La
mano di Mauro Pagani si sente: un gran disco
di Leon Ravasi
Da
qualche tempo in qua Roberto Vecchioni, l'adorato Roberto Vecchioni,
mi lasciava freddo. "Sogna ragazzo sogna" mi era sembrata
la solita riscrittura di un pezzo eterno e mai concluso e qualche
timore nutrivo anche per il nuovo disco. E invece, a sorpresa, questo
disco mi è piaciuto. Mauro Pagani può essere considerato
una garanzia, soprattutto visto il favoloso lavoro messo assieme
con Massimo Ranieri. E, per quanto non sappia quanto le sue mani
abbiano lavorato tra i solchi e quanto le sue scelte siano state
pregnanti, posso dire che si avverte un'impronta più profonda
e attenta sul piano musicale. Il disco suona proprio bene. Un disco
misto, frastagliato, tra sensazioni di "dolce rinuncia"
e imprevisti scatti di vitalità.
Tra
il sentirsi stanchi e il volere ancora provare a lanciare sassi
nello stagno perché si pensa che possa servire. Siamo sulla
lunghezza d'onda del solito Vecchioni: per quanto in "Figlio,
figlio, figlio" ci sia un richiamo voluto a "Ottocento"
di De Andrè, non siamo di fronte a un nuovo "Creuza
de ma". La carta preponderante è quella della nostalgia,
una nostalgia musicale, una pioggerellina leggera, che schizza,
ci bagna, ma non ci lascia fradici. C'è ancora speranza,
c'è tempo per asciugarsi e avvolgersi l'anima in tanti pannicelli
caldi.
Struggente
e bellissima è "Viola d'inverno":
"Arriverà che fumo/ o che do l'acqua ai fiori,/
o che ti ho appena detto:/ "scendo, porto il cane fuori",/
che avrò una mezza fetta/ di torta in bocca,/ o la saliva
di un bacio/ appena dato,/ arriverà, lo farà così
in fretta/ che non sarò neanche emozionato …/ / Arriverà
che dormo o sogno, o piscio/ o mentre sto guidando,/ la sentirò
benissimo / suonare mentre sbando,/ e non potrò confonderla
con niente,/ perché ha un suono maledettamente eterno:/ e
poi si sente quella volta sola/ la viola d'inverno".
Qualche
dubbio in più lo lascia il testo del "Mago di
Oz", trasparente caricatura dell'Italia dei Berluscones.
Il testo, letto a sé è imbarazzante, ma bisogna sentire
che una volta sentita la canzone l'effetto, fortunatamente decade.
E poi, che volete che vi dica, il fatto che qualcuno, in qualche
modo cerchi di ridicolizzare il "presidente del consiglio delle
corna" non può che farmi piacere. Peccato che lui, il
nano di Arcore, sia più bravo anche in questo: nel ridicolizzarsi
da solo.
Struggente malinconia e bellezza (fin dai titoli) offrono poi "La
bellezza - Gustav e Tadzio" (che, caso ameno della
sorte, inizia con "Passa la bellezza" che era il titolo
di un disco del '91 dello stesso Mauro Pagani) e "Malinconia
leggera", dove gli estri romantici del cantautore
vengono ben serviti dagli interventi strumentali dell'arrangiatore,
che in alcuni casi sembra portarsi al ruolo di co-autore. Sono almeno
tre canzoni che meritano di finire nella parte alta del canzoniere
di Vecchioni e che non dovrebbero mancare in nessuna antologia a
lui dedicata. La sensazione predominante è che siano tutte
musiche che "entrino dal basso", che si facciano strada
lentamente, come una nebbiolina che sale a coprire la distanza tra
un ricordo remoto e la sua reviviscenza canora. E così salendo
piano piano le melodie ti intridono di tenerezza e quando te ne
accorgi è già troppo tardi: ti hanno preso e non ti
lasciano più.
Per concludere: un disco di atmosfere pacate e di temi densi. Un
disco pensoso che potrà fare piacere ai vecchi fans del professore.
Ultima nota: scarsina la copertina. Il tema offriva ben di piu'
all'immaginario collettivo.
Roberto
Vecchioni
"Il lanciatore di coltelli"
Columbia Sony - 2004
Nei negozi di dischi
Ascolti
collegati
Ultimo
aggiornamento: 19-10-2002 |