Musica
da camera, musica jazz, musica di Vecchioni, esecutori
di altissima classe. Riassunto così si fa presto.
Ma la serata del Teatro Dal Verme a Milano del 19
aprile non è da archiviare con poche parole.
Milano vuol bene a Vecchioni. E Vecchioni ricambia.
Ma il calore che il pubblico gli ha tributato in questa
serata è da ricordare e da segnarsi tra le
cose belle. Diciamo subito che è stato un trionfo
ampiamente meritato: l'inedita formazione a trio con
Patrizio Fariselli (ex Area, a sinistra nella foto)
al piano e Paolino della Porta (a destra) al contrabbasso
e Vecchioni al canto e (a volte) chitarra ha saputo
farsi ben volere e lasciare un'ottima impressione
di sé. .
Ma
il pubblico, pienone in tutta la platea e qualcuno
anche in galleria, in un teatro di oltre 1400 posti,
era molto caldo fin dall'inizio, tributandogli una
vera e propria ovazione già al momento dell'entrata
in scena, ripetendosi poi più volte sui passaggi
più belli di molte canzoni, con un buon numero
di applausi a scena aperta. Applausi a scroscio per
Vecchioni, ma anche per i suoi autorevolissimi pard
in questa avventura, veri virtuosi dei loro rispettivi
strumenti.
La povertà della strumentazione, ancora meno
di un trio jazz, dove, di norma compare almeno una
batteria, lasciava presagire un accompagnamento scarno,
forse un po' sull'onda (è il primo riferimento
che mi è venuto in mente) del duo Spinetti/Magoni,
tanto bravi dal vivo, quanto noiosi su disco. Non
avevo fatto i conti, appunto, con le capacità
di Fariselli e Dalla Porta, il primo in vena di rivaleggiare
con Keith Jarrett e senza cedere di molto la strada
all'illustre riferimento, il secondo in grado di fornire
al suo strumento un eclettismo segno indubbio di talento.
E quindi, insieme, in grado di dare un tono "alto"
e contemporaneamente di elevata gradevolezza alla
serata.
D'altra
parte, si sa, ci sono le serate in cui tutto fila
liscio. Questa era una di quelle. Vecchioni è
andato a fare una cernita nel suo repertorio pescando
fior da fiore, tra le canzoni meno popolari del suo
repertorio. Tra i ripescaggi da segnalare due o tre
brani dell'ultimo sfortunato disco "Rotary
Club of Malindi" ("Il vecchio
e il mare", "E invece non finisce mai"),
la "Blumun" del '93, forse
la canzone che già alla nascita di prestava
meglio per un trattamento simil-jazz, fino alla "Vincent"
di apertura, traduzione di un vecchio classico di
Don Mc Lean, risalendo nel tempo fino al disco di
esordio per ripescare la title-track "Parabola"
del 1971, una canzone freschissima che ha
però 35 anni sul groppone!
Tra le stranezze merita di essere
ricordata "Alighieri",
un brano mezzo parlato e mezzo cantato del 1975, inserito
in quel disco, a suo modosperimetnale che era "Ipertensione".
Ma la serata si prestava agli esperimenti. Incoraggiati
da una regia di Velia Mategazza che aveva disseminato
il palco di libri e che spingeva Vecchioni a lunghe
camminate al proscenio per spostarsi da un luogo di
conversazione a un altro (erano tre gli spazi attrezzati
con sedia e microfono per il cantante, che peraltro
sceglieva spesso di portarsi dietro il vecchio e fido
microfono a filo e percorrere così cantando
tutto il palcoscenico, salvo tornare poi vicino al
fido piano e all'ancra più fidato Fariselli.
A Patrizio spettava un po' il ruolo di regista musicale
della serata, che svolgeva con grande classe e non
lesinando mai un sorriso, un incoraggiamento, un gesto
di intesa, offrendo di sé una bellissima immagine
e regalandosi uno spazio solistico con un'esecuzione
solo per piano di "Luglio, agosto, settembre
nero", grande brano dei vecchi Area,
che, al tempo, era completato e servito dalla voce
di Demetrio Stratos, ma che al Dal Verme è
stato magnificato da un'esecuzione pianistica che
ha lasciato la sala col fiato sospeso, prima di esplodere
in un'ovazione per il maestro.
Tornando a Vecchioni, da segnalare la riproduzione
in questo nuovo formato da camera di qualche classico,
come l'inevitabile "Luci a San Siro",
"Samarcanda", "El Bandolero stanco",
"La stazione di Zima", "Celia de la
Serna", "Figlia", "Le lettere
d'amore", "Viola d'inverno".
Tra i ripescaggi anche "Ritratto di signora
in raso rosa", "La bellezza" e "Il
Lanciatore di coltelli" e, a sorpresa,
prima dell'intervallo "Les feuilles mortes"
di Prevert/Kosma, classico francese intramontabile
e resa al meglio da un Vecchioni rilassato, in forma,
che nelle pause tra una canzone e l'altra leggeva
piccoli pezzi di classiche fiabe per bambino (Pollicino,
La Bella addormentata, Bertoldo, Il fagiolo magico
etc). Unica battuta concessa: sul Papa. "Settimana
scorsa dovevamo fare lo spettacolo ed è saltato
per il lutto della morte del Papa. Oggi è stato
nominato il Papa nuovo. Forse era meglio se facevamo
oggi il giorno di lutto!".
In prima fila, ma attiene al folklore, Roberto
Ferré, lo stilista, creatore e inventore
dei vestiti di scena (brutti quelli di Vecchioni,
in costumino da bancario fuori dal lavoro).
Il clima comunque era la cosa più bella della
serata: rilassato, garbato, con una voglia di fondo
di riscoprire piccoli piaceri. Non so perché
ma è una scelta che mi è sembrata del
tutto in sintonia con la voglia di Eugenio
Finardi di andare a riscoprire il blues e
i piccoli ambienti e i club raccolti, per i quali
questo spettacolo in fin dei conti era nato.
"Pensavamo di farlo davanti a 5-6 persone, davanti
agli amici - ha detto Vecchioni - ed ecco qua!"
e indicava con orgoglio le oltre mille persone convenute
in una serata di pioggia e freddo milanese di una
primavera che stenta nel cielo quanto si esprime al
meglio sugli alberi in fiore. Ben tornato Roberto
e che questo ritorno alla semplicità possa
portare anche a un ritorno alla creatività,
per aggiungere nuove perle alla lunga collana di canzoni
che compone la colonna sonora della nostra generazione.
E ancora un applauso per Patrizio Fariselli e Paolino
Dalla Porta, grandi musicisti persino in duo.