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Le BiELLE RECENSIONI
Cesare Basile: "Gran Calavera Elettrica"

Un lento e suggestivo valzer con la morte
di Leon Ravasi

Meno elettrica di quanto si potrebbe supporre, visto il titolo e la produzione a quattro mani tra Cesare Basile e John Parish, produttore e arrangiatore di PJ Harvey, ma anche degli Eels e degli Sparklehorse. Se vogliamo trovare somiglianze con gli altri lavori di Parish forse dovremmo tenere più presenti questi ultimi nomi. Le atmosfere sonore della Gran Calavera Elettrica sono invece abbastanza rilassate, il canto è quasi sempre sotto le righe, ma le parole arrivano forti come schioppettate e sono parole dense e intense. Parole che hanno uno spessore e una storia alle spalle: storie che parlano di “miseria che si mastica”, di “acetilene che ingialla i muscoli”, di “aceto sparso nelle stanze del vino” e di “doglie della madre” da non dimenticare, mentre “i bombardieri hanno ripreso il volo”.

C’è un sapore antico nei tredici pezzi che Cesare Basile impila nella sua Calavera. Sono, per la maggior parte, pezzi corti: in sette casi non raggiungono i tre minuti e in in solo caso superano i quattro e, spesso, sottendono i ritmi in tre del valzer, quando non lo dichiarano esplicitamente come in “Waltz #4”. Brani che, in alcuni punti, ricordano le sonorità scelte dagli Yo Yo Mundi per sonorizzare “54”, ma quest’ultimo disco, come indica il titolo, è ambientato nel ’54. Anche il disco di Basile, coi richiami ai bombardieri, alle doglie della madre, alle miniere di zolfo, al “tuo nero migliore” alla “banda giù al porto”, alla “pietra bianca”sembra rimandare a una Sicilia ormai remota, che, forse, più che un luogo reale è un luogo della memoria e che, volendo ben guardare potrebbe essere anche un altrove magari remoto.

Parallela la storia di Cristo: l’orto degli ulivi, l’albero di Giuda, la trave che scricchiola o la frase “fu una scarica il saldo per nostro signore” (“In coda”). Spiritualità laica, ricordi, niente rimorsi, nostalgia, miseria. Gli strati che si depositano sulle note di Basile sono tanti che pare, più si avanza nell’esame, una millefoglie: ricca di frasi come “”Che questo petto è fatto /cembalo d’amore / e tasti i sensi miei / accesi e pronti / e le corde sono i pianti sospirati e i dolori / rosa è il cuore mio colpito a morte” (“Cantico dei tarantati”). Un disco scuro e scabro, osceno e sincero, cupo e non domo sin dal titolo (Calavera è parola spagnola che significa “teschio”) e come conferma anche la scelta del singolo: “In coda”, ossia, in sintesi, diciotto modi di affrontare la morte.

La costruzione melodica elettroacustica, formata di piccoli frammenti di suono, quasi minimalisti che si uniscono in echi folk e larghi quasi maestosi, servono al meglio le storie e le atmosfere da ricreare. Un piccolo gioiellino è “A little bit of rain” che chiude in minore il disco, lasciando la voglia di rimetterlo dall’inizio, dove ti accoglie l’antico canto dei tarantati.

Le “ospitate”, poche ma prestigiose, aggiungono pepe alla pietanza. Nada offre una grande interpretazione vocale in “Senza sonno”, mentre John Bonnar (Dead can dance) ha scritto e diretto le preziose parte per archi. Su tutto aleggia un ringraziamento per Manuel Agnelli, già compagno di avventure precedenti per Basile e aleggia anche, impalpabile ma presente, il fantasma in effige di Nick Cave e dei Bad Seeds, uno dei riferimenti ispirativi più prossimi per l’autore catanese.

Cesare Basile
Gran Calavera Elettrica

Mescal - 2004
Nei negozi di dischi o sul sito

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Ultimo aggiornamento: 14-04-2004

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