Poesia.
E cos'altro sennò? Ma un po' più di musica non si
potrebbe avere?
di Giorgio Maimone
Povertà,
rigore, asciuttezza. Ormai i dischi di Claudio Lolli si susseguono
e sempre più assomigliano alle pietre del San Michele, cantate
da Ungaretti: "così freddi /così duri / così
prosciugati /così refrattari / così totalmente / disanimati.
/Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede /
La morte si sconta vivendo". Claudio Lolli sembra voler significare
qualcosa di simile. Forse il rifiuto a vivere all'interno di un
periodo simile, forse a voler mantenere sempre più le distanze.
Ma il fatto è che le atmosfere si rarefanno sempre più.
Del canto restano pochi accenni, la musica è la sola e sempiterna
chitarra di Paolo Capodacqua, a volte toccata dalla grazie e altre
volte che fa quello che può.
Forse
a Claudio converebbe fare come l'ultimo Vecchioni: trovarsi un piccolo
combo jazz sulle cui rarefatte armonie intessere la meraviglia delle
trine delle sue parole che cadono come pietre, come sassi su cui
sta inciso, a rammento perenne, la storia della nostra inadeguatezza,
della nostra miseria, della nostra incapacità ad affrontare
(ormai non si pretende più "a cambiare") il mondo
che ci sta davanti.
E' un recital, in fondo è poesia e nemmeno tanto
in fondo. Al disco partecipa un poeta laureato maggiore ("e
un lauro da genio minore / per me sul suo onore / non mancherà"
- Guccini, "Via Paolo Fabbri, 43) come Gianni D'Elia e lo innerva
la robusta e sicura poesia di Claudio, che, rispetto ad altri lavori
più recenti canta di più. Ma bisognerebbe intendersi
sul senso di cantare. In realtà è solo una sfumatura
che differenzia le poesie di Gianni D'Elia, su musiche di Capodacqua,
dalle canzoni di Lolli, su musiche sue, ma suonate da Capodacqua
(sfido sentendo solo la chitarra a capire se sta per parlare D'Elia
o per cantare Lolli!).
Cionondimento questo disco ha un fascino, che viene proprio dalla
sua ieraticità, dal suo rigore estremo, dalla dirittura morale
degli interpreti. E' un disco rispetto al quale ci si mette in ascolto
come di fronte a una messa profana. Sono canti e poesie di resistenza
politica e umana. Sono canti che ci stimolano a non mollare la nostra
guerra contro l'assenza di pensiero. D'Elia parla della strage delle
Due Torri ("Pietà solidale al popolo / non all'imperatore"
... "umanità, non vedi? / sei la tua stessa brace /
continui a uccidere ogni altro in te / crudele per fede e per potere
infame"), parla della saggezza contadina gettata via ("Sedicimila
anni contadini, ecco
/non erano bastati, ci volevano i nati / nel secondo novecento,
per guastare / tutta la catena della vita naturale / con tutta la
nostra intelligenza artificiale"), ci parla degli slogan
elettorali di Forza Italia ("Ora sui tetti delle case,
e sulla nostra / LA SCELTA DECISIVA - FORZA ITALIA - mostra / petulante
come il suo padrone e il ronzio / ti assale, ti irrita, nuoce ..."
Non un attimo per rilassarsi, per mollare la presa, nessun cedimento,
nessun patto "con gli altri". Diversità esibita
e coerente. Diversità da difendere, perché minoritaria,
da difendere con la forza della poesia ("l'unica liberazione
vera"). La poesia "umana, universale, non confessionale"
mentre viviamo questi anni in cui abbiamo "per signore
un re da niente / bassa stagione, arbitrio del potente"
Dall'altra parte Claudio canta di Vietnam, di fascismo, di "un"
comunista e di "Anna di Francia", grande dea dell'amore,
della sensualità e della libertà. E anche Claudio
ci azzanna e non ci molla mai, con la ferocia delle sue immagini,
con la precisione chirurgica delle sue metafore. Non ci siamo forse
tutti dietro "La fine del cinema muto"?
Non siamo anche noi coinvolti (e quindi non assolti?). Non siamo
anche noi attori superati che affollano i bar, che riempiono le
panchine, che guardano passare "il futuro mondo fantascientifico"?
E non è questo un altro modo, in un distillato di pura poesia,
per cantare le disillussioni di una generazione, che (forse) ha
perso, come dice Gaber, ma con tutto un altro retrogusto. E poi
Lolli stesso ci ha insegnato l'importanza della formula: "pausa-aperta-parentesi-forse-chiusa-parentesi".
Le canzoni sono sempre le stesse? Non direi. Alcune sì: "La
fine del cinema muto", praticamente identica, era
su "La terra, la luna e l'abbondanza",
cd abbinato al libro su Lolli di Jonathan Giustini, edito
da Stampa Alternativa (e poteva essere altrimenti?) e anche "Angoscia
metropolitana" arriva dallo stesso bigoncio o, meglio,
si può trovare all'interno dello stesso bigoncio. "Anna
di Francia", ma in due versioni molto differenti,
era dentro anche agli "Zingari 2003" rivisti
col Parto (meglio questa, meglio ancora quella
originale e insuperabile del 1976!). "L'amore ai tempi
del fascismo" si trova anche sull'ultimo disco di
studio di Claudio, "Dalla parte del torto"
del 2001 (a proposito. nel 2006 dovrebbe esserci il nuovo Lolli
di studio! Viva! Cinque anni sono dovuti passare ...). Ma "Tien
an men", qui in una versione emozionante, non rivedeva
la gloria di una pubblicazione dal 1995 (è a suo modo un
decennale!), da quel "Piazze, strade, sogni"
e prima ancora da quel "Nove pezzi facili"
del '92 che hanno segnato un po' il ritorno di Lolli alle registrazioni
in quel decennio di quasi silenzio.
Ma ci sono anche due autentiche perle, materiale per collezionisti.
Brani forse (e ci risiamo con l'importanza dei "forse"!)
dimenticati anche dai duri e puri. Il primo è "Canzone
di bassa lega", riproposta in una versione straniata,
brechtiana fino al midollo, ben resa dal contrappunto chitarristico
nervoso, scalpitante e continuamente stoppato di Paolo Capodacqua.
"Canzone di bassa lega" viene da "Intermittenze
del cuore" (1997) e da lì mi sembra non fosse
mai stata ripresa. Vale il disco.
E poi c'è "Quello lì (Compagno Gramsci)"
che dal lontanissimo 1973 (ossia trentadue anni fa) non
era più stato inciso, salvo errori od omissioni. E, col testo
rivisitato dal Ministro Castelli, come dice Lolli dal vivo (non
è vero, ma vi giuro che sembra!) diventa il pezzo forte di
questo recital. Ancora più tesa e vibrante che nel 1973,
ancora più cattiva, proprio perché i cattivi hanno
vinto (ma "non hanno domani" come suggeriva Bertoli,
quasi altrettanto tempo fa) e la loro deformazione grottesca, quel
tratto alla Grosz che Lolli ha sempre avuto, rischia di essere nulla
più che una copia dal vero. Natura morta come lo stato dei
loro cervelli all'ammasso.
Insomma, un disco vero, duro, teso, cattivo, incazzato, per un recital
di resistenza umana tenuto a Montebelluna, quest'anno da "il
più grande poeta italiano: Gianni D'Elia, il più grande
chitarrista abruzzese: Paolo Capodacqua e il più grande cantautore
bolognese: Claudio Lolli", come dice lo stesso Lolli sugli
applausi finali. Può non piacere? Certo!
E' lento, scarno, antimusicale: ma è poesia, vola alta, non
è fatta per vendere!
Lolli,
Capodacqua, D'Elia
"La via del mare"
Liocorno/L'Unità - 2005
Nei negozi di dischi? Mah, più facile trovarlo abbinato all'Unità
o sul sito di Liocorno
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aggiornamento: 14-11-2005 |