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Le Bielle interviste 2015

Piergiorgio Faraglia: «... e infine un giorno l'uomo nero aprì l'armadio»

Il cantautore romano tra rock e canzone d'autore, arrivato secondo alla Targa Tenco 2015
"L'uomo nero" il suo disco: un universo di uomini fragili alla ricerca di risposte che non arrivano

Di Elisabetta Malantrucco
24/11 - L’incontro è avvenuto a Sanremo, durante la Rassegna della Canzone d’Autore. Due romani che vivono a poche fermate di metro e scelgono di realizzare una intervista sulla riviera, in un autunno che sembra primavera, vicino a signore che in costume prendono il sole, potrebbero incontrare la disapprovazione di qualche geometra del tempo e dello spazio. È stata una scelta ponderata invece: l’idea era quella di parlarsi proprio in quel clima particolare, in quel respiro che poi è l’arte dell’incontro e che è la cifra di manifestazioni come il Premio Tenco.

E poi Piergiorgio Faraglia aveva ragioni personali per essere lì in quel momento. Uomo dalle mille chitarre (ne ha una vera collezione), il cantautore romano è prima di tutto un musicista che per più di trenta anni ha vissuto tra palchi, mixer, e studi di registrazione. Alla fine ha pubblicato il suo album d’esordio col quale ha partecipato alle Targhe Tenco, entrando in cinquina nella categoria ‘Esordio’ e arrivando secondo. Il suo lavoro è stato quindi molto apprezzato dalla giuria e sicuramente è stato apprezzato da chi scrive, per la forza, l’energia, il rock senza mediazioni (forse solo nell'arte l'integralismo è accettabile), l’immediatezza delle parole. L’Uomo nero è infatti un disco d’autore, checché ne dica lo stesso Faraglia; è un disco di storie e di uomini. E soprattutto di questo a Sanremo, tra una sardenaira e una locomotiva gucciniana, abbiamo parlato.

L’uomo nero è un album uscito nella primavera del 2015, il 17 marzo; ha però avuto una lunga gestazione.

"Ho fatto un percorso al contrario; ho cominciato a suonare a 10 anni; poi muretti, falò, spiagge, dove tutti si baciavano e io invece suonavo la chitarra… arrivato ai 18 anni ho cominciato a esibirmi per soldi: le mie prime 30.000 lire ancora me lo ricordo; però quello che intendo dire quando parlo di percorso al contrario è questo: a 16 anni un ragazzo forma una band per conquistare il mondo, poi piano piano capisce che non funziona e fa un duo, poi il duo litiga e rimane da solo. E si invecchia così. Io ho fatto il contrario: ho cominciato da solo con una chitarrina, poi siamo diventati due, poi tre, poi un gruppo, … solo alla fine ho cominciato a scrivere canzoni. Il nostro ragazzo di 16 anni scrive una canzone al giorno, io non riuscivo a scrivere nemmeno una riga. Facevo testi, scrivevo musica per il teatro e per dei cortometraggi ma non riuscivo ad unire le cose: la forma canzone era lontana, proibita".

E cosa è successo allora?

"Quindici anni fa ho scritto la mia prima canzone per il matrimonio di un amico; non sapevo cosa regalargli e lui mi diceva sempre: ‘perché non ti decidi a scrivere una canzone?’ e allora l’ho fatto. È nata Cuore di grano, che è anche nell’album. Fu liberatorio. Le altre sono venute fuori a quel punto una dopo l’altra, nel giro di neanche un anno. Dopo passarono ancora un paio d’anni, durante i quali ho messo insieme una bella band, ho quasi firmato un contratto con la Compagnia Nuove Indye… sembravo pronto, ma non lo ero affatto, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo; come dico sempre, in qualche modo le mie canzoni erano più avanti di me e io gli correvo dietro. Non c’era proprio armonia tra quello che stavo vivendo e come mi sentivo. E lasciai perdere".

Però la musica è parte integrante della tua vita, cioè tu vivi soprattutto di quello e in tutti i sensi.

"Sì io vivo di questo dalle mie prime trentamila lire; ho cominciato a fare dei turni in studio, musica per il teatro; ho suonato per la strada, ho suonato sempre, finché poi non ho aperto uno studio in Umbria, in una casetta in cima alla montagna, e produco il lavoro di artisti più giovani: è una cosa tassativa e automatica. Lavoro meglio con i ragazzi dai 20 ai 25 anni, che ogni volta mi stupiscono e mi regalano qualche cosa di nuovo".

E quando finalmente hai raggiunto le canzoni che ti stavano davanti?

"La verità è che stavano chiuse in un armadio, poverette. Cosa sia successo esattamente non lo so, niente di improvviso o scatenante. Forse c’entra anche il Tenco però, perché circa due anni fa, a Roma arrivò il Tenco Ascolta. Col mio ufficio stampa, Daniela Esposito, decidemmo l’iscrizione. Mi invitarono e io partecipai; mi sentivo un sedicenne. Cantai male, ero timido, sbagliai accordi, mi batteva il cuore, però devo dire che quando ho sentito questa fragilità, questa insicurezza pazzesca, a quel punto ho anche cominciato a sentirmi bene con le mie canzoni. Non c’era più niente di scontato: quelle canzoni erano ancora forti dopo dieci anni, ancora vive dentro di me. E lì capii che potevo ripartire".

Ed è uscito il primo singolo…


È uscito "L’uomo nero" che in realtà è la non canzone come amo dire: scrissi il testo tre o quattro anni prima di farla diventare una canzone; era uno sfogo bello e buono; stavo lì seduto, non riuscivo a fare un accidente, stavo malissimo; scrissi questo testo per tirare fuori il bubbone che avevo dentro, dargli una forma, un nome, una voce: l’uomo nero. Tanti anni dopo ripescai da un file questo testo; trovai i tre accordi che mi servivano ed è venuta fuori poi la canzone che mi ha portato più fortuna di tutte, tant’è che per dieci anni è stata l’unica che ho continuato a suonare ovunque; il singolo è andato subito bene ed è finito anche nella selezione delle migliori canzoni delle Targhe Tenco.



In effetti ha una struttura particolare questa canzone; ma l’hai cambiata nel tempo, l’hai adattata, le hai dato un nuovo abito?


"Non ho cambiato una virgola dell’Uomo nero. Quella è una canzone che non ho mai toccato; ci sono degli errori che faccio sempre, inverto sempre dei versi che non riesco mai a dire nell’ordine giusto però ..."

Perché forse l’ordine vero è quello…


"Forse sì… ma tanto una volta che lo fisso poi lo sbaglio di nuovo".

La colpa allora è dell’uomo nero…

Brava! Potrebbe essere, sì. È talmente forte questa canzone, arriva sempre alle persone, le tocca sempre in un modo particolare e tocca ogni volta pure me. Quando la suono non è mai la stessa: è sempre un viaggio. E quindi io mi sbaglio".

Il video chi l’ha fatto?


"Un mio carissimo amico, un fotografo. Uno di quelli sempre presenti davanti alle barricate. Si chiama Francesco D’Amore. Mi ha portato in una catapecchia a girare, mi sono seduto su un pezzo di legno con un chiodo sporgente; in una nottata di lavoro l’ha fatto. Il video che gira dell’uomo nero è un regalo al cento per cento di questa persona. Serviva perché stavo partecipando al Premio De Andrè. Al De Andrè sono andato e ho vinto, come miglior interprete. Poco prima avevo vinto a Botteghe d’autore sia il primo premio che quello per l’arrangiamento. È stato tutto un susseguirsi di cose e successi".

A quel punto bisognava farlo subito il disco…

"Ma sì. A quel punto sì. Ho preso tre amici musicisti, ci siamo chiusi nel mio studio e lo abbiamo registrato in pochissimo tempo".

Parliamo di loro.


"Sono Saverio Capo, un musicista che conosco da sempre. È un bassista; tra l’altro lui ha partecipato dieci anni fa alle prime registrazioni, ai primi tentativi.
Lucrezio de Seta è un batterista di serie A. A Roma è considerato un vero ‘intoccabile.’ Un grande. Ha mostrato per il mio progetto molta disponibilità. Da vero amico.
C’è anche Armando Serafini da ricordare; lui era nella formazione con cui ho vinto i premi. Armando suona con le nocche su scatole di legno; un grande, un generoso, unico nel suo genere. È un animale da palco. Lui è anche un ottimo chitarrista acustico e ha suonato nelle due ballate "Chiamami padre" e "Ali di pane". Infine voglio ricordare Mirko Cascio con cui ho missato il disco in venti giorni.




Bene allora lasciamo da parte il disco e torniamo a te: Faraglia e il Rock.

"Il Rock è stata la cosa che mi ha fatto nascere come persona prima che come musicista. A dieci anni ero un bambino introverso, suonavo la chitarra ma davanti a un muro; mi vergognavo di qualunque cosa; vivevo chiuso nelle mie cose e ascoltavo la musica che sentiva mia madre. Lei passava dagli Inti Illimani a Bacharach, da Sam Cooke a Tom Jones. Un giorno una vecchia televisione che avanzava non so a che parente finisce nella mia stanza e c’era video music o una cosa del genere; io ero davvero piccolo e mi trovai di fronte i Police e Message in a Bottle; sono caduto per terra: ho sentito una cosa dentro che non riuscivo a controllare, orgasmica; e da lì cominciai ad ascoltare Police, Dire Straits, poi sono arrivato al blues e in generale a tutto quello che è musica istintiva".

Faraglia e la Canzone d’Autore.

"Domandaccia. Faraglia con la Canzone d’Autore ha un rapporto controverso e molto, molto recente; io posso dire che la Canzone d’Autore ho cominciato a sentirla da pochissimo. Io sono un rockettaro. La Canzone d’autore la consideravo meditativa e lontana; poi per me i concerti erano un atto fisico; io suonavo, saltavo, perdevo un chilo a concerto, rompevo ogni volta un paio di occhiali. Credevo che con tutto questo la Canzone d’Autore non c’entrasse niente. Poi piano piano e grazie a Pino Daniele ho cominciato ad avvicinarmi".

Non capisco bene se stai parlando da fruitore o da ‘Cantautore’.


"Non sono ancora veramente un fruitore anche perché so che è una lunga storia, ma in generale la vita personale e artistica ormai per me sono fuse e non riesco più a separarle".

Quindi se qualcuno ti definisce Cantautore cosa pensi?


"In realtà per me oggi chi scrive una canzone e poi la suona è un Cantautore, qualunque sia il genere".

Anche Albano allora lo è.

"Ma sì, lo so che a parlarne in realtà si entra in una specie di Concilio di Trento in cui non voglio entrare e non avrei neanche la diplomazia per farlo. A me oggi interessa se una musica mi arriva o no".

Ok ma io sto parlando di te. Tu ti riconosci nella definizione?

"Sì. Oggi mi ci sento bene, alla fine ci sono arrivato".

L’Uomo nero la consideri una Canzone d’Autore?

"Quella è un po’ a cavallo, non è una canzone; è innazitutto – passami il parolone – una poesia, un testo che rimane e che ho scritto per cercare di star meglio".

"Avete visto mio fratello" è una Canzone d’Autore?

"Quella sì, esatto, capisci? Ma anche "Ali di pane" o "Chiamami padre". Sono tante le canzoni nel mio disco che sono canzoni d’autore".

E comunque sei venuto qui a Sanremo durante la Rassegna della Canzone d’Autore, perché sei arrivato secondo - a cinque voti dai primi - per la targa al miglior Esordio. Come l’hai vissuta questa cosa?

Eh, dopo aver predicato ai giovani che i premi non sono importanti, che le cose bisogna farle perché ci si crede e basta, quando alla soglia dei cinquant’anni è toccato a me, altro che buonismo facile. Mi sono sentito molto coinvolto; ci ho proprio creduto. Quando ho saputo che ero in cinquina, mi si è aperta una valvola interna, la stessa di quando avevo sedici anni e dissi a me stesso: ‘salire su un palco e fare il musicista tutta la vita non sarebbe male’; una fantasia talmente concreta che quasi sentii l’odore del palco. Poi però questo sentimento non me lo sono mai concesso del tutto. Ho sempre fatto passi avanti e indietro. Insomma per farla breve è arrivata la notizia e si è svegliato il sedicenne; mi sono detto: ‘ce la sto facendo’. Quando ho saputo di non aver vinto, di essere arrivato secondo, ci sono rimasto male. Poi ovviamente l’uomo saggio mi ha detto: ‘va bene lo stesso’.

Anche perché vuol dire che il disco è stato molto apprezzato… a meno che il sedicenne non pensi che per fare questo mestiere sia necessario arrivare comunque sempre primo.

"No infatti, se un disco di cartone autoprodotto è arrivato fino a lì, grazie alla grande professionalità dei miei musicisti e del mio ufficio stampa certamente, ma anche grazie a me, al mio lavoro, alla mia produzione, allora vuol dire che sì. Che lo posso fare. È stato come se un aquilone, invece di stare a dieci metri dalla testa, fosse arrivato sulla luna".

Adesso stai lavorando ad altre canzoni?

"Sì. Questo disco mi ha liberato; ora stanno venendo fuori una marea di spunti, di testi. Sta venendo fuori devo dire anche una nuova libertà nel comporre: qua sarà tutto diverso".

In che consiste questa diversità?


"Perché le nuove canzoni racconteranno di me, di come sono adesso".

Musicalmente?

"Ancora non lo so, però so che prenderò la chitarra classica, uno strumento che amo moltissimo ma che uso poco e invece ogni volta che la suono mi succede qualcosa dentro. Sento che mi porta dolcezza e profondità. E poi immagino una dimensione corale, un disco con gli interventi di tutti gli artisti che ho incontrato in tanti anni, dal Trentino a Lampedusa; un disco itinerante che registrerò l’anno prossimo in giro, magari anche a casa tua".

Preparo la macchinetta del caffè.


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"L'uomo nero"

"Avete visto mio fratello? / Non è di qui non sa parlare / non conosce il nostro ballo / percio non lo può ballare / Avete visto mia sorella? / Una ce non può più prlare / e si è venduta la sua stella / e non la può più ricomprare"

L’Uomo Nero: questo è il titolo dell’album e anche della traccia ‘guida’; un brano trascinante in due accordi più uno, per un disco solennemente rock. L’uomo nero lo conosciamo tutti; è quello che ci blocca a un metro dall’arrivo e ci fa tornare indietro; è quello che ci dice che non ce la faremo, quando in realtà siamo già arrivati. "L’uomo nero" è solo la prima delle figure che incontriamo in questo viaggio di Faraglia. Molte altre ne incrociamo, fatte di "Gomma", che scappano, si inseguono, rincorrono domande, come in "Dimmi". "Avete visto mio fratello" è un brano vivo e vero, che parla di migrazione e razzismo ma anche semplicemente di emarginazione e lo fa con un ritmo incalzante che non lascia respiro. Toccante e intima "Chiamami padre"; elegante la prima canzone scritta dal cantautore romano "Cuore di grano": una dedica ad un amico speciale, forse l’unico uomo ‘risolto’ dell’album. Un disco nell’insieme diretto, chiaro, immediato senza mai essere semplice o facile o accomodante, un disco che dipinge un universo di uomini fragili alla ricerca di risposte che non arrivano o che si perdono nel rumore del mondo. Come noi. (E.M.)

Intervista del 24 novembre 2015
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