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Le BiELLE RECENSIONI
Tetes de Bois: "Pace e male"

Avvince e convince
di Giorgio Maimone

Uno dei dischi più belli dell’estate 2004. Non è immune da pecche questo “Pace e male” che però si porta dietro un bel titolo e un carico di idee degne di riempire 5 o 6 cd. I Tetes de Bois hanno dallo loro parte una buona capacità di scegliere le “compagnie giuste” e un ufficio marketing molto efficace. Nel senso di una grande capacità ideativa culturale che fa sì che le loro scelte non siano mai casuali, ma che procedano per progetti e che questi progetti abbiano sempre una dignità e un interesse che non possono lasciare indifferenti. “Pace e male” segue a due anni di distanza quel “Leo Ferré, l’amore e la rivolta” che tanto ha dato al gruppo romano (il Premio Tenco, il Premio “l’Isola che non c’era”, la partecipazione al Mantova Musica Festival, 4.000 copie vendute in Francia e 18 mila in Italia e un’altra manciata di conoscenze giuste).

Quando si parla di conoscenze si intende citare le persone che hanno collaborato al disco: una piccola pletora di nomi di qualità (Paolo Rossi, Daniele Silvestri, Mauro Pagani, Antonello Salis, Gianni Mura, Davide Cassani, Ugolino, Arnoldo Foà, Marco Paolini), quando si parla di progetti culturali si intende invece la capacità di scegliersi fonti di ispirazione elevate. E anche per questo disco la lista è lunga, lunghissima: Dino Campana, Charles Baudelaire, Ezio Vendrame, Fabrizio De André, Leo Ferré, Georges Brassens, Arthur Rimbaud. E scusate se è poco! Se poi ci aggiungiamo anche come ghost track “La canzone del ciclista” e ci si ricorda di dedicarla a Fabio Casartelli, ex campione olimpico di ciclismo, morto in corsa al Tour de France ecco che il quadro si completa.

Due sono i cd, divisi in “Canzoni”, il primo e “Autoradio/Autovideo” il secondo. Nomi gratuiti? No, perché “Autoradio” offre una serie di composizioni sospese, interrotte, spezzettate e intervallate da cronache radiofoniche d’epoca e “Autovideo” è una traccia video che contiene un’intervista con Andrea Satta (voce e autore quantomeno dei testi, nonché riconosciuto leader della band) e frammenti di interventi delle suddette Teste di Legno (traduzione letterale) tra ferrovie, stazioni abbandonate e metropolitane, tram di linea, gabbie dello zoo, Festival di Stradarolo e Ferrovia dell’Allume). Il vero prodotto è “Canzoni”, mentre “Autoradio” contiene soprattutto curiosità, stimoli, spezzoni e mini-provocazioni. Da non dimenticarsi di sfogliare il libretto. Alcune sorprese stanno solo lì dentro: ad esempio una canzone composta di solo testo (“Cerco”), con l’invito agli ascoltatori di provare a comporci una musica sopra e poi spedire ai Tetes de Bois. Cosa si vince? Niente. La canzone sarà arrangiata assieme all’autore e entrerà nel repertorio della band.

Ma non è finita: ancora nel libretto restano da segnalare “Come nascono le canzoni …”, identificata come “mail inviata ad una band di marziani che sta per fare una tournée in Italia”. E’ molto bella e andrebbe comunque letta. Conclude il libretto una breve lirica: “Tienimi la mano, amore mio/ siamo due petti di pollo surgelati / potevi dirmelo che non eri più innamorata / hai aspettato una cazzata / per cambiare la tua vita”.

E’ andato via lo spazio di una recensione e ancora non siamo arrivati a parlare di canzoni. E questo, se vogliamo, indica un altro dei pregi di Satta e dei Tetes. Il contorno supera l’importanza del primo piatto e anzi ne distrae l’attenzione. Ma il piatto è sostanzioso ugualmente e forse non ci sarebbe bisogno nemmeno di tutte le altre idee di cui si fa scialo a tonnellate. Tra l’altro, se un limite era facile riscontrare nel lavoro dedicato a Leo Ferré era la monotonia di fondo e la scarsa duttilità della voce di Satta (peraltro in linea con la parte), in questo caso invece i salti di clima sono molti e le atmosfere variano, anche se la cifra stilistica della band romana sarà sempre quella di un gruppo che suona e canta sottotono.

Eppure “Abbasso Nixon” è un bellissimo ritratto di una giovinezza anni ’70, orchestrato con sapienza e proposto con una grande maturità (da segnalare il ruolo narrante della tromba di Luca De Carlo). E poi un testo che inizia con “Pallonate crude / addosso al muraglione” non può che mantenere le promesse d’esordio. Di grande spessore anche la seconda canzone “Tute”, caratterizzato dal refrain “L’analgesico fa male/ l’anestetico fa male / l’analettico fa male”, caratterizzato anche dalla voce filtrata di Satta e dalla presenza d’appoggio di un quartetto d’archi. Completa il trittico di partenza il pezzo forte dell’intero album: “Ce l’ho con l’amore” che Andrea Satta ha liberamente adattato da alcune brevi liriche di Ezio Vendrame (il poeta ex calciatore). Il risultato è strepitoso. La musica, minimale ma densa, penetra tra i brividi che la voce, grattando sulle corde vocali, produce e il senso dei versi conferma: “Ce l’ho con l’amore / che tanto mi fa male / Dalla voliera dei sogni / sono spariti i trespoli. / Ho murato la finestra ad est / Così ora / anche nello spreco / dei miei giorni / nessuna alba mi potrà distrarre”.

Ma non è un disco fatto solo di tre canzoni. “Dottor De Rossi” e “Io sono allegro” (perché sono cretino) segnano un cambio di tono, ravvivando l’atmosfera a virandola su ritmi e tematiche più vivaci. I testi abbandonano l’introspezione per puntare alla satira. Pur tenendo conto dell’enormità del paragone, è un po’ come quando il miglior Jannacci alterna nei soi dischi momenti seri ad altri di puro cabaret. E a conferma di questo, alcuni toni del cantato di Satta e l’intervento parlato di Paolo Rossi che, nel finale di “Io sono allegro” jannacceggia parecchio.

Con “Le rane” si ritorna invece al clima della prime canzoni. Ospite Daniele Silvestri, ma il merito della canzone è intrinseco. L’accompagnamento è delicato e sottotraccia. Pianoforte, tromba, contrabbasso e chitarra disegnano un arabesco delicato su cui si stendono le voci, al servizio, come al solito di un testo di grande spessore.

Resta da dire qualcosa sulle cover. Tra la voce di Andrea Satta e quella di Fabrizio De André corrono tutte le categorie del mondo. Magica di velluto e affascinante quella del secondo (De André per non lasciare equivoci), noiosetta e lagnosetta quella del primo, per quanto sempre in parte con i testi che racconta. “Amore che vieni amore che vai” non va quindi paragonata su questo piano, in quanto incommensurabile. Musicalmente però è interessante e il tributo, globalmente, è meno esangue da quello proposto da Battiato. Le cover di Leo Ferrè non presentano problemi, in quanto i Tetes stanno nel loro. Per Brassens si è scelto di tradurre il testo e farlo recitare a Arnoldo Foa e, tranne un grave errore di grammatica (“gli tiravo maledizioni” riferito a una donna, dove ci sarebbe voluto “le tiravo maledizioni”) l’esperimento funziona. Da segnalare sul secondo disco una intensa “Le bateau ivre” eseguita dal vivo ad Argenta”.

Per finire non passiamo sotto silenzio “Vomito”, reazione di adeguato disgusto alle situazioni della vita..

I Tetes de Bois vanno citati tutti (anche perché parole e musiche sono sempre attribuite all’intera band): Carlo Amato al basso, computer e campionamenti, Angelo Pelini al pianoforte, fisarmonica, tastiere, Luca De Carlo alla tromba, Maurizio Pizzardi alle chitarre, Gianni di Rienzo alla batteria e percussioni, Andrea Satta alla voce, Raniero Terribili fonico, Fabio Lauteri comunicazione e Anna Maria Piccoli architetture umane. Più difficile capire gli ultimi due ruoli, ma probabilmente fondamentali alla luce delle considerazioni svolte all’inizio sulle ottime entrature che sta capitalizzando la banda romana. La maggior parte del merito va però alle qualità del gruppo e alla musica da loro suonata ed espressa al meglio in questo “Pace e male”.

Tetes de Bois
"Pace e male"

L'amore e la rivolta - Manifesto cd - 2004
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Ultimo aggiornamento: 22-08-2004

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