di
Riccardo Venturi
Piero Ciampi nacque a Livorno
il 28 settembre del 1934, in via Pelletier al numero 12,
nel quartiere del Pontino. C'è forse da inquadrare meglio
questo quartiere per capire qualche cosa in più di Piero
e della sua vita. Il Pontino è uno dei quartieri più antichi
di Livorno, adiacente alla medicea "Venezia Nuova";
entrambi, malgrado le distruzioni terrificanti della guerra,
hanno mantenuto l'impianto urbano cinquecentesco e di difesa
fortificata, con canali (che a Livorno si chiamano "fossi"),
scali e "cantine" (le rimesse per le barche che
formano, nel sottosuolo, una rete capillare e semisconosciuta).
Delimitato da Via Garibaldi, l'antico "Borgo Reale"
seicentesco, dalla Fortezza Nuova e dalla Dogana d'Acqua
(sopra alla quale passa il piccolo ponte che dà il nome
al quartiere), il Pontino è tuttora una specie di casbah
abitato prevalentemente da portuali e piccoli commercianti;
non bisogna scordarsi che era però, fino ai primi anni
di questo secolo, la zona dalla quale proveniva la maggior
parte degli "arrisicatori", gli scaricatori che,
avvistata una nave al largo, si lanciavano nottetempo sui
dei barconi a remi ("gozzi") in squadre di otto
per abbordarla e conquistare così il diritto esclusivo
allo scarico. Sugli arrisicatori sono sempre fiorite leggende
marinaresche, alcune delle quali non ancora del tutto dimenticate.
Si dice che oltre la metà delle strade del Pontino derivi
il proprio nome da osterie; così via dei Tranquilli, via
della Campana, via del Leone e via dei Terrazzini (che però,
prima, si chiamava "via dei Disperati", ed anche
la relativa ed ancora esistente osteria -il cui padrone
attuale si chiama Mannari). Altre strade hanno misteriosi
nomi di donne di cui non si sa nulla: via Eugenia, via Adriana,
via Pompilia. Probabilmente si tratta di prostitute che
esercitavano nella strada in questione. Via Pelletier è
una strada buia e ventosissima che parte dalla piazzetta
di San Luigi per arrivare agli Scali delle Cantine; la sua
prima parte è stata ricostruita negli annì50, mentre
la parte che va dall'incrocio con via della Campana agli
Scali è stata miracolosamente risparmiata. La casa di Piero
Ciampi si trova in quest'ultima parte. La via prende nome
da Jean-Baptiste De Berminy Pelletier, un capitano nato
a Aix-en-Provence ma livornese di adozione, che qui aveva
casa nel settecento; morì nel 1809. Già nel 1813 sorse
in questa strada un piccolo teatro che portava il suo nome;
nel 1835 la via gli fu intitolata.
Il padre di Piero Ciampi,
Umberto, classe 1900, era un piccolo commerciante di pellami
con bottega nella zona di Piazza Grande; a tale riguardo
è da smentire la notizia, a volte riportata, che fosse
un commerciante "di perle". Probabilmente la cosa
è dovuta ad un qualche refuso ("perle" al posto
di "pelle"). Ebbe due mogli (Piero era figlio
della seconda) e tre figli: Paolo, Roberto e Piero; sopravvisse
a tutti e tre (è morto nel 1986). Non si sa praticamente
nulla della primissima parte della vita di Piero Ciampi;
da alcuni abitanti della zona sono però riuscito a sapere
che, dopo il primo rovinoso bombardamento di Livorno, il
28 maggio 1943, che infuriò particolarmente proprio nella
zona compresa tra il Porto Vecchio e il Pontino (con quasi
tremila morti), la famiglia Ciampi sfollò, come molte altre,
nelle campagne pisane, vicino a Cenaia. Fino al 1949 tutta
la zona fu interdetta alla popolazione; era la cosiddetta
"Black Area", la "zona nera" completamente
minata. In via San Giovanni la bonifica fu completata solo
nel 1952.
Le prime notizie certe su Piero Ciampi si
hanno negli anni universitari; si iscrive alla facolta di
ingegneria dell'Università di Pisa; ma circa a metà degli
esami abbandona gli studi e torna a Livorno. La passione
per la musica era coltivata da tutti e tre i fratelli; Roberto,
futuro avvocato, è un clarinettista e restera per tutta
la vita a contatto con la musica, oltre che legatissimo
al fratello, mentre Paolo emigrerà presto in Canada, a
Vancouver, facendo tutt'altro. Piero è il cantante del
trio, con la sua voce già particolarissima; per guadagnarsi
da vivere si mette invece a vendere olio lubrificante per
conto di un deposito all'interno del Porto, la ditta "Razzaguti
Oli"; quel porto di Livorno che canterà in una sua
indimenticabile canzone:
Io non ho lasciato il mio
cuore
A San Francisco,
Io ho lasciato il mio cuore
Sul porto di Livorno.
Le luci si accendevano sul mare,
Era un giorno strano:
Mi rifiutai di credere che fossero lampare.
Richiamato al servizio militare,
Piero parte per il CAR a Pesaro dove, nelle libere uscite,
va a suonare in dei locali assieme a tre commilitoni; tra
di essi c'è un tale Gianfranco Reverberi, subito attirato
da quello strano tizio, alto, magrissimo e che riusciva
ad apparire spettinato persino coi capelli tagliati a caserma.
Piero Ciampi si dedica alle occupazioni preferite dai livornesi:
beve come una cisterna, cerca la rissa facendo, da recluta,
gavettoni ai "nonni" e declama strane poesie in
camerata, ad alta voce; la figlia del comandante se ne innamora
e lui le scrive tutti i giorni delle incredibili lettere
("neanche Cyrano de Bergerac avrebbe saputo fare di
meglio", ricorda Reverberi). Il grande amore, però,
finisce quando Piero chiede alla ragazza di intervenire
presso il padre per fargli avere il trasferimento a Livorno.
Ricorda ancora Reverberi: "Uno dei suoi motori non
era, come si potrebbe supporre, la rabbia (troppo comoda,
protettiva ed elegiaca alla fin fine) ma piuttosto il litigio
e la bagarre, unico spazio vitale pubblico per un soliloquio
alla Ciampi".
Nella poco nota vita di Piero
Ciampi è ancor meno noto che il suo primo e principale strumento
musicale sia stato il contrabbasso. Lo aveva studiato un
pò da solo e un pò con un amico, ed aveva imparato a suonarlo
decentemente. Ed è come contrabbassista che Piero Ciampi
va a suonare assieme a tre o quattro orchestrine che si
esibiscono nei locali della costa livornese. Sono gli anni
del "boom", gli anni degli strani tipi a giro
per i litorali, gli anni del "Sorpasso" (il film
di Dino Risi in cui l'automobile di Gassmann vola di sotto,
con Trintignant a bordo, proprio dalla scogliera di Calafuria,
vicino a Livorno). Piero guadagna qualche soldo, ma è totalmente
scontento: spesso il capo orchestra gli ordina di far solo
finta di suonare il suo strumento, mentre invece la musica
proviene da una rudimentale "base" registrata.
Nel 1957 iniziano le fughe
di Piero Ciampi; fughe che saranno una costante di tutta
la sua vita. La prima è assolutamente drastica: senza una
lira in tasca, una chitarra e un biglietto di sola andata
passa prima da Genova, dove va a trovare Reverberi (che
gli regala una stecca di sigarette); poi prosegue per Parigi.
è sicuramente nella capitale francese, e nella sua atmosfera
della fine degli annì50, che dev'essere nato il Ciampi chansonnier,
sebbene le sue frequentazioni, più consone alla sua indole,
fossero state prevalentemente con pittori e scrittori. In
Italia è appena arrivato il rock 'n' roll e nessuno, ancora
neppure Fabrizio de Andrè, si sogna di comporre canzoni
e cantarsele. A Parigi, invece, Ciampi scrive poesie sui
tovagliolini delle brasseries e si mette a cantarle anche
in tre locali a sera, duemila vecchi franchi a esibizione
(cioè una miseria). Non sa spesso dove andare a dormire,
e chiede ospitalità a un convento di frati cappuccini; stringe
una conoscenza con Louis-Ferdinand Céline, l'autore
di "Semmelweis" e "Viaggio al termine della
notte", va a ascoltare al Bobino i concerti di un tizio
che canta per due ore con una chitarra e una sedia, tale
Georges Brassens, e passa regolarmente per matto, sulle
orme di un altro livornese vissuto a Parigi di stenti, che
però faceva il pittore e si chiamava Modigliani. Qualcuno
però lo nota nei localacci dove va a cantare; il suo timbro
di voce ricorda un pò quello di un cantautore allora rinomato,
Felix Léclerc, e cominciano a chiamarlo "L'Italianò",
con l'accento sull'ultima sillaba, alla francese. Nel 1959,
per vie traverse perchè è senza un soldo proprio com'era
partito, torna a Livorno.
Per un mese, come mi ha raccontato
Giancarlo Vanni (un vecchio ancora saldo che ha cantina
sugli Scali, dove ripara barche e traffica motori fuoribordo;
mi piacerebbe che alla prossima "ciampiola", se
ci sarà mai, lo potessimo incontrare), se ne sta a non far
nulla e a girare per la città, ubriacandosi e meditando
di mettersi a fare il pescatore per una cooperativa. Provano
a portarlo con in mare, ma una volta poco al largo viene
preso da una fifa matta e non ne fa di nulla. Arriva Reverberi,
che ha saputo del suo ritorno; in Italia si sta affacciando
la canzone d'autore, sul modello francese, e se lo porta
a Milano convincendolo a lavorare sodo per lui. Reverberi,
assieme a Franco Crepax, è alla Ricordi, la "fucina"
dei cantautori; con loro c'è anche Antonio Casetta, che
in un allora remoto futuro sarà il proprietario del famoso
Castello di Carimate e dei relativi studi discografici.
Il nome d'arte c'è già: Piero Litaliano, senza l'apostrofo;
e tra il '60 e il '61 arrivano i primi dischi incisi proprio
per la Bluebell di Antonio Casetta.
Quando Crepax passa alla
CGD, si porta dietro Piero Ciampi come cantautore "di
scuderia"; gli fa incidere altri dischi e prova pure
a venderli. Enrico de Angelis riporta al riguardo un episodio
curioso e, al tempo stesso, tragicamente ironico: in un
articolo della "Domenica del Corriere", Piero
Ciampi -anzi, Piero Litaliano-, viene preso addirittura
a modello del "nuovo esasperato tecnicismo delle grandi
aziende della canzone". Vale la pena riportare una
parte di questo articolo, da leggere alla luce della vita
di Piero:
"IL CANTANTE DI DOMANI.
Il cantante di domani lo lanceranno come un detersivo, l'industria
della canzone si aggiorna. [...] Ormai si creano i successi
prefabbricati. Questo giovanotto si chiama Piero Litaliano
e il suo nome, fra qualche mese, sarà sulla bocca di tutti:
sono già pronti i dischi, i manifesti e gli slogans pubblicitari.
[...] Fra sei mesi, un anno al massimo, Piero Litaliano
sarà popolare come Mina. [...] è il cantante nuovo costruito
scientificamente per il 1962. [...] L'hanno fatto in provetta,
è un prodotto industriale. Il gioco è fatto. La fortuna
è arrivata al momento giusto, ora basta afferrarla e tenerla
stretta."
Ma Piero sapeva tenere strette
solo due cose: la chitarra e il fiasco del vino. Nel 1963,
comunque, Piero Ciampi, sempre "Litaliano", pubblica
il suo primo LP (CGD 33, 1963; ristampa, anche in CD, 1990,
con lo stesso titolo, "Piero Litaliano", ma attribuito
a Piero Ciampi come autore titolare); contiene, tra le altre
canzoni, "Autunno a Milano", "Fino all'ultimo
minuto" e, soprattutto, "Lungo treno del sud".
Sulla copertina del disco, Piero di profilo guarda le arcate
di un chiostro; l'exergo dell'opera stampato direttamente
sulla foto di copertina, recita:
"Ho scritto queste dodici
canzoni per una donna che ho amato e che ho perduto. Questi
dodici ricordi sono la Bastiglia del mio cuore. Per la mia
donna ho fatto cose ben più grandi di queste canzoni, ma
quelle cose sono ormai perdute. Ora restano soltanto dodici
canzoni."
Da qui, precisamente da qui,
ha inizio l'oblio sistematico di Piero Ciampi dal panorama
della canzone italiana. L'album (a parte "Lungo treno
del sud", che ha un qualche modesto riscontro di ascolto)
non lascia alcuna traccia, e per vederlo nei negozi bisogna
aspettare il 1990, quando viene inaspettatamente ristampato
dalla CGD. La critica stronca pesantemente l'album, parlando
di "canzoncine tutte uguali", di "aria crepuscolare
e sonnolenta", di "musiche lentissime e snervanti",
di "nulla di allegro", di "stile nebbioso",
di "motivi eccessivamente diluiti per restare in mente".
Solo Natalia Aspesi osa scrivere che "nei suoi versi
ci si trova qualcosa di abbastanza poetico per riuscire
incomprensibile all'amatore abituale di canzonette".
Piero lascia Milano, dove viveva in Corso Vercelli, e torna
a Livorno; da qui, qualche tempo dopo, si sposta a Roma
al seguito di Gaetano Pulvirenti, un "fuoriuscito"
della RCA dotato evidentemente di spirito temerario, dato
che offre a Ciampi addirittura la direzione artistica della
sua piccola etichetta discografica, la Ariel. Reclutato
anche il fratello Roberto, abbandona il "Litaliano"
e comincia a scrivere e cantare con il proprio nome vero.
è un periodo di scarsa rilevanza
artistica; Piero e canta scrive delle canzonette in piena
regola, facili e più "orecchiabili", che però
hanno lo stesso successo delle precedenti: zero. Gli va
decisamente meglio come autore di canzoni per artisti già
affermati: produce ad esempio un 45 giri di Georgia Moll
(qualcuno se la ricorderà in una vecchia pubblicità del
dentifricio "Pasta del Capitano", con Tino Scotti
che le chiede come faccia ad avere "quei denti bianchi
e splindenti" [sic]) e, soprattutto, scrive per Gigliola
Cinquetti "Ho bisogno di vederti", che arriva
quarta a Sanremo nel 1965. Piero Ciampi ne incide anche
una versione personale per la Ariel, che due mesi dopo,
però, chiude i battenti. La direzione artistica di Ciampi
l'ha portata diritta al fallimento.
Nel frattempo, durante tutti
i primi annì60, Piero Ciampi non la smette mai, tra un lavoro
e l'altro, di vagabondare senza meta; vagabondaggi che,
a volte, racconta direttamente sulle copertine dei dischi.
è spesso a Livorno, da dove parte per andare sempre "a
Roma"; in realtà s'infila spesso alla stazione, prende
un treno e va da tutt'altra parte. Lo trovano completamente
ubriaco sulla Kungliga Torget di Stoccolma; Reverberi, una
volta, riceve una cartolina con scritto "Abbracci,
Piero", con una veduta di Tokyo. Lo vedono in Spagna,
a Barcellona; in Inghilterra; di lì passa in Irlanda. E
irlandese è la sua prima moglie "bella, bionda, alta,
snella", di nome Moira. Scrive De Angelis: "Moira
resiste con lui meno di un anno, poi prende il figlio che
nel '63 hanno fatto insieme, Stefano, e sparisce il più
lontano possibile". Un giorno viene a sapere che è
in America, e dice ai suoi amici che va a cercarla; lo ritrovano
ubriaco a Livorno. Sposa definitivamente l'alcool, l'alcool
non scappa mai. Fuggono invece le donne, come, tanti anni
prima, sua madre. Anni dopo, Piero ironizzerà in TV: "Bella
quella donna che arriva e poi fugge. Ma la madre è una cosa,
la donna è un'altra cosa."
"Ha amato tanto due
donne, erano belle, bionde, alte, snelle. Ma per lui non
esistono più", canterà poi Piero in "Ha tutte
le carte in regola". La seconda si chiama Gabriella,
è romana e anche da lei avrà una figlia, che chiama Mira.
è lei cui piero si rivolge nel verso finale de "Il
Vino":
Vita vita vita
Sera dopo sera,
Fuggi fra le dita,
Spera, Mira, spera.
La convivenza con Gabriella
dura ancor meno del matrimonio con Moira: otto mesi. Lasciando
delle tracce ancora più profonde, se possibile. Stanno per
iniziare gli annì70, il silenzioso, sconosciuto momento
magico di Piero Ciampi e delle sue canzoni. Nel 1967 Ciampi
produce un album intero per una mediocre cantante, Lucia
Rango, scrivendo per lei dei pezzi e facendogliene interpretare
altri. Il disco, "Lucia Rango Show", passa ovviamente
del tutto inosservato. Dopo aver vagato per Livorno in decine
di "tristi tristi" sere (è in questo periodo che
scrive il testo di "Livorno", uno dei suoi capolavori,
nato originariamente come una poesia), dopo essersi fatto
fotografare appoggiato al muretto degli Scali delle Cantine
in quella che forse è la sua immagine più conosciuta, torna
a Roma con qualche speranza professionale. Ha il privilegio
di una difficile, allegra e discontinua amicizia con Gino
Paoli fin dal tempo in cui, a Milano, assieme a Luigi Tenco
sbarcavano il lunario e vivevano fissi nella soffitta di
Reverberi, cui pagavano l'ospitalità procurandogli compagnie
femminili. Fin dal 1962, Gino Paoli è l'unico collega che
incide a volte canzoni di Ciampi, abitudine che non abbandonerà
mai. Lo porta di nuovo in RCA bluffando clamorosamente e
presentandolo, dall'alto della sua "forza contrattuale",
come una specie di gallina dalle uova d'oro; i discografici
credono a Paoli e forniscono a Piero non solo un contratto,
ma addirittura un ottimo anticipo in denaro che Ciampi va
immediatamente a scolarsi, non producendo un solo pezzo
e facendo rescindere l'accordo. Piero Ciampi prosegue i
suoi vagabondaggi, così come i suoi versi vagabondano di
foglietto in foglietto in attesa di una musica. Di una poesia
arriva a scrivere venti versioni diverse, poi le incolla
a formarne un'altra, le spezzetta. Sono versi scarni, scheletriti
come lui; agri, grami come la sua voce e come Livorno. Non
lo conosce nessuno, ma esige d'esser chiamato poeta; è la
sola cosa cui tiene, assieme al vino e ai ricordi dei suoi
strani e disperati amori. Ottiene di farsi qualificare "poeta"
nel suo arruffato e spiegazzato passaporto, che ho avuto
una volta la ventura di vedere, da lui stesso mostrato a
chi lo prendeva in giro, all'Osteria dei Terrazzini, dicendogli
che in realtà non s'era mai mosso fuori d'Italia. Quand'era
ubriaco, cioè sempre, a volte parlava in francese.
Gli anni fra il 1973 e il
1974 avrebbero veramente potuto essere quelli della svolta
per Piero Ciampi; ma, come aveva cantato in "Tu no",
oramai "era fuori". Nello stesso 1973 una sua
canzone, "Io e te, Maria", viene proposta per
"Canzonissima" a Nicola di Bari, che rifiuta (ma
la inciderà più tardi); nella stessa edizione di "Canzonissima",
però, Carmen Villani canta un altro suo capolavoro, "Bambino
mio" (scritto assieme a Pino Pavone, un cantautore
calabrese che Ciampi aveva casualmente conosciuto nel 1960
durante un suo vagabondaggio sulle montagne della Sila e
che sarebbe stato un suo fedelissimo amico e collaboratore
per tutta la vita. Pino Pavone ha debuttato "in proprio"
solo nel 1992). Nel 1974, impressionata dalle canzoni di
Ciampi, Ornella Vanoni contatta Gianni Marchetti e gli chiede
di produrle un album intero con canzoni di Ciampi; Marchetti
si precipita da Piero, ma non lo trova. è non si sa dove,
verosimilmente ubriaco. Quando ricompare, sfumato ormai
il progetto dell'album per la Vanoni, Piero è sempre più
irrequieto, imbarazzante e "in vino". Va a cantare
in salette cosiddette "d'élite" per pigliarsi
i soldi, attaccando regolarmente briga col barman e insultando
pesantemente il pubblico di ricchi borghesi (spesso piantando
tutti in asso; a Firenze, nel 1975, se ne va via senza neanche
finire il primo pezzo affermando poi d'essere il "cantante
più pagato d'Italia, trecentomila lire per mezza canzone").
Gli episodi di questo periodo sono numerosi; a Roma, mentre
assiste ad uno spettacolo di Silvan, lo manda pubblicamente
in culo (parole testuali) perchè i suoi giochi di prestigio
gli appaiono banali; un'altra sera è protagonista di una
rissa con Franco Califano, che lo ha invitato nel suo night
senza offrirgli da bere. I colleghi gli stanno rigorosamente
alla larga, e lui ricambia volentieri la diffidenza. Ha
una silenziosa e grande stima da parte di Fabrizio de André
(ma non di Francesco Guccini); invitato al premio Tenco,
qualifica gli intervenuti come "pezzi di merda";
e così ricordano il Ciampi del 1976 Zazà Gargano e Stefano
Palladini, due cantautori romani per i quali Piero avrebbe
dovuto produrre un disco di canzoni in romanesco:
"Non sappiamo a quanti
artisti sia capitato di essere prodotti da " uno che
ha tutte le carte in regola per essere un artista "
come Piero Ciampi. A noi è capitato. A Roma nel 1976. [...]
Piero produttore significa uno di Livorno ma anche un pò
di Parigi. Che dice "vaffanculo" in mezzo al traffico
della via Tiburtina e lo dice alla livornese, senza curarsi
del fatto che possa essere capito in romano. Ed è tutta
un'altra cosa. Roma, già allora, si stava americanizzando
e allo scherzo o offesa di parole cominciava a rispondere
coi fatti. Era un autentico rischio stare in macchina con
Piero, tutti i giorni per un mese."
Negli ultimi anni Piero Ciampi torna più spesso a Livorno,
"la città più difficile per tutti". Qui si innestano
dei miei ricordi personali che sarebbero totalmente confusi
e fatti esclusivamente di silenziosi incroci sui marciapiede,
se non fosse stato per quel tardo pomeriggio del 6 marzo
1979, all'Osteria dei Terrazzini, conosciuta anche come
"Enoteca Mannari", via dei Terrazzini 68, Livorno.
Ma è una cosa mia, ed è l'ultima volta che Piero Ciampi
è stato visto a Livorno. Ogni anno, il 6 marzo, all'osteria
c'è una bicchierata in ricordo di Piero; di Piero come amico
e bevitore. Molti non ci sono più. Molti non sapevano neanche
che cantasse e scrivesse canzoni. Uno aveva lavorato con
lui, quand'era ragazzo, alla "Razzaguti Oli".
Piero era alto un metro e ottantasei. Aveva gli occhi scuri
e uno sguardo dolcissimo. Non mi ricordo d'averlo mai visto
una volta pettinato; ma a Livorno c'è sempre vento.
Il 19 gennaio 1980 Piero
Ciampi fu vittima di un terribile imbroglio; dopo essersi
preparato per tutta la vita una morte per cirrosi epatica,
l'ultima sua "carta in regola", se n'è andato,
a Roma, per un cancro alla gola.
Aveva scritto, in una sua poesia del 1975:
Il corpo
è un sublime
atroce
porco.
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