Chissà
se Pino Marino potrà mai perdonarmi? Dopo
averlo tampinato telefonicamente per mesi, per portarlo in diretta
con noi, ci siamo trovati faccia a faccia in quel di Sanremo, all’uscita
del Premio Tenco, nell’ultimo capannello di appassionati,
quello che continua a stazionare fuori dal Teatro anche quando le
luci sono spente e le porte sono sbarrate.
Certo,
a voler giocare scorretto, avrei potuto contare sul mio vecchio
amico nonché suo arrangiatore Andrea Pesce per infiltrarmi
meglio... Ma ho preferito aspettare, anche perché le cose
belle vanno pregustate.
Ora,
posso dire che l’attesa è stata premiata. Mi ritrovo
tra le mani un gran bel lavoro (“Acqua, Luce e Gas”,
nei negozi dall’11 novembre scorso), un’interessantissima
intervista e una promessa di rivederci per un breve set live, stavolta
insieme ad Andrea.
Niente
male, davvero?
Ma
allora, Pino, è proprio vero: da oggi tutti potranno finalmente
apprezzare il tuo nuovo lavoro!
“Beh,
a proposito del disco, volevo dire subito una cosa a chi lo sta
aspettando, perché so che qua e là in giro per l’Italia
qualcuno c’é. Ammetto che, se ogni opera somiglia al
suo autore, probabilmente questo disco ha preso da me il ritardo.
Doveva essere nei negozi il 28 ottobre, poi la data è slittata
al 4 novembre, alla fine siamo arrivati all’11 e pare ora
che lentamente, ma molto lentamente, mezzo camioncini, stia raggiungendo
i negozi (sorride). Quindi abbiate pazienza”.
Però
tu, che scegli bene i tuoi collaboratori, ti sei affidato per questa
avventura ad un nostro comune amico, Andrea Pesce, già tastierista
dei Tiromancino e grandissimo arrangiatore. Diciamo che anche lui,
come ritardi e mancate presenze non scherza. Tanto che doveva esser
qui con noi oggi, invece?
“Andrea
sul lavoro è un grandissimo professionista. Ma c’è
chi sostiene che gli artisti vivano in più mondi contemporaneamente
e proprio per questo si finisce per accumulare più ritardi,
più fusi orari?Allora, se è così, Andrea è
un grandissimo artista! (ride). Avevamo grossomodo un appuntamento
qui fuori cinque minuti fa; ci siamo appena sentiti per telefono
e si è appena svegliato, non sa dove si trova né che
giorno sia (ride). Ma Andrea è un grande”.
Io
ti volevo far partecipe di una mia personalissima teoria. Seguendo
da cinque anni il Tenco, ho scoperto che chi mi colpisce in conferenza
stampa la mattina, poi mi affascina la sera. Non so cosa ne pensi?
“Ah,
davvero? Hai questo parametro?”.
Si,
e la tua conferenza è stata, a detta di tutti, deliziosa.
Poi, sul titolo del disco, hai detto una cosa molto divertente,
ossia che ti piace perché fino a “Acqua e Luce”
sembra una cosa molto poetica, poi “Gas” dà al
tutto un triste connotato di bolletta. Un lavoro interamente realizzato
assieme ad Andrea, no?
“Si,
in verità Andrea è uno di quelli che raramente ci
mette la faccia, ma fortunatamente mette le mani. E’ co-produttore
artistico degli ultimi due dischi dei Tiromancino. Insomma?diciamo
che fosse nato a Liverpool sarebbe stato il quinto Beatle! La cosa
è andata cosà: lui aveva già suonato due o
tre pianoforti nel mio primo disco, poi altri due nel secondo. Ci
siamo incontrati in uno strano periodo; io cambiavo casa discografica,
lui stava perfezionando una produzione artistica col Tiromancino
e a novembre dello scorso anno abbiamo cominciato a lavorare insieme.
Il tutto è durato nove mesi, in una casa di Monteverde, dove
abbiamo vissuto fianco a fianco giorno e notte. La foto in ultima
di copertina del cd non è altro che il panorama che avevamo
dal nostro studio di registrazione. Ovviamente per un cantautore
le canzoni arrivano già complete dal punto di vista grammaticale,
narrativo e armonico. Per me è abbastanza ovvio ripartire
con un disco quando ho le canzoni finite. Però con Andrea
è nato poi un lavoro fondamentale per quel che riguarda arrangiamenti,
suoni...
Anche
di confronto?
“Certo.
E’ importantissimo che ogni autore abbia il confronto ed il
conforto di un collaboratore di fiducia. Tutti i cantautori finirebbero
sempre con chitarra acustica e pianoforte, mentre la collaborazione
con i musicisti allarga quelle prospettive”.
Anche
se poi questo tuo lavoro è estremamente acustico e tu stesso
ti definisci in una recente intervista “iperacustico”?
“Mi
sono definito così?”.
Senti,
tornando al ritardo cosmico che ti avvolge dalla nascita... tu sei
riuscito a vincere un paio di premi importanti come il Ciampi ed
il Recanati prima di aver pubblicato un disco. Niente male, davvero.
A proposito del Ciampi, devo dirti che ho cercato sul sito la motivazione
del premio, ma non l’ho trovata. Tu la ricordi?
“No,
ma ricordo che ho chiesto che fosse omessa... Stiamo parlando del
premio Carlo-Azeglio Ciampi, no? (ride) Scherzo, semplicemente
“Dispari” (2001) è stato considerato
il miglior disco d’esordio e la motivazione era che a loro
non sembrava un disco d’esordio. Ma è vero anche che
“Dispari” veniva da dodici anni di concerti e da una
mia stupida convinzione di allora di non voler pubblicare dischi.
Infatti, caro Marco, molto a lungo ho pensato di non pubblicare
nulla, ma di far si che la mia produzione fosse reperibile esclusivamente
live. Oggi la reputo una cosa idiota, ma non puoi immaginare cosa
ho fatto in quel periodo, e sto parlando di dieci anni, non di un
giorno! Semplicemente, giravo il Paese col mio furgoncino, con le
chitarre ed un piano e mi infilavo in qualsiasi rassegna live. Adesso
te ne racconto una ... Una volta in Puglia ho partecipato ad un
Festival di Musica del '900 e mi son ritrovato in scaletta nel chiostro
con un repertorio misto. Ad un certo punto, ho messo alcune parole
su un brano di Ravel, credo. Ricordo solo il gelo del pubblico!
E là un bivio, perché o sei un genio, o chiamano i
carabinieri per portarti via (ride). E infatti venne l’organizzatore
e mi disse ‘Guarda, l’anno prossimo organizzo un concerto
solo per te, ma qui siamo in un altro genere di rassegna’.
E da là mi sono reso conto che forse stavo esagerando. Poi
fortunatamente ho incontrato Ennio Melis e Stefano
Senardi (quest’ultimo ex presidente della Polygram).
Lui mi disse “Ho lasciato la Polygram. Ora ho un ufficio in
prestito, una risma di carta e un telefono. Se tu decidi di fare
un disco, io comincio con te e mi metto a cercare anche una segretaria
e un ufficio stampa. Sennò non se ne fa niente”.
Ti
puoi vantare di aver aperto un’etichetta?
“Si,
me ne vanto spesso (ride). Ma la cosa più importante è
che da allora è tramontata questa idea idiota di non registrare.
Così, per tornare al discorso del premio Ciampi, è
chiaro che nel primo disco convogli e dieci anni di esperienze,
di attività , di materiale e alla fine non sembra più
un disco d’esordio nel senso classico del termine”.
Peraltro,
questa cosa di non registrare un disco tuo ti portava, all’inizio,
a scrivere molto per altri. Cosa hai firmato?
“Non
te lo dirò mai. No, scherzo, ma è una cosa che ancora
faccio. Anzi, se sono qui oggi e se sono arrivato al terzo disco
pur non essendo ricco di famiglia, è proprio grazie all’aver
scritto per altri. Quindi, i famosi introiti dei diritti Siae mi
hanno permesso di portare avanti con calma il mio progetto personale
e di aspettare le cose giuste senza dover firmare nulla di obbligato.
Poi, certo, ho scritto cose belle, cose brutte e anche cose assurde,
come un repertorio per cantanti liriche italiane in Germania, quindi
vere e proprie arie. Poi alcuni Sanremo, ma non vi dirò quali.
Vabbè, posso dirvi l’ultimo, quello del 2005, il pezzo
di Nicky Nicolai e Stefano di Battista”.
Quando
ti si potrà vedere a Roma dal vivo, ci chiedono
“Guarda,
sicuramente all’Eliseo l’8 febbraio. Questa é
una data già fissata da tempo, anche se é molto più
facile per me esibirmi fuori Roma”.
Però
ricordiamo che stai dirigendo, assieme ad Andrea Pesce, una rassegna
all’Angelo Mai, dal titolo “Canzoni in forma di Rosa”,
interamente dedicata a Pasolini, alla sua poesia e soprattutto alle
sue parole. Anche tu dai un’enome importanza alle parole nella
tua musica.
“Si,
è un’idea che mi è venuta la scorsa estate.
Vedi, quella di Pasolini é una realtà strana: sono
molti quelli che si riempiono la bocca del suo nome ma son pochi
quelli che hanno letto qualcosa e ancor meno quelli che hanno capito
il suo messaggio. Però mi son reso conto che qualunque cosa
si dica su Pasolini e a prescindere da chi la dice, raramente si
riesce a storpiare la verità intrinseca al suo messaggio.
In breve, anche se viene citato dalla persona meno indicata, comunque
conserva l’integrità delle verità che trasmette.
Allora mi è sembrato opportuno fare uno sforzo dalla strada,
perché tutto quel che arriva postumo, tramite ricorrenza
ufficiale e memoria museale mi puzza di stantio. Ho scoperto così
che continuano ad esistere posti molto pasoliniani, anche al centro
di Roma, a Monti ad esempio, dove 25 famiglie senza casa che vivevano
per strada hanno occupato e trovato residenza in questo posto magnifico
che era un ex convitto. E sono sicuro che queste persone, capitanate
da Pina del Comitato Popolare Lotta per la Casa, trovandosi in difficoltà
avrebbero chiesto aiuto sicuramente a Pasolini. Non potendo farlo,
ho pensato di chiedere aiuto io a tutti coloro i quali avessero
ancora un po’ di coscienza civica, derivante magari proprio
dalle letture di Pasolini. Poi è chiaro che ogni artista
tratterà a suo modo Pasolini, ossia ognuno farà una
citazione, trasformando la parola scritta in parola cantata. Da
qui il titolo della manifestazione”.
Torniamo
a parlare del tuo disco. Da grande appassionato di Progressive,
ho percepito subito “Acqua luce e gas” come un concept-album,
legato da un doppio filo, musicale e di contenuti. A proposito di
contenuti, ti volevo fare subito i complimenti per il singolo “Non
ho lavoro” e segnatamente per la frase “non ho lavoro
/ quindi non ho paura di perdere il lavoro”. Quella del posto
di lavoro, infatti, era rimasta l’ultima grande minaccia della
parte forte della società nei confronti dei più deboli,
no? Ma oggi, con disoccupazione e precarietà assassina sembra
esser venuta meno l’ultima arma di ricatto; una parte sempre
più estesa della società sembra cosà sfuggire
a chi aveva fatto tutto questo proprio per poterla imbrigliare?
“Guarda,
il cuore del singolo è proprio concentrato nella frase che
hai appena sottolineato. Lo spunto viene da quell’opera di
osservazione e di traduzione di quel che viviamo che è proprio
di chi fa questo mestiere. Io non ho fatto altro che osservare quel
che accade dal basso, dalla strada. E da qui mi sono accorto che
l’ultimo grado di disperazione dello strapiombo nel quale
siamo capitati è proprio, paradossalmente, il non avere più
paura. Non potendo perdere, non si ha paura di perdere e questo
è un punto di forza o, come direbbe Sacchi, di ripartenza”.
Ricordiamo
il tuo sito?
“Pinomarino.org.
Qui troverete anche le mie novità , compatibilmente con gli
aggiornamenti del web master (ride)”.
Grazie,
Pino.
Intervista
effettuata l'11 novembre 2005
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