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BiELLE INTERVISTE
GianGilberto Monti: le storie di ieri e la realtà di oggi
di Giorgio Maimone

Ha radici profonde la "liason" tra Giangilberto Monti e Boris Vian. La sua lunga ricerca sull'opera dell'artista francese inizia infatti nel 1994 ed ha un primo sbocco due anni più tardi nel libro curato con Giulia Colace, "Boris Vian - Le canzoni (Marcos y Marcos). Nel 1997 Monti pubblica poi l'omonimo Cd per Il Manifesto ed è del 2002 la prima messa in scena teatrale de "La Banda Bonnot, storia del bandito anarchico Jules Bonnot su canzoni inedite di Boris Vian". Finalmente nel 2004, la Radio Svizzera Italiana produce "La Belle Epoque della Banda Bonnot", uno sceneggiato radiofonico musicale tratto dallo spettacolo e il lavoro vince il Prix Suisse 2004 nella categoria Fiction. Si apre così la strada ed esce come CD doppio in Italia per la FolkClub Ethnousoni.

Parliamo un po’ di questa Banda Bonnot? Bellissimo disco…
Beh, io non posso dirlo, però ci ho lavorato tanto e ci tengo tanto perché è una storia che ho voluto fare a tutti i costi

Nasce come spettacolo teatrale…
Sì, e con grande fatica, perché non è stato facile convincere un teatro a metterlo in scena…
Poi naturalmente, visto che il lavoro musicale è stato enorme - e devo dire grazie a Cialdo Capelli e agli altri musicisti - bisognava trovare un modo per renderne atto e quindi pubblicare un disco che tra l’altro purtroppo per il mercato italiano è poco interessante, almeno dal punto di vista dei discografici, non tanto per chi acquista i dischi.

Poco commerciale più che poco interessante…
Io l’ho proposto a tutti quelli che conoscevo e tutti mi hanno dato gran pacche sulle spalle, mi hanno fatto i complimenti, mi hanno detto “Bravo, bravo, bell’idea” e arrivederci e grazie. Se non ci fossero stati gli Svizzeri, la Radio Svizzera e la produzione poi che c’è stata - anche se anche lì ho dovuto battagliare, perché a loro ovviamente interessava lo sceneggiato radiofonico… Ecco, importantissima è stata la produttrice della Rete 2, Francesca Giorzi che ha aiutato molto il progetto, perché ha capito che andava al di là della parola, della storia, e ci ha permesso di fare una cosa che loro non avevano mai fatto, cioè mischiare la parte musicale con la parte in prosa. Così ci hanno portato in questo enorme studio – bellissimo, peraltro – che loro hanno a Lugano dove normalmente registrano jazz e classica. Ed è stata la prima volta che lo hanno usato per qualcosa di “leggero”. Figurati un po’…

Leggero molto relativamente…
Molto relativamente sì, perché queste sono orchestrazioni degli anni ’50, di grande raffinatezza, che poi io ho imbastardito con il folk...

Che però qualcosa in comune col jazz ha…
Eh, beh, per forza... cioè rimane un lavoro di contaminazione musicale e per loro è stato veramente un esperimento. Poi il fatto che questo lavoro abbia vinto il Prix Suisse - che è un premio nazionale e che la Radio Svizzera italiana era parecchio che non vinceva - per loro è stata una grande soddisfazione. Tutto sommato ha premiato anche la fatica, perché è stata proprio una cosa faticosa.

Il tuo è veramente un prodotto multimediale, perché c’è lo spettacolo teatrale, il radiodramma, dopodiché arriviamo al disco… a quando il film?
No eh… non lo so… ci vorrebbe qualcuno con tanti soldi, sai bene che le storie degli anarchici non sono mai state molto amate dalla cinematografia… Comunque nel disco abbiamo inserito il copione dello sceneggiato, le foto... insomma, abbiamo cercato di creare un pochino più di interesse ad acquistare un prodotto che oggi, come tu sai, è sempre meno appetibile per il grande pubblico. Certo, io non faccio musica pop, quindi sono tranquillo, non è che abbia esigenze di cassetta, però vorrei spendere due parole di ringraziamento, perché secondo me ci stanno, per questa piccola etichetta di Casale Monferrato che si chiama FolkClub Ethnosuoni. Normalmente si occupano di folk - hanno un catalogo molto prestigioso - e per loro è stato veramente un grande passo fare questo disco, perché oggi un disco così costa… Hanno avuto un’attenzione alla grafica... insomma sono stati bravi, l’hanno curato molto. In realtà è un piccolo lavoro di artigianato, c’è tutto l’amore e la passione di un prodotto artigianale, se vogliamo.

Tu arrivi a Banda Bonnot tramite Boris Vian, no? Il percorso è questo…
Sì il percorso è questo

... di cui avevi già fatto un disco di canzoni. Nello spettacolo c’è qualcosa di ripreso da quel disco?
Sì, ci sono due canzoni che sono le due canzoni della Banda Bonnot che erano rimaste intatte nel corso degli anni.
La prima edizione del disco è stata fatta con il Manifesto nel ’97, poi si è fatta una ristampa nel 2002 in occasione della prima edizione della Banda Bonnot (in teatro, ndr). Allora non avevamo la possibilità di fare un disco dallo spettacolo, così abbiamo ristampato quello che c’era, come si fa a volte. Comunque sì, l’origine è quella.

E i musicisti? Sono sempre gli stessi?
No. Anche le canzoni che sono presenti anche nel primo disco sono ovviamente arrangiate in modo molto diverso. I musicisti del primo disco erano una jazz band. L’unico che è rimasto e che segue il filo di tutto il lavoro è Marco Mistrangelo, il contrabbassista. Che è un vero jazzista, ma è molto eclettico come musicista: ha fatto per esempio il lavoro con Laura Fedele su Tom Waits. Gli altri musicisti provengono dall’area folk: Roberto Carlotti alla fisarmonica, Renata Mezenov Sa, la russo-cubana alla chitarra classica e poi c’è Caroline Tallone, svizzera che viene proprio dal mondo folk. Insomma, è un lavoro che mischia delle anime diverse. Vedi, io a fare sempre la stessa cosa non mi diverto, insomma! Poi se lo facessi magari a quest’ora sarei in classifica dall’85… (ride)

In questo caso tu hai fatto solo i testi in italiano o ci sono anche delle musiche tue?
Dunque, io ho fatto tutti i testi, poi, dato che… questa è una bella domanda… devi sapere che gli spartiti dell’opera originale di Vian sono andati perduti tranne tre: "L’anguilla" e altre due canzoni. Le altre 16 canzoni, più una reprise, perché come in tutti i musical che si rispettano l’inizio e la fine sono uguali, sono state quasi tutte in parte rimusicate nel ‘70 da Louis Bessières. Tre di queste, però, erano senza spartito. Allora io le ho divise equamente tra i miei collaboratori, per cui c’è una musica che ha scritto Cialdo Capelli, una musica che ha scritto Renata Mezenov Sa - che è la canzone che canta lei - e poi una musica che ho scritto io, quella di “Regolamento di conti”, che poi in realtà è una poesia di Vian che non era mai stata musicata se non da lui stesso in occasione di quest’opera. Visto che si è perso lo spartito io l’ho rimusicata e gli eredi hanno accettato la mia versione. E anche questo è stato un lungo lavoro con la Francia, una cosa da pazzi…

Però il risultato complessivo ti soddisfa...
Beh, credo che sia una delle cose più complete che ho fatto negli ultimi anni… Quando ero stato a Parigi all’inizio – sto parlando del ’95-96 – ho avuto la grande fortuna di parlare sempre con Jacques Canetti, che allora era un signore di 70 anni e passa ed è stato proprio l’inventore, il decano della discografia francese. È proprio lui che ha inventato non solo la discografia dagli anni ‘50 in poi, ma ha anche portato sulla scena Brassens, Serge Reggiani, Marlene Dietrich, Boris Vian ovviamente, era il padrone del Trois Baudets... (il famoso locale parigino dal quale sono passati tutti gli chansonnier - ndr) È stato uno dei grandi operatori culturali discografici di una volta, insomma. Io non lo sapevo, quando l’ho conosciuto. L’ho capito e l’ho saputo dopo. L’ultima volta che l’ho visto – è morto nel 1997 – mi ha regalato questo disco della Banda Bonnot che aveva pubblicato come cd in quegli anni e mi ha detto “Tu devi farlo, perché questa storia è per te. Tu puoi interpretarla”. Lui aveva questa idea che io avevo una faccia da bravo ragazzo, però sotto sotto non lo ero mica tanto… E poi gli era piaciuto il lavoro che avevo fatto prima e aveva talmente insistito… Io non lo chiamavo maestro, ma poco ci mancava, gli dissi “Io lo faccio, ma come faccio in Italia?” E lui mi rispose che dovevo farlo. Ci ho messo sette anni. Ce l’abbiamo fatta, ma tra tutto è stata dura…

Da dove sei partito per documentarti sulla Banda Bonnot? Da libri, dal film?
Tutto. Il primo libro importante è stato quello di Bernard Thomas, che è stato tradotto in Italia da Primo Moroni per Stampa Alternativa. Io l’ho recuperato grazie ad un’amica che purtroppo non c’è più, che si chiamava Anna Magno. Ed è da questo libro che Pino Capucci prende spunto per “Ogni caso la sua morte”. È la fonte di tutto. Poi sono riuscito ad avere un contato diretto con Christian Godard, che è l’autore del fumetto della Banda Bonnot che mi ha mandato tutti i suoi documenti storici e poi a Parigi ho recuperato un altro libro che mi è servito per il riallestimento di questo spettacolo dell’Arsenale che è "L’Affaire de la Bande Bonnot" o L’Affaire Bonnot, un libro pubblicato recentemente, nel 2002, mi sembra, che raccoglie gli atti del processo. Quindi le parole che ho inserito - che non ci sono ovviamente nel disco, ma che trovi nello spettacolo teatrale – sono esattamente quello che il Presidente della Corte dice e le risposte sono esattamente le risposte che danno gli imputati e sono degli inserimenti che vengono fatti all’interno del racconto che io recito in scena.

Quindi il nuovo spettacolo è diverso dall’edizione precedente
Sì, è un riallestimento vero e proprio, nel senso che la prima versione del 2002 era una narrazione musicale. Io raccontavo la storia e cantavo le canzoni. Finito lì. Questo è un vero e proprio allestimento teatrale, con la regia di Annig Raimondi che mescola il racconto agli atti del processo. In scena oltre a me, ovviamente, perché è necessario a questo punto un dialogo, c’è l’attrice Alessandra Felletti che è anche la narratrice della versione radiofonica che compare sul cd. Lei tra l’altro è una sorta di star del doppiaggio e dello speakeraggio italiano. È una voce che tu senti tutti i giorni se accendi la radio.

La banda Bonnot è una storia legata ad un passato abbastanza remoto. Hai mai pensato di raccontare una storia legata ad un'epoca più recente?
Uno canta le storie di ieri per raccontare la realtà di oggi. Questo è importante. Le cose che si dicono nello spettacolo sembrano, se tu togli l’anno, sembra che le dica il ministro Castelli… (ride) … è questo perché... insomma, gli errori e i corsi e ricorsi storici non sono a caso. È importante dirlo. Io perché racconto le storie? Potrei semplicemente cantare una canzone che racconta, che so, una storia d’amore di oggi. Ma vedi, chi è capace lo fa, a me piace invece prendere le cose di una volta e infilarci dentro del resto. Però è chiaro, è solo uno dei modi possibili... E poi mi piacciono le storie.

E poi vedere quanto c’è di attuale dentro a queste vicende…
Guarda, ognuno ci può leggere quello che vuole. È chiaro che io ho una naturale simpatia per il movimento anarchico in generale perché è una mia… non so nemmeno bene come definirla… è una mia tensione. In questo lavoro ho cercato di non prendere una posizione definita, di raccontare le cose per quello che sono. Certo che poi io le mie idee le ho e credo che si capisca. È chiaro poi che tutto dipende dalle storie che uno sceglie, non sto mica raccontando la Repubblica di Salò… Adesso che questa cosa è finita, mi piacerebbe molto un domani raccontare la storia degli anni di piombo. Però sai, quando passan cent’anni, le cose le vedi in un certo modo; quando ne passano trenta o quaranta è diverso. Tant’è vero che Vian, quando scrive questo nel ’50, scrive dei fatti di 40 anni prima. Quindi in realtà, è come se io oggi scrivessi qualcosa su un gesto avvenuto negli anni '60.

Ci vuole un po’ di distanza, però quasi ci siamo… Se resisti ancora un po’ tra gli anni di piombo e ora c’è quel distacco…
Eh, ma guarda che io sto aspettando ancora un pochino ma tra un po’ lo faccio… io non è che molli il colpo così facilmente. Visto poi che non lo fa nessuno…

Certo che non è da tutti dare un’anticipazione di quello che si farà nel 2010!
Beh, però non sarebbe male, no? In realtà è solo un'idea, ma non è detto che non si faccia. Basta che tu non lo dica tanto in giro, che la notte vorrei dormire… (ride)

Intervista effettuata il 3 dicembre 2004

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