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Concerti

Combo Vecchioni Jazz Band
di Giorgio Maimone

Musica da camera, musica jazz, musica di Vecchioni, esecutori di altissima classe. Riassunto così si fa presto. Ma la serata del Teatro Dal Verme a Milano del 19 aprile non è da archiviare con poche parole. Milano vuol bene a Vecchioni. E Vecchioni ricambia. Ma il calore che il pubblico gli ha tributato in questa serata è da ricordare e da segnarsi tra le cose belle. Diciamo subito che è stato un trionfo ampiamente meritato: l'inedita formazione a trio con Patrizio Fariselli (ex Area, a sinistra nella foto) al piano e Paolino della Porta (a destra) al contrabbasso e Vecchioni al canto e (a volte) chitarra ha saputo farsi ben volere e lasciare un'ottima impressione di sé. .

Ma il pubblico, pienone in tutta la platea e qualcuno anche in galleria, in un teatro di oltre 1400 posti, era molto caldo fin dall'inizio, tributandogli una vera e propria ovazione già al momento dell'entrata in scena, ripetendosi poi più volte sui passaggi più belli di molte canzoni, con un buon numero di applausi a scena aperta. Applausi a scroscio per Vecchioni, ma anche per i suoi autorevolissimi pard in questa avventura, veri virtuosi dei loro rispettivi strumenti.

La povertà della strumentazione, ancora meno di un trio jazz, dove, di norma compare almeno una batteria, lasciava presagire un accompagnamento scarno, forse un po' sull'onda (è il primo riferimento che mi è venuto in mente) del duo Spinetti/Magoni, tanto bravi dal vivo, quanto noiosi su disco. Non avevo fatto i conti, appunto, con le capacità di Fariselli e Dalla Porta, il primo in vena di rivaleggiare con Keith Jarrett e senza cedere di molto la strada all'illustre riferimento, il secondo in grado di fornire al suo strumento un eclettismo segno indubbio di talento. E quindi, insieme, in grado di dare un tono "alto" e contemporaneamente di elevata gradevolezza alla serata.

D'altra parte, si sa, ci sono le serate in cui tutto fila liscio. Questa era una di quelle. Vecchioni è andato a fare una cernita nel suo repertorio pescando fior da fiore, tra le canzoni meno popolari del suo repertorio. Tra i ripescaggi da segnalare due o tre brani dell'ultimo sfortunato disco "Rotary Club of Malindi" ("Il vecchio e il mare", "E invece non finisce mai"), la "Blumun" del '93, forse la canzone che già alla nascita di prestava meglio per un trattamento simil-jazz, fino alla "Vincent" di apertura, traduzione di un vecchio classico di Don Mc Lean, risalendo nel tempo fino al disco di esordio per ripescare la title-track "Parabola" del 1971, una canzone freschissima che ha però 35 anni sul groppone!

Tra le stranezze merita di essere ricordata "Alighieri", un brano mezzo parlato e mezzo cantato del 1975, inserito in quel disco, a suo modosperimetnale che era "Ipertensione". Ma la serata si prestava agli esperimenti. Incoraggiati da una regia di Velia Mategazza che aveva disseminato il palco di libri e che spingeva Vecchioni a lunghe camminate al proscenio per spostarsi da un luogo di conversazione a un altro (erano tre gli spazi attrezzati con sedia e microfono per il cantante, che peraltro sceglieva spesso di portarsi dietro il vecchio e fido microfono a filo e percorrere così cantando tutto il palcoscenico, salvo tornare poi vicino al fido piano e all'ancra più fidato Fariselli.

A Patrizio spettava un po' il ruolo di regista musicale della serata, che svolgeva con grande classe e non lesinando mai un sorriso, un incoraggiamento, un gesto di intesa, offrendo di sé una bellissima immagine e regalandosi uno spazio solistico con un'esecuzione solo per piano di "Luglio, agosto, settembre nero", grande brano dei vecchi Area, che, al tempo, era completato e servito dalla voce di Demetrio Stratos, ma che al Dal Verme è stato magnificato da un'esecuzione pianistica che ha lasciato la sala col fiato sospeso, prima di esplodere in un'ovazione per il maestro.

Tornando a Vecchioni, da segnalare la riproduzione in questo nuovo formato da camera di qualche classico, come l'inevitabile "Luci a San Siro", "Samarcanda", "El Bandolero stanco", "La stazione di Zima", "Celia de la Serna", "Figlia", "Le lettere d'amore", "Viola d'inverno". Tra i ripescaggi anche "Ritratto di signora in raso rosa", "La bellezza" e "Il Lanciatore di coltelli" e, a sorpresa, prima dell'intervallo "Les feuilles mortes" di Prevert/Kosma, classico francese intramontabile e resa al meglio da un Vecchioni rilassato, in forma, che nelle pause tra una canzone e l'altra leggeva piccoli pezzi di classiche fiabe per bambino (Pollicino, La Bella addormentata, Bertoldo, Il fagiolo magico etc). Unica battuta concessa: sul Papa. "Settimana scorsa dovevamo fare lo spettacolo ed è saltato per il lutto della morte del Papa. Oggi è stato nominato il Papa nuovo. Forse era meglio se facevamo oggi il giorno di lutto!".

In prima fila, ma attiene al folklore, Roberto Ferré, lo stilista, creatore e inventore dei vestiti di scena (brutti quelli di Vecchioni, in costumino da bancario fuori dal lavoro)
. Il clima comunque era la cosa più bella della serata: rilassato, garbato, con una voglia di fondo di riscoprire piccoli piaceri. Non so perché ma è una scelta che mi è sembrata del tutto in sintonia con la voglia di Eugenio Finardi di andare a riscoprire il blues e i piccoli ambienti e i club raccolti, per i quali questo spettacolo in fin dei conti era nato.

"Pensavamo di farlo davanti a 5-6 persone, davanti agli amici - ha detto Vecchioni - ed ecco qua!" e indicava con orgoglio le oltre mille persone convenute in una serata di pioggia e freddo milanese di una primavera che stenta nel cielo quanto si esprime al meglio sugli alberi in fiore. Ben tornato Roberto e che questo ritorno alla semplicità possa portare anche a un ritorno alla creatività, per aggiungere nuove perle alla lunga collana di canzoni che compone la colonna sonora della nostra generazione. E ancora un applauso per Patrizio Fariselli e Paolino Dalla Porta, grandi musicisti persino in duo.


20-04-2005
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