (ma non di Francesco Guccini); invitato al premio Tenco, qualifica gli intervenuti come "pezzi di merda"; e così ricordano il Ciampi del 1976 Zazà Gargano e Stefano Palladini, due cantautori romani per i quali Piero avrebbe dovuto produrre un disco di canzoni in romanesco:

"Non sappiamo a quanti artisti sia capitato di essere prodotti da " uno che ha tutte le carte in regola per essere un artista " come Piero Ciampi. A noi è capitato. A Roma nel 1976. [...] Piero produttore significa uno di Livorno ma anche un pò di Parigi. Che dice "vaffanculo" in mezzo al traffico della via Tiburtina e lo dice alla livornese, senza curarsi del fatto che possa essere capito in romano. Ed è tutta un'altra cosa. Roma, già allora, si stava americanizzando e allo scherzo o offesa di parole cominciava a rispondere coi fatti. Era un autentico rischio stare in macchina con Piero, tutti i giorni per un mese."

Negli ultimi anni Piero Ciampi torna più spesso a Livorno, "la città più difficile per tutti". Qui si innestano dei miei ricordi personali che sarebbero totalmente confusi e fatti esclusivamente di silenziosi incroci sui marciapiede, se non fosse stato per quel tardo pomeriggio del 6 marzo 1979, all'Osteria dei Terrazzini, conosciuta anche come "Enoteca Mannari", via dei Terrazzini 68, Livorno. Ma è una cosa mia, ed è l'ultima volta che Piero Ciampi è stato visto a Livorno. Ogni anno, il 6 marzo, all'osteria c'è una bicchierata in ricordo di Piero; di Piero come amico e bevitore. Molti non ci sono più. Molti non sapevano neanche che cantasse e scrivesse canzoni. Uno aveva lavorato con lui, quand'era ragazzo, alla "Razzaguti Oli". Piero era alto un metro e ottantasei. Aveva gli occhi scuri e uno sguardo dolcissimo. Non mi ricordo d'averlo mai visto una volta pettinato; ma a Livorno c'è sempre vento.

Il 19 gennaio 1980 Piero Ciampi fu vittima di un terribile imbroglio; dopo essersi preparato per tutta la vita una morte per cirrosi epatica, l'ultima sua "carta in regola", se n'è andato, a Roma, per un cancro alla gola.
Aveva scritto, in una sua poesia del 1975:

Il corpo
è un sublime
atroce
porco.

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