Una Brigata di memoria, di cultura, di utopie,
di speranze, d'informazione, dell'uomo.


L'artista
Il suono
L'immagine
Archivio storico A-D / E-L
Archivio M-R / S-Z
RadioBielle
 
Le BiELLE RECENSIONI
Zibba e Almalibre: "Come il suono dei passi sulla neve"
La trame è un filo di lana, la leggerezza un copione
di Giorgio Maimone
Ascolti collegati

Zibba e Almalibre
Una cura per il freddo

Vittorio De Scalzi
Gli occhi del mondo

Max Manfredi
Luna persa

Ligabue
Arrivederci mostro!

Eugenio Finardi
Sessanta

Federico Sirianni
Dal basso dei cieli

Crediti:
Zibba (voce, chitarra acustica, ukulele); Andrea "Bale" Balestrieri (batteria); Fabio Biale (violino, Neolin, fischi); Stefano Cecchi (basso); Stefano Ronchi (chitarra acustica, chitarra elettrica, dobro); Stefano Riggi (sax e clarino)

Ospiti: Roy Paci (1), Eugenio Finardi (3), Vittorio De Scalzi (8) e Carlot-ta (6). Partecipazioni straordinarie di Adolfo Margiotta, Enzo Paci, Gianluca Fubelli, Alberto Onofrietti e Silvia Giulia Mendola. Alberto Pozzi Tebani (elettroniche); Nicola Calcagno (bouzouki); Gianluca Ria (Trombone); Giovanni Ricciardi (Violoncello);

Testi e musiche: Zibba e Almalibre

Registrato da Stefano Cecchi nel forno della biblioteca "la fornace" di Moie (AN). Mixato e masterizzato da Stefano Cecchi alla Prestige recording room di Uscio (GE).

Prodotto da Zibba e Almalibre con la collaborazione di Fabio Gallo. Ufficio stampa: Protosound Polyproject.
Foto: Nicolò Puppo

Su Bielle
Ascolti: "O mæ mâ"

Sul web
Sito ufficiale
Facebook


Zibba e Almalibre
"Come il suono dei passi sulla neve"

Volume!/Warner/Venus - 2012
Nei negozi di dischi

Tracklist

01 Nancy
02

Come il suono dei passi sulla neve

03 Asti est
04 Sei metri sopra la città
05 Prima di partire
06 Aria di Levante
07 Almeno il tempo
08 O mæ mâ
09 Anche di lunedì
10 Dove i sognatori son librai
11 Salva
"Come il suono dei passi sulla neve sono i pensieri che mi svegliano ogni mattina, sono gli amici silenziosi, i nemici dichiarati, il dolore che insegna, l'indifferenza che ferisce. Sono i tuoi baci che aspettano il mio ritorno: è la passione che imbianca le mie notti, sono la paura del mio presente, a volte assente, il passato che ritorna. Una carezza nell'anima. E' lo strazio di vederti andare via il mio futuro che si accende nei tuoi occhi. E' la mia gioia bambina, la vecchia speranza che non muore. E' la struggente voglia di rivederti anche se sei qui. Sono le orme che lasci sul mio destino, che neanche una pioggia di fuoco potrebbe cancellare. E' la fine che non finisce, sono la trappola, sono i tuoi risvegli su di me. Sono i giorni che verrano. Sono la favola che improvviso per farti addormentare. Come il suono dei passi sulla neve, è l'incontenibile amore che canto e canterò perché non mi squarci il cuore: sono la paura, la paura di non morire tra le tue braccia".

E questa è la fine, l'epigrafe a fondo disco, la summa, la chiave di volta. Recitato con sola voce, nel silenzio della fine dell'album, quasi come una ghost track dell'anima, per spiegare quello che comunque è il tema di tutto l'album. "Come il suono dei passi sulla neve" è un grande affresco sull'amore. Costruito sulle canzone di Zibba e degli Almalibre e sugli inserti parlati, che, poche volte come in questo caso, sono inerenti alla narrazione. Non staccati, non schegge qualunque inserite per fare ambiente o passare suggestioni, ma proprio come appoggi letterari da cui prendere il via per una nuova canzone. Se osservate la scaletta si tratta di 11 canzoni, ma se mettete il disco su un lettore vedrete che le tracce sono 16: 11 canzoni e 5 brani parlati. L'ultimo ve lo abbiamo pubblicato in toto, perché meritava e spiegava, gli altri sono "Martino Rebowski" di Matteo Monforte, letto da Enzo Paci, "La musica lo sa" di Gianluca Fubelli, "Essere il mare" tratto da "Un lungo, fortissimo abbraccio" di Lorenzo Licalzi e recitato da Adolfo Margiotta, "Poesia d'amore" di Silvia Giulia Mendola e "Come il suono dei passi sulla neve" di Adolfo Margiotta.

Zibba è uno che ha preso il treno giusto. Ha saputo prenderlo, si è seduto nel posto in favore di marcia e si gode il vento in faccia. Il mondo musicale ha preso atto della sua presenza e le collaborazioni si sprecano: da Bunna ai Tiromancino, da Finardi a Roy Paci e a tutti gli altri ospiti di questo bel disco. Due anni di concerti senza soluzioni di continuità, un paio di vittorie a concorsi prestigiosi come l'Artista che non c'era dell'Isola che non c'era o il Premio Bindi, la partecipazione alle serate del Tenco e poi al Tenco stesso. Il punto a suo favore è che è riuscito, nonostante il clangore del successo in arrivo, a migliorare ancora. Eh sì, perché "Come il suono dei passi sulla neve" è ancora meglio di "Una cura per il freddo". Che a sua volta era meglio dell'esordio "Senza smettere di far rumore", nonostante la presenza di quella "Margherita" che è servita un po' come gancio per il successo.

Quali sono i motivi del fascino? La voce, fonda, calda, graffiata, ma non cavernosa. Morbida, suadente, modulata. Vagamente richiama il miglior Ligabue. In secondo luogo c'è la musica, che è caleidoscopica, apparente e sfuggente a un tempo: tra Bregovic, canzone d'autore, Balcani e richiami liguri, etnicismi, swing e piccoli fiori blues. E qui non bisogna dimenticare l'ottimo lavoro degli Almalibre, formazione che allinea fiati e violini senza interferenze reciproche. In terzo luogo, ma l'ordine è ipotetico, ci stanno i testi che sono sempre pensati, poetici e ritmati, ricchi di un loro fascino frammentario e discontinuo.

Se l'industria del disco avesse mai avuto la possibilità (o la capacità) di clonare un talento, Zibba potrebbe essere un buon esemplare a cui fare riferimento. Ma non perché sia un clone! Perché accumula in una sola formazione tutte le buone qualità necessarie. In mezzo c'è la capacità di scrivere pezzi come "Prima di partire" o "Dove i sognatori son librai" o ancora il duetto in genovese con Vittorio De Scalzi "
O mæ mâ". Basterebbero queste. E invece abbiamo anche "Nancy", "Come il suono dei passi sulla neve" e "Anche di lunedì" o "Sei metri sopra la città", che passano dall'intimismo allo swing, traversando il blues e il folk. Eppure il suono degli Almalibre è riconoscibile e inconfondibile la voce di Zibba.


Non estenderò la mia ammirazione condizionata a chi si è occupato della grafica del libretto, schiaffando, bianco su nero, le parole dei testi tutte ammucchiate e in fila tra loro con un carattere che dire illeggibile gli si fa un complimento. Piuttosto che metterle così è meglio non metterle affatto. Ma cerchiamo di cavare qualcosa dall'intollerabile minestrone grafico: "Nancy", probabile successo per l'estate, parla d'amore con accenni piacevoli: "La vita non è fatta di assi instabili / ci vuole tempo, chiodi buoni / ed una predisposizione ad imparare / che per diventare un bravo attore / bisogna sempre fare anche la parte dello spettatore. / Valuterò anche un cambio di armonia / Ma amo la musica perché mi porta ovunque / e dallo stesso ovunque mi riporta via". Forse non proprio una weltenschaung, una concezione del mondo, ma un modo molto gradevole per dire le solite piacevoli cose.

Già con "Come il suono dei passi sulla neve" si entra più in profondità nella definizione di un rapporto "Mi piacciono di noi i preziosi istanti / in cui ci stiamo ad osservare / La possibilità di scegliere non ci lascerà mai / liberi né complici quanto saperlo fare / Che se oggi resto perché ne hai bisogno / domani vorrò farlo perché avremo un sogno". Il brano è un lentaccio d'atmosfera, affascinante: dove il rapporto non sembra fare riferimento a uno stato nascente, ma piuttosto a una lenta consuetudine quotidiana. Ma resta solo una sensazione. Zibba, volutamente, non approfondisce il racconto.

"Asti est" sfrutta un bel riff musicale, sottile sottile, ma che percorre l'intero brano, impreziosito da un cameo vocale di Eugenio Finardi. Una filastrocca rapidissima che procede a saltelloni a piedi uniti sul senso: "Sette amori per sette villani / Cinquantamila ornamenti papali / Festa dei tavoli in legno / fine del mondo domani a due metri da qui / passa voce che passo parola / Dammi lingua e mutande viola / Presto e vitello crudo, di misto di razze e di fisionomie da città / muoviti non c'è più tempo / dove hai messo il vento / Svengo, guiavo e lei non era qui / ho un orizzonte nuovo che mi ricorda un po' il perché Fuori è più freddo di me". Libere parole in libero stato, libero senso e divertimento, ritmo incalzante e pomeriggio da ballo. Il casello di Asti est è senza pedaggio. Almeno per chi cerca un significato.

Ci divertiamo anche con la successiva "Sei metri sopra la città", tirata a ritmo di swing vivace. Gli Almalibre vanno come un treno e Zibba tira il vapore. "S'alzi chi è di scena / Sono il buono e l'assassino / sono il tiepido malvagio appeso ai vuoti e a un respiro / son finissimo poeta / Gioia e morte in un sol uomo / Sono un eccitato esteta / piedi in aria e faccia al suolo. / Elegante vesto in festa / ciclostile di gran gesta / non mi resta che insegnare / come non prevaricare su chi vuol guidare lui il bestiame". Il suono è bello, le parole fanno la loro bella figura, suggeriscono e suggestionano e dicono pochissimo anche qui. Il tentativo è immaginare spezzoni di film, atmosfere, situazioni, non distillarle, non comunicarle. Ma il divertimento è assicurato. Si paga il biglietto e, se si prende la codina, si ha diritto a un altro giro in giostra.

Cambia clima, logica e spessore nella più bella canzone del lotto: "Prima di partire", dove fa da magnifico controcanto Carlot-ta. Canzone notturna, sussurrata e sospirata. Canzone per comunicare, per la notte, per i cuori sensibili che palpitano ancora d'amore. Per le pelli fragili, non istoriate, non indurite dal tempo trascorso. Canzone di velluto spesso, da carezzare nel senso del pelo. Da pelle di pesca, da alba albicocca. Quasi un carillon del cuore. "Tornano le mie impressioni a parlare che fuori dal cerchio sono carne a seccare / la malinconia è la mia scusa per dire di no / senza dei nuovi argomenti disegni sgomenti / di visi, di pianti, di note suonate, di fiati stonati che arrivano a noi / soffice come l'estate in partenza. / Morbida come la schiena della luna. / Viola e giocosa di mare e di sale e di forte e sperata fortuna che sei. / Salta le pagine e arriva alla fine. / Dalle persiane spalanchi alla Mole. / Domande su come svegliare e su come dormire. / Dio senza angeli al fianco, più vecchio e più stanco, / più fuori che dentro, di favole appena accennate, cantate prima di partir". Egregio lavoro al violino di Fabio Biale. Nel finale, mentre la canzone sfuma, irrompe l'irritazione urlata di Alberto Onofrietti che recita un pezzo in netto contrasto. Forse per non cedere il ciglio al sogno.

"Aria di Levante" si incarica di dare ancora ritmo al tutto. "Passa e lava il temporale, inaspettato arriva a illuminare la mia voglia di invecchiare. / Siedi qui con me, è un piccolo cinema / Le scale sono solamente piani da scoprire". Quasi un blues collettivo di persone in attesa, tra ansie di New York e voglia di non partire. "Almeno il tempo" è un altro blues, ma più rallentato: "Milano scostumata ferrovia. GIà perdoinata la tua identità / Strappando pagine di cronaca lì in faccia e in tuta al parco la domenica / Ti chiedderei di nuovo come stai / / ma mi rispondi bene e poi vai via / senza lasciarti il tepo di pensare / che volevo dirtelo anch'io". Ma le immagini corrono, si affastellano, si contraddicono e l'abbozzo di storia che pareva delinearsi sfuma. Anche qui. Zibba elide, allude e illude. Ma non conclude. Mai. Il racconto non gli appartiene. Meglio il guazzo, lo stimolo. Ognuno poi unisca i puntini come più gli aggrada.

Almeno abbiamo la sicurezza di essere a Genova con "O mæ mâ" (Il mio mare), cantata a due voci con Vittorio De Scalzi, altro pezzo memorabile dell'album. "Figli di macellai e persiane, mentre Genova sviene / tra le lacrime e il sale / Nel fondo, nell'armonia e nella ragione / La trama è un filo di lana / la leggerezza un copione". E il genovese si conferma ancora una volta lingua musicale. "Anche di lunedì" accelera ancora il ritmo che si fa swing: "Tu che vai a Portofino e non a Genova che vuoi saperne dell'amore?". "E un rotocalco in borsa da appiccicarci i sogni in corsa". "Non so che me ne frega dell'America / il viaggio è troppo lungo e poi la stessa merda è qui da noi". Belle frasi. Così come è bellissima "La nave passa dove i sognatori son librai e a scrivere poesie sono i fornai", cuore di "Dove i sognatori son librai", un altro dei punti forti dell'album. Ballata lenta e rarefatta, dove trova il giusto spazio anche un violoncello. Ma meravigliosa è anche la conclusiva"Salva", lungo elenco di cose che devono essere salvate: "Le giovani dalle palestre e dai centri commerciali ... il dialogare delle lunghe gallerie ... i vecchi dalle poste, le maestre dalle generazioni, i boxer dai coglioni ... I palcoscenici dalle pomeridiane, il levante dal vento, i passi dalla nave, il lunedì dal non far niente ... E tu che puoi salvati da me / e quando hai un po' di tempo che ti avanza, se puoi salva i mesi e gli anni dai rituali stagionali / da questi giorni tutti uguali / e io ti dirò tutto di me / mentendo solo sul passato".

Come concludere? Tutto bene. Il disco suona sano e bene oliato. E' cantato, suonato, strumentato e concepito con amore e con passione. E' un disco per porre una pietra definitiva e per restare. Che se poi si volesse partire, ci si ricordi che davanti a Genova c'è il mare.


Ultimo aggiornamento: 27-06-2012