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BiELLE
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Franco
Fabbri: "Album bianco2" |
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La critica musicale, almeno in Italia, è un “sottogenere”. In particolare se ci si limita al campo della canzone d’autore, una branca che non ha ancora uno status riconosciuto, quindi neanche storia, interpretazione e nemmeno critici. Poco cambia per il rock, ma qualcosa cambia. Non fosse altro per il fatto che lo studio della materia è almeno su scala internazionale. Ne consegue che leggere saggi e “saggesse” di varia metratura, di vari colori e di vario approccio può essere una delle attività più deprimenti del decennio, quasi come sentire un discorso di Bondi alla tv. Qualche volta la musica cambia (è il caso di dirlo). “Album bianco2” è una di quelle volte. Franco Fabbri, ora illustre musicologo e professore dell’Università di Torino, non tradisce mai. Già piccole perle sue si potevano trovare dentro “Accordi Eretici” e “Belin, sei sicuro”, entrambi lavori a mosaico dedicati a Fabrizio De André. In circolazione poi c’è anche “Il suono in cui viviamo”, prima edizione Feltrinelli, seconda Arcana Musica. Pure per Arcana Musica è uscito “Album bianco2” (sarebbe al quadrato, ma non lo so scrivere!), questo nel mese di marzo 2002, l’altro nel novembre dello stesso anno. Due mesi dopo, nel gennaio 2003 è invece uscito il libro di Umberto Fiori “Scrivere con la voce” (edizioni Unicopli). Fiori e Fabbri erano le due voci soliste degli Stormy Six. E ora, ancora, in parallelo entrambi autori dei migliori saggi sulla musica su piazza. (Di Fiori e de “Il suono in cui viviamo” parleremo presto). “Album bianco2” ha come sottotitolo (e come tema di fondo) “diari musicali 1965-2002”, dove attraverso la prosa ironica e disincantata di Franco Fabbri si assiste a nascita-vita-e-tramonto di una rock band. Nello specifico gli Stormy Six. “Queste storie andavano raccontate prima che sparissero dalla memoria, cancellate dalla versione ufficiale. Assicuro che sono vere, anche nei particolari, e controllate con tutte le fonti disponibili. Ma volevo raccontarle nella forma più vicina al mio ricordo, senza note a pié di pagina né bibliografia. Spero che leggendo riusciate a sentire la musica”. E la musica la sentiamo, a partire da “Mr Tambourine man” a pagina tre fino a “Vess segur” di Umberto Fiori e Tommaso Leddi su testi di Franco Loi di pag.199, tre righe prima della fine del libro. Non c’è che musica tra le pagine dell’album (“eclettico e bianco come quello dei Beatles”) e quindi non c’è solo musica, ma c’è la vita loro e di tutti noi. Attenzione agli anni: è grosso modo quella generazione che, secondo Gaber ha perso, ma che scorrendo le pagine del libro sembra invece avere ancora molto da dire. Il libro funziona quindi su più livelli: da un lato racconto di formazione di una rock band di giovani uomini (molto giovani, la narrazione inizia a 16 anni) , dall’altro storia trasversale di una generazione, dall’altro ancora traversata a nuoto del grande mare musicale degli anni del trionfo del rock e della cultura relativa. La cosa migliore è che il racconto è fatto dall’interno e da un personaggio che ha vissuto con intensità tutti gli strati di questa millefoglie narrativa. Finora solo il libro di Franz di Cioccio, “Due volte nella vita” (su tutto un altro piano, quello della presa diretta sulla realtà) mi aveva dato sensazioni simili. Il problema è che sono troppo pochi i libri dove i protagonisti della musica si raccontano. In Italia forse solo questi due. Ed è un vero peccato, perché un conto sono le storie di vita vissuta e un altro, tutto diverso, sentite raccontare tramite altri. Fabbri e Di Cioccio la musica l’hanno fatta, hanno avuto anche successo, ognuno a suo modo, ma nello stesso periodo e anche, in fondo in fondo, anche all’interno dello stesso genere musicale, per usare un termine che possa mettere in apprensione il musicologo Fabbri. E’ chiaro che
avendo vissuto gli stessi anni e nella stessa città, i riferimenti
per me sono molto più comuni e vicini di altri. Così come
i nomi citati, tutti straconosciuti: da Claudio Rocchi a Eugenio
Finardi, a Claudio Trotta, a Gabriele Salvatores. Insomma, una
goduria. Il problema è che ci vorrebbe una terza edizione aggiornata
e poi una quarta e ancora più pagine dedicare anche ai passaggi
minimi, a quel variare di tempo che porta verso la fine di una delle più
amate tra le rock band di Milano, in scena per quasi vent’anni ininterrotti.
Ma questa sarebbe la storia di Milano e un po’ anche la mia. Il
libro finisce prima. Ma è per tutti. Leggetelo e fatelo leggere
ai vostri figli. C’è tanto del nostro passato dentro, rivisto
con affetto e la necessaria dose di ironia per non naufragarci dentro. Ultimo
aggiornamento il 15-09-2004 |
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