Disco
pulito, lineare e coraggioso
di Giorgio Maimone
Sarebbe
un album di cover, ma non spaventatevi: tranne un passaggio dai
dintorni di Tenco, Guccini, De André, Fossati, De Gregori e Jannacci,
peraltro sui versanti meno conosciuti, quasi un viaggio sulla faccia
nascosta della luna, per il resto le cover sono di Lalli, Mario
Congiu, i Truzzi Broders, i primi Perturbazione, Paolo Manera e
lo stesso Stefano Giaccone
Quando si parla di faccia nascosta della luna si parla
di una scelta che privilegia “Da mae riva”
di De André, ultimo episodio in coda a Creuza de
Ma, “Canzone della triste rinuncia”
di Guccini dall’ahimé misconosciuto Stanze
di Vita Quotidiana. Per Jannacci si tratta di una mai coverta
“Il monumento” (nel senso
duplice che non ne hanno mai fatto cover e che finora non l’avevo
mai sentita). Stringendo, stringendo di un album di cover gli unici
pezzi noti sono “Vedrai vedrai”
di Tenco, “Lindbergh” di Fossati”
e “Le storie di ieri” di De
Gregari, cantata anche da De André e dagli ultimi Yo
Yo Mundi.
Una scelta inconsueta se è vero che, nel giro
della musica italiana, le cover servono per garantirsi passaggi
radiofonici (vedi il bel libro curato da John Vignola
e scritto da metà redazione del Mucchio
“Su la testa”.
Ma un po’ tutta la carriera di Stefano Giaccone non ha seguito
i binari tracciati: personaggio volutamente marginale e quindi intimamente
seminale della scena torinese, ha sulle spalle una parte del fenomeno
Franti e molte contribuzioni al movimento musicale
sviluppatosi all’ombra della Mole. Un percorso quasi analogo
a quello seguito del suo co-equipier e co-intestatario del disco
Mario Congiu che in questi anni abbiamo avuto il piacere di vedere
e sentire (dietro o davanti alla consolle) con Carlo Pestelli, Federico
Sirianni, la stessa Lalli e anche in proprio (forse il lavoro meno
convincente tra quelli citati).
Il disco è un disco povero e raccolto, ma
non per questo scarno: un violoncello qua, un violino là,
un clarinetto ancora un passo oltre, una fisarmonica, un’organo,
percussioni qua e là, spruzzate di basso e batteria, ne esce
un disco di musiche pacate, dove grande rilevanza viene dato al
testo e alle storie narrate. Tra le cover note da applausi “Da
mae riva” e “Lindberg”, sufficienti “Le
storie di ieri” e “Vedrai vedrai”, un tono sotto
la “Canzone della triste rinuncia”.
Tra gli episodi a me meno noti
“La corda di vetro” dei Perturbazione,
“Fabbrica” di Congiu
e “T’ho visto in piazza”
dei Truzzi Broders. Non lasciano tracce particolari
i brani di Lalli e di Giaccone, ma la sensazione
finale è di un disco di assoluta onestà e pulizia,
dal piacevolissimo mood di fondo lento e suadente, ben accompagnato
dagli strumenti (produzione e arrangiamento di Congiu) e ben cantato.
Un velluto morbido su cui stendere sogni di ascolti già affrontati
Giaccone
& Congiu
"Una canzone senza finale"
Santeria - 2005
In tutti i negozi di dischi
Ascolti
collegati
Ultimo
aggiornamento: 05-07-2005 |