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Le BiELLE RECENSIONI
Massimo Bubola: "Segreti trasparenti"

Bentornato Cavaliere Acustico: tra trasparenze e pudori antichi
di Giorgio Maimone

“Segreti trasparenti”, in parte, è il disco che non ti aspetti. Massimo Bubola, come ama dire a sua volta, è ormai un pezzo di storia della canzone italiana: i suoi primi vagiti con De André risalgono a un quarto di secolo fa. E uno stile Bubola è ormai abbastanza codificato. Di questo codice fa parte ahimè anche la scelta di portare la voce a profondità a volte innaturali. Un conto è essere Leonard Cohen o Fabrizio De André e avere naturalmente la voce bassa, altro conto è sforzarla. Però, in “Segreti Trasparenti” molti conti iniziano a tornare. Sarà perché il suono cupo di Bubola è contemperato dal timbro fresco di una voce femminile (Elena Vaona), sarà perché in molti brani se ne dimentica a canta come gli verrebbe naturale, sarà per gli arrangiamenti curatissimi che ha creato con Michele Gazich, ma il disco non solo funziona, ma è un bellissimo lavoro, con alcune punte eccezionali. Bentornato al cavaliere acustico!

La fontana (e la domenica)”, “Stai con me”, “Entrambi”, “Per quanto tempo” “Quella campana” e “Tornano i santi” sono grandi canzoni che si innestano comunque su un tessuto dove anche i cinque brani restanti offrono saldi appigli per chi volesse provare a definire una via italiana al rock d’autore, con un bel melange di atmosfere che vanno dal neo-folk italiano di “La fontana”, al tex-mex ibridato reggae di “Per quanto tempo”, al country di “Stai con me” e alla ballata epica alla Mike Scott-Waterboys-style di “Tornano i santi”.

Atmosfere diverse eppure non dissonanti, perché il tessuto di fondo è omogeneo. Dice bene Bubola quando afferma che questo disco è quanto di più vicino a un concept album abbia mai fatto. Il tema, in controluce, è il dolore con la sua accettazione, la morte, ma anche il suo superamento da parte di chi resta. Un percorso di intensa spiritualità laica, un tema che in questo periodo sta emergendo come fondante di una corrente di neo-umanismo che percorre la parte più avvertita della musica italiana. Come un tentativo di sfuggire all’immanentismo consumistico-mediaset-oriented, dove contano solo “gli atomi” e non vi è traccia né di virtuale né di intellettuale. Dove non c’è memoria storica, ma solo un anonimo persistente asfissiante presente affogato nella noia e nell’inutilità.

Bubola conosce il valore della memoria e ne fa buon uso, sia nei testi che nelle musiche che nella costruzione intensamente cinematografica della sue storie. Ne esce così un’opera che presenta i suoi quarti di nobiltà che le consentono di ascendere all’empireo della opere maggiori del cantautorato italiano. In Bubola poi le buone letture, le buone visioni e i buoni ascolti (e forse anche il buon mangiare e il buon vivere) si trasformano automaticamente in citazioni, in riferimenti anche solo accennati, che non sono mai strati giustapposti alla struttura di fondo, ma tessere dello stesso mosaico, solo arricchitosi in quanto di meglio ha suggerito il vivere circostante.

Per intenderci il country di “Segreti trasparenti” riesce a essere eminentemente italiano, l’uso degli archi, così classicheggiante in alcuni passaggi, assume invece una indubbia valenza rock. E libri, immagini, film, canzoni, persino quadri riescono a essere fonte di ispirazione mai derivativa, ma sempre sorretta da una forte carica personale.

Dove ancora ci sono margini di miglioramento è sulla voce, imparando a fermarsi sulla soglia della sostenibilità e sui testi che in alcuni passaggi (“Specialmente in gennaio” il ritornello) scelgono strade troppo semplici che non riescono a stare a livello con scelte culturali e musicali più impegnate.

“Specialmente in gennaio” è dedicata a Fabrizio De André, “il mio padre giovane” come dice Bubola ed è senz’altro una canzone partecipata e sofferta, come dimostra anche il fatto che sono stati lasciati intercorrere 5 anni tra la scomparsa di Fabrizio e la comparsa del brano a lui dedicato, ma è difficile trovare giustificazioni per versi come “specialmente in gennaio /noi dormiamo a testa in giù” e diciamo che quantomeno si è giocato al risparmio nelle seguenti scelte di rime: “una stella lassù nel blu / … / e che quella stella sei tu / Quel che vedevi, quel che vedrai ti rivela un po’ di più/ Se le parole negli occhi dal cuore ti scendono giù / Se le parole negli occhi dal cuore ti salgono su /.

Ma sono peccati veniali perché anche questa canzone si staglia ben al di sopra del panorama medio, come pure “Jetta ‘a luna”, nuovo capitolo in napoletano del cantautore veronese, 14 anni dopo “Don Raffaè”, con tanto di mandolini, vibrato nella voce e riflesso di luna sul mare. All’apparenza un classico della canzone napoletana, tanto che Pino Daniele potrebbe esserne geloso.

Leggermente sotto tono restano solo “Tutto è legato”, una ballata noir che sembra un’out-take di “Diavoli e farfalle”, il precedente lavoro di Bubola, lontano ormai 5 anni da questo e molto più impregnato del clima da “Murder Ballads” alla Nick Cave e “Roger McClure” che, pure essendo lo sviluppo di una storia sull’infanzia abbandonata e sulle bande pre-giovanili, non riesce a essere ricordata, perché troppo tenue è la sua struttura o forse perché simile ad altro già ascoltato.

Sto proseguendo nelle analisi delle canzoni in ordine un po’ casuale ed è forse meglio ripartire dall’inizio: “La sposa del diavolo”: è l’altro grande duetto tra Bubola e Elena Vaona, 18enne cantante veronese dal timbro fresco e chiaro, perfettamente adatto a dialogare col “vocione” di Massimo. Il clima della prima ballata, dalla trama inquietante, richiama molto i duetti tra Nick Cave e Kyle Minogue, con una ben precisa attenzione all’interpretazione e alle intenzioni delle parole pronunciate. Una storia che risale indietro nel tempo, tra medioevo scozzese e antiche tradizioni friulane (una storia analoga compare in entrambi le tradizioni). E subito il lavoro di Michele Gazich e l’autoproduzione di Bubola mostrano i loro perfetti denti bianchi. Musica senza sbavature.

Segue “Specialmente in gennaio” su un pregevole incedere countreggiante. Abbiamo già detto del testo che qua e là zoppica, ma l’intenzione è sincera e la canzone prende e, a lungo andare resta dentro. Segue “Roger McClure”, un po’ fragile, ma tutt’altro che sgradevole e dal testo interessante.

La sezione centrale del disco è la più forte: si parte con “Stai con me”, una dolente orazione alla donna amata, a cui si chiede, nonostante tutto, nonostante il tempo e i figli seminati, nonostante le stelle e le illusioni cadute, le lacrime cadute, le foto ingiallite di continuare a stare insieme (Massimo mi ha detto che è la sua canzone preferita nel disco, la più personale). “La fontana (e la domenica)” è una delicata storia d’amore tra una fanciulla e diversi spasimanti, tenuti tutti sulla corda, mentre l’accompagnamento è trascinante. Basta un ascolto e la si canta. Una delizia! Immagini così vivide che viene naturale pensarla come film. E infatti esiste un videclip (“che non vedrete mai su Mtv” – Bubola), anzi, una sorta di film breve, dedicato alla vicenda raccontata, ambientata a inizio secolo nei paesi delle valli veronesi.

Segue “Entrambi” basata su una melodia tradizionale, a sua volta fresca e bella, di una malinconia sottile che ti impregna fino al midollo, al servizio di un testo intrigante e misterioso. “Quella campana” è canzone di grande spessore. E’ dedicata a un altro grande dolore nella vita del nostro, la morte di suo fratello, di tre anni più piccolo, mentre stava nuotando assieme a lui, nel 1970. Il fratello aveva 12 anni quando è scomparso. Dice Michele Gazich che la prima volta che Massimo è riuscito a cantare la canzone (senza annunciarla e privatamente) subito dopo è scoppiato a piangere. E questa intensa commozione è riuscita a restare tra i solchi del disco. Scelta coraggiosa, atto d’amore e prova di maturità.

Una piccola pausa spezza tensione con “Tutto è legato”, che nonostante il suo clima dark-rock non è quantomeno legata a tematiche così personali e si riparte alla grande: la solare “Per quanto tempo”, la lunare “Jetta ‘a luna” e la conclusiva “Tornano i santi” con il controcanto angelico di Victoria Williams e l’accordion di suo marito Marc Olson. Una canzone di grande momento, con slarghi orchestrali, ben sorretti anche dall’organetto di Andrea Del Favero della Sedon Salvadie e dal coro La Faila di Velo Veronese. Mi fermo qui, segnalando che il libretto contiene tutti i testi e la loro traduzione in inglese sotto la supervisione dello scrittore inglese Tim Parks, amico e vicino di casa di Bubola.

Massimo Bubola
Segreti Trasparenti

Ecchemusic - 2004

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Ultimo aggiornamento: 09-02-2004

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