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Le BiELLE RECENSIONI
Fabrizio Consoli: "18 Piccoli Anacronismi"

Non ascoltarlo è farsi del male
di Giorgio Maimone

Non ascoltatelo. Se non avete voglia di sentire buona musica. Se non vi piacciono le atmosfere intelligentemente intriganti, se ascoltate solo musica ad alta rotazione, se per voi conta l’apparire e non l’essere. Insomma, se volete farvi del male non ascoltatelo. In caso contrario ascoltatelo. E se non vi bastano le vostre orecchie fatevi prestare quelle di un vicino. Fabrizio Consoli ha inciso un album di più di un’ora di musica e canzoni di assoluto pregio e valore. E se aggiungiamo che, in pratica, si tratta di un disco di esordio o di ri-esordio, il risultato ha ancora più valore. Per quanto mi riguarda ho poi una particolare passione per chi fatica prima di riuscire a chiudere un disco. E i “18 piccoli anacronismi” ci hanno messo 3-4 anni a vedere la luce, quasi a dimostrazione di un assioma: la musica bella si fa fatica a farla conoscere e riconoscere.

Fabrizio Consoli ha una bella voce bassa e calda da whisky invecchiato, ma che non ricorda altri in particolare ("Sono sufficientemente smaliziato da rilevare in me toni e ispirazioni di Paolo Conte, Tom Waits e De Gregori" dirà invero in un'interivsta di prossima pubblicazione su Bielle. Ma restano ispirazioni, non cloni). Ha un modo educato del porgere che lo allontana dal genere “maledetto all’ultima spiaggia” e soprattutto ha un suono cristallino delle chitarre da lui stesso suonate che lo caratterizza. Il tema di fondo è un viaggio accennato sulle rotte di una o più notti cittadine. Potrebbe anche essere la storia di una notte sola, con i suoi momenti di down, quelli di festa, piccoli successi, grossi tonfi, fino alla confessione finale ubriaca in un mattino di pioggia che fa evaporare le stille di coraggio e paura conficcate nella notte.

Consoli non racconta per esteso, suggerisce. Si limita a darci indicazioni e coordinate, con una serie di rapide pennellate impressionistiche che dipingono un mondo, più che raccontarcelo. E’ più un sapore, un umore, un mood che ti si attacca in una canzone e che ti segue anche nella successiva. Tanto gli anacronismi sono piccoli, in un caso non sfiorano neanche il minuto e in 5 altri quadri si resta sotto i due minuti. Ma l’obiettivo viene raggiunto. Che è quello di darci un quadro d’assieme. Ancora più bizzarro se si considera che i brani sono stati composti nell’arco di un decennio!

La musica batte territori di confine tra jazz, blues e canzone d’autore, senza peritarsi di precisare troppo dove sta portando ad abbeverarsi i cavalli che però finiranno le traversate del deserto notturno completamente dissetati, forse non del tutto sobri, ma sazi e senza sete. Il nostro Fabrizio, novello Leopold Bloom con 100 anni esatti di ritardo, ci porta per mano tra i meandri di una Milano da digerire, successiva a quella da bere; ma per mandare giù il boccone amaro sono necessari tanti amari! Il tono etilico di fondo pur tuttavia non sale mai oltre la soglia se non in "Basseggiando", scandita, come è ovvio da un bel giro di basso o dalla finale "Singhiniderein" (leggete bene). E l'anacronismo del titolo è forse ricavabile in questo tempo multiplo in cui una, due, cento sere si miscelano eguali nelle loro costanti diversità. Per cui si può tranquillamente passare dal simil-samba di "Que vida es" alla scanzonata "Sciupafemmine" con tanto di fischio, fino all'intensa "Cenere" ("Ora so / dalla cenere dei tuoi baci/ che il dolore ha soffiato forte / sul tuo cuore / ma non ne ha spente / le braci" o di "Un infinito" dove si fa struggento l'uso dal badoneon. Una nota di merito al bravo Diego Calvetti associato alla produzione.

Per il resto prevale la poesia tenue di "Un affare" (spendida!) : "Tu che mi ha comprato il cuore / con un pugno di sorrisi ... / l'avrai venduto già / al mercato dei tuoi guai / ma i sorrisi / son per sempre miei". Finita. Un minuto e undici secondi, "ma forse qualcuno è di troppo" come direbbe De Gregori. E a De Gregori torniamo ancora, perché, oltre al vezzo di brani cortissimi che ricordano "Musicanti" o "Suonatori di flauto" devo dire che è forse dai tempi di "Alice non lo sa", l'album, che non mi capitava di trovare una proposta autonoma così fortemente caratterizzata a un primo album o, se si vuole a un album di ri-partenza.

Eh, sì, perché Consoli ha fatto anche il musicista pop, con tanto di Sanremo giovani nel 1995, ai tempi di Grignani, Massimo Di Cataldo e Neri per caso. Fabrizio si era piazzato buon decimo (e ultimo) in compagnia di un tale Daniele Silvestri. La canzone ("Quando saprai" di Consoli-Finardi) non era indimenticabile. Una quieta storia d'amore. Il giovane allora aveva trent'anni (compleanno ricordato nella dolce "Trenta code" "da un biglietto di auguri di Barbara Cappi per i miei trent'anni"). Seguono lunghi anni a suonare basso e chitarra con Finardi, Bubola e altri grossi nomi e poi, a poco a poco la scelta di cambiare pelle e arrivare a questo disco registrato piano piano, un pezzo oggi, un pezzo domani e assemblato così tardi da rappresentare ormai una foto del passato per Fabrizio che già è al lavoro su un nuovo disco. Ma prima, se non volete farvi del male, non perdetevi questo.


Fabrizio Consoli
18 Piccoli Anacronismi

Suonimusic - 2004
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Ultimo aggiornamento: 28-06-2004

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