Dove
rock e canzone italiana stanno insieme come se niente fosse
di Lucia Carenini
Cominciamo
dal titolo del Cd, che non è il titolo di una canzone, ma
ci sta dentro. E già non capita spesso. Poi una buffa copertina,
e poi, una volta infilato nel lettore, una voce doce e matura. Lo
ascolto una volta. Prende. Lo rimetto su e inforco il libretto.
Musica di Edoardo Cerea, parole di Marco Peroni, produzione di Mario
Congiu. Un'altra coppia musicale dedicata più il piccolo
genio della scena musicale torinese.... Mmm il discorso si fa interessante.
Allora, Congiu lo conosciamo,
Marco Peroni è uno scrittore – per ora non molto noto,
anche se ha collaborato con lo storico Giovanni De Luna alla realizzazione
del programma "Voci di un secolo. La storia d’Italia
nei documenti sonori", andato in onda su Radio Tre - e ho giusto
sulla scrivania uno dei libri della collana "Le voci del tempo"
(libro più CD: una sorta di storia dell’Italia repubblicana
attraverso le canzoni dei cantautori) da lui curata. Ma Cerea? Butto
un occhio al sito web (bello). Mi informa che Edoardo Cerea e Marco
Peroni sono accomunati dalla passione per la musica e si sono incontrati
all’incrocio di due percorsi diversi: Edoardo nasce artisticamente
a Piacenza come musicista blues e rock e fin'ora ha fatto soprattutto
cover.
I due si incontrano nell’inverno
del 1999, scocca la scintilla e decidono di unire lo spartito alla
penna e di scrivere canzoni insieme. Ma manca qualcosa. A chiudere
il cerchio interviene, Mario Congiu uno che di canzone e di rock
se ne intende. Cantautore, polistrumentista e produttore si innamora
del progetto e si dedica alla realizzazione del disco d’esordio
di Edoardo Cerea: ne viene fuori un sound vivo e pulsante, dove
cantautorato e rock si fondono con naturalezza in una serie di ballate
rock con qualche tocco roots e un’impronta urbana.
Ecco, questa è la particolarità
del disco: rock e canzone italiana sono una cosa sola. L’impostazione
delle chitarre e del piano può far pensare allo Springsteen
di “The river” e il canto rimanda al cantautorato, ma
sono solo accostamenti, perchè la forza trainante di "Come
Se Fosse Normale" sta proprio nel richiamare senza scopiazzare.
Lo spessore del disco sta infatti nei rimandi agli americani che
popolano i nostri lettori - oltre al già citato Springsteen,
ci sono tracce di Tom Petty, Dave Alvin e John Mellencamp - non
in una sterile imitazione di modelli altri, ma in una ricerca su
suoni e arrangiamenti, che lega atmosfere, chitarre, intuizioni
tipiche del rock con la melodia tipicamente italiana. A tutto ciò
si uniscono i testi di Marco Peroni. Sono testi intriganti, mai
scontati. Soprattutto intimisti, parlano di sensazioni e immagini
di vita ("c'è un uomo che parla diverso da me, giornata
di lavoro, di lavoro e basta", "Io sono anche un altro
che non hai conosciuto, che non ti ho fatto vedere e non hai mai
neanche voluto", "faccio un mestiere come tanti, solo
un po' più sicuro e meno mio" ), strofe che ti si piantano
dentro, che si fanno riascoltare e canticchiare.
Nel libretto c'è una foto
sola, un uomo (Edoardo Cerea?) al bordo di un campo (la pianura
piacentina?) che indica un punto lontano (le pianure americane?).
Se fossimo la guida Michelin diremmo che Solo nell'aria,
il brano che apre il lavoro da solo vale il viaggio. La musica trascina
grazie ad una sezione ritmica molto curata e ad una chitarra elettrica
che riffa e tira e tende fino al’esplosione finale. Ma i nostri
sanno fare anche altro: Tre accordi, il brano successivo
ha i toni della ballata, con tanto di mandolino, così come
Sono anche un altro, dove violino e violoncello
sottolineano la storia, malinconica e dalle fattezze cantautorali.
Il mio giocattolino è più immediata,
ritmata, se solo il disco fosse stato distribuito decentemente sarebbe
anche potuta diventare un tormentone estivo. Quasi giorno
è forse il pezzo più contaminato: inizia con percussioni
quasi tribali, passa a chitarre e tocchi di campana che sanno di
soundtrack alla Morricone, poi è chitarra tesa e improvvisamente
si apre e compare una tromba che trascina in un finale jazzato.
Con Parto da quello che c'è si torna alla
ballata così come in Come hai fatto presto,
che da lenta e intensa costruzione su piano e basso si evolve elettricamente
verso un ambiente quasi psichedelico. Senza sicura,
il brano finale, è un gioiellino dal sapore notturno in cui
perdersi e lasciarsi andare.
Come se fosse normale
è un disco che emoziona, è un disco in cui la musica
è varia ma lascia una sensazione di unitarietà compositiva
e i testi di Marco Peroni, sono semplici come i sentimenti e le
situazioni che esprimono. Sono parole mai banali e ombelicali; non
si parla né di lotta né di massimi sistemi insomma,
ma grazie al cielo è un buon pop-rock, solido e accattivante
che libera la canzone d’autore dalla “parte pallosa”
e il rock dalle sue pose estremizzate. Per quanto riguarda i suoni,
poi, la produzione di Mario Congiu è ottima, e quello che
rimane alla fine dell’ascolto è la sensazione che i
ragazzi abbiano messo una buona dose di amore in quello che hanno
fatto.
Edoardo
Cerea
Come se fosse normale
Elfo/BmgRicordi/Venus - 2004
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Ascolti
collegati
Il commento di Edoardo e Marco alle canzoni
del disco:
Si tratta di un lavoro di dieci canzoni – profondamente legato
al rock americano – che spazia dal “tiro” della
ballata a costruzioni armoniche e melodiche più moderne:
l’intenzione nei testi è quella di raccontare qualcosa
di profondamente sincero, cercando di evitare parole e immagini
che si sono “ossificate” su questo genere musicale -
il mito della “strada”, della trasgressione anche quando
non si è trasgressivi ecc.- e che soprattutto ci sono appartenute
da ascoltatori di rock ma non ci appartengono da autori. In un momento
di trasformazione come quello di oggi, diciamo pure di crisi, abbiamo
cercato di parlare delle cose che non ci piacciono (Solo nell’aria)
ma forse più che altro di quelle che ci sembra giusto proteggere
(soprattutto in Parto da quello che c’è).
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aggiornamento: 07-11-2004 |