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Le
BiELLE RECENSIONI |
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Loris
Vescovo: "Stemane ulive" |
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Vino
di Gravner, prosciutto di Sauris, buona musica Tanto per cominciare è un disco in lingua friulana. Come Maieron. Ma i paralleli finiscono qui. Come Lino Straulino, ma i paralleli non partono neanche. È evidente che in Friuli qualcosa di importante deve essere successo negli ultimi tempi, perché una terra al margine della musica di colpo si rivela ricca di talenti: oltre ai già citati ci sono anche gli Arbe Garbe e i Flk di cui nulla conosco, ma che mi garantiscono siano dei grandi a loro volta. “Friulani e/o giuliani anche Stefano Montello (co-firmatario con Straulino del cd "Sss"), Fabian Riz, Aldo Giavitto, gli ArbeGarbe, gli FLK (sinora 4 cd, uno più bello dell'altro), i Trastolons, Paolo Paolin, Ariadigolpe, Croz Sclizzaz, Zuf de Zur e andando indietro Inzirli e Detonazione... un sacco di gente che suona e suona bene” scrive Marco Pandin, uno del luogo e uno che se ne intende. Di Loris Vescovo colpisce al primo ascolto questa sensazione di pieno orchestrale. Insomma non sembra un cd fatto in casa (e peraltro non lo è). Niente a che vedere col cantautore col chitarrino. Lui la chitarra la suona e canta, ma il Cercis Quartet annovera sax, double bass, drums, percussions più Fabio Pagani addetto alle “live performance” (che su disco sfuggono). Alle spalle abbiamo ancora tromba, tuba e armonica, violoncello (forse è qui l’aggancia maggiore a Nick Drake), l’accordion, tamburica, tambura, tabla, harmonium, sitar. Più un paio di seconde voci al femminile e cori. Quanto basta a garantire una massa di “fuoco sonoro” rilevante. Le canzoni quindi si dipanano l’una dopo l’altra senza soluzione stilistica. Un’atmosfera globalmente malinconica, ma mai triste, la sensazione del tempo passato, ma difficilmente con dolore. Canzoni che anche nei titoli richiamano il lento fluire del tempo: Venerdì, domenica, aprile. Difficile stabilire un genere, come già detto: in alcuni momenti sembra di sentire il Van Morrison di "Astral Weeks". È musica aperta, di ampio respiro, musica da gustare con polpastrelli e pori aperti, da farsene pervadere e solo dopo andare a cercarne il senso nelle parole (comunque tradotte,ottimamente, anche inglese, sul libretto del cd). “Piatto l’orecchio dell’Oste/ piatta la gente/la piccola pianura”. “Ti voglio bene come la vela al vento/ che trema di piacere quando va alla riva”. “Mi aspettavo che tu avessi/ una chiara voce nel fruscio/ ….di te mio siero non sono più ubriaco/eppure non mi sento sobrio”. “togli di mezzo il poeta maledetto/ che va attizzando i tordi”. “sotto la divisa i miei vent’anni stanno stretti tutti insieme”. “Il cielo di maggio pareva dirmi/ tua la vita stendi pure le mani/ baciala in bocca e non aspettare domani”. “Nella sera nuda del sabato/ mi accontento di vedere la gente”. ”È stata la carnagione sono state le tue lentiggini/è stato il tuo modo racchiuso di stare in piedi?” Una manciata di fasi strappate, estrapolate dal contesto. Una manciata di frasi che sanno di poesia. Perché Loris canta bene e suona bene. Da “Tumburs”
con un trascinante intro di sitar, usato come grimaldello per accedere
a un canto popolare (anzi, a due che si fondono) a un’intensa “L’ultima
sena” (L’ultima cena), all’aerea “Al
mal dal sabida” (Il male del sabato, ispirato a una poesia
di Pasolini) un disco da non perdere. Loris Vescovo,
musicista, autore radiofonico, studioso del bosco e camminatore, vive
in Friuli. Questo è il suo secondo disco.
Loris
Vescovo Ascolti collegati
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aggiornamento: 12-12-2002 |
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