Parlando
coi pesci di Davide
Il
tuo primo disco si chiamava Manicomi, molti dei personaggi delle
tue canzoni sono uomini ( o donne) il cui senno galoppa libero
nella prateria. E’ evidente che c’è un’attenzione
particolare tua per questo tema. Da dove ti arriva questa passione?
“Non è tanto una passione, è qualcosa che
ho dentro. Lo dicevo anche prima che “Qualcuno volò
sul nido del cuculo” è stato un film che mi ha segnato
profondamente, forse più di tutti gli altri. Il diverso
mentale, quello in cui non capisci mai il confine fra il genio
che sta vedendo tutta la realtà e chi non riesce esprimerla
... è qualcosa che mi ha comunque sempre affascinato”.
“Io
me ne sono reso conto in un momento di stress, quando lavoravo
in una ditta di trasporti, parecchi anni fa. Ero arrivato molto
vicino ad un esaurimento nervoso, niente di particolare, ma mi
ha aperto una finestra su questo mondo. Mi sono poi reso conto
parlandone come la gente faceva in fretta a dire: “non è
più lui…”.
“Sai,
quando hai il raffreddore sei Giovanni che ha il raffreddore,
se ti sei rotto una gamba sei Giovanni che si è rotto una
gamba, se sei impazzito sei Giovanni che non è più
lui. Ti viene tolta anche l'identità, capisci? Poi ho passato
dei pomeriggi interi con questa gente, ascoltandoli. Non era morbosità
sicuramente, ma era rendermi conto di avere un radar particolare.
Io riuscivo a capire di più alcuni di loro ... anche quelli
che non parlavano, anche quelli che ripetevano venti volte la
stessa cosa che non i discorsi quotidiani degli amici. Mi rendevo
conto di avere una valvola aperta di fronte a queste ondate”.
Ascoltarli
era forse anche un modo di indennizzarli di questa perdita di
identità
“Forse
sì, ma credo sia stato anche l’aver sfiorato quel
mondo. Come uno che ha il permesso di vedere dentro la scatola
proibita senza entrarvi. Come Ulisse quando è sceso agli
inferi. Mi son detto “ecco ho capito cos'è, ho sentito
i pesci pensare. Forse mi fa bene, forse mi fa male”. Quando
Ulisse agli inferi dice ho voglia di casa e qualcuno lì
sotto gli fa notare “ma non capisci che è il viaggio
stesso a tenerti in vita”.
“Se
noi pensiamo a Ulisse che, finita la guerra torna a casa subito,
beh, non ci sarebbe stato il libro. Ci sarebbe stata l’Iliade
e basta. E allora ecco questo viaggio, questa dannazione, questa
cosa faticosa, il meccanico, la valigia, gli oggetti che cadono,
il percorso, la memoria, l’esser andato, l'essere tornato,
l'aver rotto la valigia, l'aver fatto cadere gli oggetti sono
tutte tappe fondamentali. Altrimenti non si sarebbe potuto dar
vita a tutte queste cose che ci sono state. E’la memoria
che ha fatto rivivere queste persone altrimenti dimenticate”.
"Nel
futuro spero di riuscire nel mio desiderio famoso di mettere in
musica le paure di casa nostra, le storie un po’ gotiche
delle leggende del lago, delle nostre streghe. Ma non una cosa
pulp. Però mi piacerebbe davvero raccoglierle… pensa
al “Mistero della settima luna” oppure “Nightmare
before Christmas”
(Segue)