Piccola
banda ma grande disco che esplora i confini del Mediterraneo
di Leon Ravasi
Non
ho dubbi: è un grande disco. Uno dei migliori sentiti quest'anno.
Disco intenso, d'atmosfera e di passione. Disco ottimamente scritto
e ancora meglio eseguito. E se vi sembra che Stefano Saletti e la
Piccola Banda Ikona escano un po' dal nulla, forse andando a leggere
i nomi di chi vi fa parte e risalendo un po' per la loro storia
si avranno una serie di sorprese. Stefano Saletti, il band leader,
è stato per anni spina dorsale dei Novalia (sedici, per l'esattezza),
condivendo la "militanza" e ben 10 dischi con quel Raffaello
Simeoni che quest'anno ci ha deliziato con "Controentu".
Ebbene sì: gli ex Novalia, separatamente, ci hanno dato due
dei dischi più belli dell'anno!
Ma con i nomi conosciuti non ci fermiamo qui: Giovanni
Lo Cascio (percussioni in genere, per farla breve) è
originario sempre dai Novalia, Mario Rivera, che
contribuisce alla produzione e all'arrangiamento, oltre a suonare
il basso nel disco, fa parte dagli Agricantus, H.E.R.,
la misteriosa violinista è in realtà (o era?) Ermanno
Castriota, già violinista dei Nidi d'Arac, Carlo
Cossu viene dagli Acustimantico, Teresa De Sio e Nando
Citarella. Le due voci femminili sono Ramya (che
viene dai Nuklearte, gruppo che seguiva derive simili) ed Elivra
Impagnatiello che non viene da nessuna parte (tranne Novalia,
Agricantus e Boom Boom Language!), ma che ha una purezza di voce
e una presenza scenica tali da stendere. Per finire: Leo
Cesari viene dai Klezroym e tra gli ospiti troviamo Umberto
Sangiovanni (quello dell'altrettanto bello "Controra"),
Gabriel Zagni (cantautore del giro Lucio Dalla)
e Alessandro Mancuso dei Beati Paoli. ,
Ma tutto questo sono solo i credits. E qui c'è invece di
parlare di un disco che è pura emozione. Il tema di fondo
lo si enuncia in due parole, neanche mie. Prendo quelle di Saletti
stesso: "In questo Cd ho cercato un linguaggio musicale
e lirico "che unisse tanti popoli diversi che si affacciano
sullo stesso mare", per citare Predrag Matvejevic lo scrittore
croato che con le sue parole ha ispirato molte parti del lavoro.
Ci sono il bouzouki greco, l'oud arabo, la darbouka, insieme a strumenti
della tradizione occidentale. C'è il siciliano, l'ebraico,
il serbo-croato, l'arabo, il francese, il lingala portato in Europa
dai tanti immigrati dell'Africa profonda e c'è il greco antico
che avevamo usato con Renato Giordano nella colonna sonora delle
"Vespe" di Aristofane. Ma soprattutto c'è la voglia
di ricostruire il ponte del dialogo e della comprensione tra Occidente
e Oriente".
E Stari Most,
il ponte di Mostar a schiena d'asino, crocevia e punto di incontro
tra Oriente e Occidente, distrutto durante l'ultima guerra dei Balcani,
proprio questo stava a testimoniare. L'album suona compatto e duttile,
come un macigno di pietra friabile, dove ogni canzone è un
grano di riso, un chicco di sabbia, una sorpresa musicale, un merletto
vocale. Non c'è una sola nota fuori posto e non ci sarebbe
spazio nemmeno per una nota in più, ma non perché
il disco sia lungo, anzi, spiace quando finisce e non si può
fare a meno di rimetterlo da capo. Perché è un lavoro
denso. Come miele da prendere con cautela e da far colare per accostarlo
al gusto dei formaggi o all'acido dello yogurt, perché si
sa che troverà la sua armonia. E' una musica dai colori di
miele e dal gusto di miele, anche se parla di argomenti, accenna
ad argomenti che fanno parte dell'epica dell'uomo e che trovano
la propria origine in brani di Aristofane ("Le
vespe", segnatamente), in frammenti di Archiloco
o nei versi di Predrag Matvejevic o Izet Sarajlic o Saffo.
Poteva essere la solita opera di musica di fusione o di confine
o di intrecci, sviluppatesi sulla scia ormai lontana lasciata da
Mauro Pagani e Fabrizio De André
con "Creuza de ma", ma invece
diventa un'opera che trova una sua necessità, utilizzando
decine di strumenti etnici, ma anche una solida base d'appoggio
drum 'n bass, Musica acustica che non rifiuta l'elettronica, musica
ibrida, ma scorrevole e fluida come latte che si mescola col miele
di sopra, per formare un tutt'uno di meravigliosa nostalgia e di
straordinaria lontananza nella pregnanza dei temi trattati. Che
sono guerre, nostalgie, solitudini, mari, soldati e affetti perduti.
Per ora o per sempre.
"Stari Most" è opera unitaria,
da suonare tutta in fila, senza salti e senza ritorni a capo. Tanto
non c'è una sola canzone da saltare: né gli 1'58"
di "Atelà", né i 5'57"
di "Amuri". Tuttavia "Na
potò makambo ebele" (E' duro vivere in Europa,
lamento africano) e "Thalatta" si staccano
verso l'alto. Ma sono sensazioni destinate a mutare. Perché
infatti non preferire "Stari most" o
?"Amuri" Questione di sfumature in un
disco che stacca le mitiche cinque stelle dal primo ascolto e che
non smette di piacere nemmeno dopo due settimane di continuati ascolti
pluriquotidiani. Ho almeno 30 ore di Stari Most nelle orecchie e
non desidero smettere. Con Capone & Bung Bangt e Massimo Larocca
questo è il terzo disco che mi rende memorabile la stagione.
E non è poco!
Stefano
Saletti e Piccola Banda Ikona
"Stari Most"
CNI - 2005
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aggiornamento: 06-10-2005 |