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Le BiELLE BIOGRAFIE
 
Davide Van De Sfroos

Non è un reato nascere a Monza ...
di Giorgio Maimone

Non è un reato nascere a Monza, città dove non a caso, si uccidono i Re? Ma nemmeno un particolare titolo di merito. Nascere sotto il segno del toro invece qualcosa potrebbe anche significare. Ma sta di fatto che ignoriamo cosa. E infine il 1965, ossia 37 anni fa, alla metà dei mitici anni ’60. L’epoca di Papa Giovanni, John Kennedy, Marilyn Monroe e Elvis Presley (non necessariamente nell’ordine). Si era vicini allo sbarco sulla luna e a solo 5 anni di distanza dalla gloriosa Italia-Germania 4-3. Un’epoca di buone storie, un’epoca di grandi storie che ancora adesso ci piace ricordare. È forse un segno del destino nascere proprio nel mezzo delle storie e crescere sentendosele raccontare e imparando a raccontarle da sè. Se poi, dai due anni, lo sfondo diventa quello del Lago di Como (Azzano di Mezzegra) ecco che è facile che le storie prendano spessore e colori naturali, ma vivaci.

Violenti a volte, come nelle belle giornate, caratterizzate da un sole che è sole, un’ombra che tende quasi al blu e un cielo così azzurro da scottare. Oppure delle mezze tinte dei giorni di pioggia, dei lunghissimi autunni, delle giornate in cui cielo e lago si confondono e si fondono. A sufficienza per decidere di cambiare cognome e di mettersi sul serio a raccontare storie. Così nasce Davide Van De Sfroos e va in pensione (per un po’) Davide Bernasconi, vittima delle stesse storie raccontate dal suo autore. Forse se gli chiedessimo adesso dov’è Davide Bernasconi ci risponderebbe che sta girando per i bar, lungo il lago (“L’ho percorso tutto il lago, così tante volte da aver consumato la strada”) per sentirsi raccontare le storie che finiranno nelle sue canzoni, di notte passate “cavalcando una sedia” oppure “aspettando un treno fantasma”, pronti “a barattare l’attesa con il viaggio, usando la tempesta che aveva in tasca come motore e una fotografia come timone”. Al Bernasconi compete peraltro un compito: quello di scrivere libri, di scrivere poesie, i testi delle storie che poi vengono pubblicati in libri come “Perdonato dalle lucertole” o “Capitan Slaff”.

Insomma una voglia di raccontare che non si ferma mai sta alla base della carriera di Davide Van De Sfroos, che già alla metà degli anni ’80, ossia tra i 18 e i 20 anni, ritroviamo in uno dei primi gruppi post-punk beat del comasco, i Potage, a detta di chi li ha ascoltati tra i più interessanti della zona. Davide suonava la chitarra, cantava e scriveva già qualche canzone (in italiano).

Ancora qualche anno e all’inizio degli anni ’90 si vara la prima formazione dei Van De Sfroos. La prima perché, per qualche motivo non noto neanche ai suoi più stretti fans, Davide ha la tendenza a cambiare spesso la gente che suona con lui, anche quando il gruppo sembra ben rodato e affiatato. Con questo gruppo alle spalle inizia l’avventura degli album autoprodotti. Si parte, in primo luogo dalle cassette: Ciulandari (Balordi) è il primo tentativo di portare fino in fondo il discorso musicale e di passare il solco, anzi “il confine” visto il nome scelto. Davide abbandona il lavoro di magazziniere fin lì svolto e comincia a credere che quella possa essere la sua strada.

Compaiono già nella lista dei titoli alcuni brani destinati a passare alla storia, alla piccola storia della DVSB, Come “De Sfroos” o altri noti ai “cauboi” più incalliti come “El Vent”, l’epocale “Zia Luisa”, “Balacuntelluf” (balla col lupo). La parte musicale è straordinariamente curata per un gruppo all’esordio. Niente a che vedere col classico chitarra-basso-batteria. Un sound molto americano, con chitarre, fisa e violino in evidenza, country scurito con un’ombra di blues. E testi in puro dialetto tramezzino (“che non ha niente a che fare col panino!”), “lagheè” insomma, come ormai abbiamo imparato tutti a dire. Un dialetto che, rispetto ad altre parlate del nord lombardia, scivola sulle “esse”, con le “u” belle chiuse alla francese e dominanti sulle altre vocali. Ovviamente è introvabile. Non è il caso di andare per negozi di dischi a chiedere Ciulandari. C’è magari il rischio di essere mandati al diavolo da commessi pratici nell’uso del dialetto.

L’unico modo per avere accesso a queste canzoni, come consigliano sulla mailing list di Davide, è “farsi degli amici, in primo luogo, poi conoscerli ai concerti e quindi chiedere a loro il favore di una copia di queste sacre reliquie”. Altrimenti resta la lotteria di lunghissimi pellegrinaggi per le strade impervie di Internet, ma vi assicuro che arrivarci è una vera impresa!

Poco tempo ancora e siamo a un nuovo album, dal vivo, Viif (che sarebbe come dire “Vivo”, ottimo titolo per un disco “live”!). Inutile dire (vero?) che nemmeno di Viif resta traccia se non tramite i canali già accennati sopra. Il disco si apre ancora con “De Sfroos”, canzone magicamente ispirata e dedicata ai contrabbandieri (non l’ho ancora detto, ma il toponimo Van De Sfroos non è olandese, ma tramezzino. Vanno di frodo. I contrabbandieri, per l’appunto) o più in generale a tutti quelli che la vita la attraversano camminando sui margini, un popolo dolente o dimenticato a cui Davide ha scelto di dare la voce, in linea con la migliore tradizione d’autore dei giorni nostri: da De Andrè ai Mercanti di Liquore, agli Yo Yo Mundi, a Luigi Maieron, ai Marmaja. Resistono la solida “Zia Luisa” e il simil-blues “Kamel”. Compaiono “El diavul” (che “l’è vistiì come qui de l’assicurasion/ El diavul l’è difficil che ‘l sia vestiì da mascalson”) e “Nonu Aspis”, destinati a traghettare “sul batel del diavul” fino al successivo Manicomi.

Fa la sua unica comparsa il brano “Adriana” (non di quelli da antologia). Insomma, il clima è divertente, il treno musicale travolgente, ma non tutto fila liscio. È ancora evidente all’alba del ’94 che il ragazzo e il suo gruppo devono trovare una strada meno battuta, anche se la cifra personale è innegabile da subito: per il dialetto, per il modo di cantare, per la voce così caratteristica, raspante e annerita il giusto per chi debba narrare storie da bar e di paese. Che ne sarebbe stato di Tom Waits con il timbro da coro delle voci bianche?

Passa non molto tempo ancora (siamo ormai al 1995) ed ecco il gran passo: prodotto dalla Mr. Net esce Manicomi, con nove canzoni inedite (tra cui “Anna”, “El teemp” e “La furmiga” che un ascolto lo meritano proprio) . Il disco rappresenta un salto di qualità, e soprattutto un buon successo locale, tanto che le copie stampate vanno a ruba in poco tempo! Ma purtroppo il sogno dura poco: i De Sfroos si sciolgono. Grande dispiacere dei “des fans”, poi noti come “Cauboi”, i seguaci fedeli di Davide che lo accompagnano di concerto in concerto, creando una sorta di variopinta tribù viaggiante, quasi come i fans dei Grateful Dead. Anche Davide rende molto dal vivo e, inoltre, data la limitata circolazione dei dischi (tranne Manicomi) e il fatto che radio e televisioni, internet e altri media non l’avessero ancora scoperto, ascoltarlo dal vivo era l’unica alternativa possibile. Per cui, dopo una breve riflessione, Davide torna sulla strada con una nuova formazione, anche questa però magmatica e destinata a cambiamenti.

Da qui parte una frenetica attività dal vivo che proporrà il nome e la musica di Davide per ogni sperduta corte del profondo nord, dagli oratori, alle pubbliche piazze, alle scuole. Dovunque ci sia un palco e qualcuno che abbia voglia di sentirlo suonare. Come gli antichi Cantastorie. La fama di questo cantante dal nome “olandese” inizia a girare e così quando esce Breva e Tivan nel 1999, giusto sul finir del secolo morente, i tempi sono maturi perché arrivi il successo. Sempre un successo relativo, è chiaro, però dai contorni sempre più ampi. Le radio si accorgono di lui, parte il passaparola e Davide diviene in breve un piccolo fenomeno di costume. Il cantautore, auto-prodotto, che canta in dialetto tramezzino stretto, che suona ovunque e che vende fior di dischi ai propri concerti. Breva e Tivan è un disco compiuto, con una distribuzione quasi regolare (è il primo tra gli album di cui abbiamo parlato finora che si trova in commercio) e che contiene delle pietre miliari nella produzione del nostro: “La ballata del Genesio” “I cauboi”, “El fiöeu del Guglielmo Tell”, ma soprattutto “Pulènta e galèna frègia” e “Föemm e pruföemm”, accanto a brani minori come “Il duello” (divertente, ma poco più di una barzelletta) e “La balera” (idem, ma molto piacevole).

Il mondo musicale vira dal country folk a un power folk di impatto più british. Echi di Shane Mc Gowen e dei Pogues, gran lavoro della fisarmonica e meno spazio del solito alle chitarre. Comunque è con questo disco che il “resto del mondo” non lagheè si accorge di Davide Van De Sfroos. Tanto successo ha questo disco (Premio Tenco per il miglior autore esordiente) che il successivo Per una Poma sembra un po’ un piccolo passo indietro. Un mini cd di sole tre canzoni, di ispirazione biblica: “La poma”, “Caino e Abele” e “Il diluvio universale”, tutte e tre molto lunghe (oltre i sei minuti) poco aggiungono alla fresca fama del nostro che mette radici molto più sostanziali in Breva e Tivan che in questa, piacevole, ma non fondamentale escursione. Per l’occasione assistiamo a un nuovo cambio di formazione. Entra per la prima volta il violinista Angapiemage Galliano Persico, mentre, più o meno nello stesso periodo fa la comparsa il chitarrista Claudio Beccaceci, ora pard inseparabile e tra i protagonisti dell’ultimo lavoro del Davide.

Grande protagonista della parte musicale di E semm partii è Davide Billa Brambilla, fisarmonica e mente del gruppo nel corso delle incisioni e però già sparito dalla line-up all’inizio delle tourneè successive, sostituito da Simeone Pozzini. La formazione con cui ora gira “il” Davide (l’articolo è tutto lombardo) è costituita da Pozzini e Beccaceci quando si esibisce come trio power-folk, a cui si aggiungono Angapiempage, Diego Scaffidi alla batteria e Alessandro "Pocahontas" Parilli al basso nella formazione tipo “big band”, a cui a volte si aggiungono ai cori Le Balentes, un gruppo vocale sardo che ha collaborato al disco,

“E siamo partiti, decidemmo di farlo nel giorno di S.Macaco, nella notte di S.Nessuno, buttando dietro le nostre spalle tutte le carte che avevamo in mano...assi compresi, per spostare il caos e mostrare la direzione...”
L’ultimo disco segna la maturazione definitiva di Van De Sfroos. È un solido, solidissimo album di musica popolare, dove si mescolano i consueti schemi folk-rock, con matrici punk, reggae e ska ben assemblate e un tocco di blues che non manca mai. E, come nelle giornate che si inseguono sul suo lago, c’è un’alternanza tra le canzoni azzurro-cielo e quelle blu-ombra, tra i giorni di sole e quelli di pioggia. I momenti pensosi sono però in maggioranza e dietro ogni storia si intravede, si sente o si percepisce, quando non è manifesta, il segno di un qualche disagio, di una privazione, di una mancanza. Sempre quell’attenzione alla parte non manifesta della luna, alla metà in ombra dell’umanità, ai “tafani”, alle facce che fanno “pagura ai serpent”, ai “re dei rebambì”, a chi “l’ha cambiaà il mar cun’t una tazza de Pernod”. Tanti personaggi, anacronistici, buffi, tragici, comunque, sempre e in ogni modo “diversi”, personaggi non ufficiali, di quelli che negli album di famiglia si buttano via le foto. Davide Bernasconi, in Van De Sfroos, invece va in direzione “ostinata e contraria” e porta alla luce storie che altri vorrebbero dimenticare, storie che non andranno mai “a la televisiun”. Il disco, uscito nel 2001, sempre per la Tarantarius, l’etichetta indipendente degli ultimi tre cd, ha avuto notevole risonanza. Il giro dei concerti di Davide si è allargato a tutta Italia con ritmi crescenti; nell'estate del 2001 Davide Bernasconi viene premiato dalla rassegna "Rock Targato Italia" come "migliore artista indipendente dell'anno" e nel mese di maggio 2002 L’Isola che non c’era ha premiato E semm partii come uno dei migliori dischi dell’anno nel corso di un concerto-spettacolo dove Davide, assieme a Max Manfredi, Sergio Cammariere, Pacifico e altri, ha cantato con Enzo Jannacci. E adesso? Non resta che aspettare il nuovo disco e sperare che il trend di ascesa continui. Tanto le storie nella sacchetta attaccata alla cinta del Davide sembrano non finire mai.

In sintesi:
Davide Bernasconi nasce (prima di Van De Sfroos) a Monza l’11 maggio 1965. A due anni si trasferisce sul lago di Como, dove vive tuttora. Inizia a cantare coi Potage nel 1983 e come Van De Sfroos nel 1990.
La sua discografia e’ costituita da tre album introvabili:
Ciulandari 1992 – cassetta con 13 canzoni
Viif – 1993 – dal vivo con 12 canzoni
Manicomi – 1995 – pubblicato da Mr. Net con 15 canzoni

A cui si affiancano quattro album ufficiali:
Breva e Tivan – 1999. Tarantanius – 12 canzoni
Per una Poma – 2000. Tarantanius – 3 canzoni
E semm partii – 2001. Tarantanius – 14 canzoni

Laiv - 2003, Tarantanius - doppio - 24 canzoni

E due raccolte di poesia e un libro di racconti
Perdonato dalle Lucertole
Capitan Slaff
Le parole sognate dai pesci - Bompiani - 2003

Le canzoni eseguite in concerto e mai pubblicate sono le seguenti:

Arbitro
Uacatroia uacatanca
Sulla via del Pamir
San Giuvann
Vincenzo Odore
Ocio al maniaco

Ps: si ringrazia il sito www.cauboi.it e la mailing list dei Des Fans,
senza le quali reperire la maggior parte di queste informazioni sarebbe
stato difficile.

   
Ultimo aggiornamento: 30-12-2003
 
   
 

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