Crediti:
Davide Tossches (voce, chitarra acustica, elettrica, Synth);
Dan Solo (basso elettrico); Massimo Rumiano (organo Hammond);
Ramon Moro (flicorno, tromba); Matteo Grosso (batteria, foglio
di carta); Carlo Actis Dato (sax tenore); Stefano Durando
(basso elettrico); Roberto “Robbo” Bovolenta (lap
steel); Sergio Aschieris (chitarra elettrica); Andrea Ruggiero
(violino); Laura Carè (cori); Irene Chiaramida (cori);
Matteo Bessone (vibraslap); Andrea Bertolotti (banjo); Ferdinando
Vietti (violoncello); Jacopo Garimanno (chitarra elettrica);
Mao (voce); Federico Sirianni (voce)
Prodotto da Davide Tosches
Registrato da Claudio Cattero alle Manifatture Musicali (San
Didero, To)
Mixato da Fabrizio “Cit” Chiapello al Transeuropa
Studio (Torino)
Masterizzato da Antonio Baglio al Nautilus (Milano)
Registrazioni aggiuntive eseguite da: Davide Tosches a Villa
Caputo (San Sebastiano da Po, To)
Fabrizio “Cit” Chiapello al Transeuropa Studio
(Torino)
Mattia Garimanno al ænima recordings (Cavagnolo, To)
Dan Solo (nel suo studio ai Docks Dora, Torino)
Andrea Ruggiero (Mk Studio, Roma)
Musica e testi di Davide Tosches
Foto di Andrea Bargagli (copertina, retro, Terra, Il lento
disgelo)
Foto di Laura Carè (ritratto)
Grafica e altre foto di Davide Tosches
Davide
Tosches "Il
lento disgelo"
Controrecords - 2012
Nei negozi di musicao sul
sito
Tracklist
01
Terra
02
Ali
03
22:47
04
Dove
andiamo
05
Il
lento disgelo
06
Poco
alla volta
07
Patriota
08
Ogni
uomo
09
Scintille
Va
bene, iniziate pure a ridere adesso e prendetemi in giro quanto
volete. Ma se devo citare una fonte, quando ascolto Davide Tosches,
quella che mi viene in mente è Van Morrison. Certo non per
la voce! Ma per l’attitudine sonora. E perché Tosches
ha scelto strade musicali su cui cammina da solo. E’ una scelta
coraggiosa che può piacere o meno. A me piace. Forse proprio
perché è uno che se ne va per la strada sua, una scelta
che era già evidente nel primo disco: “Dove l’erba
è alta”, che, non a caso abbiamo giudicato tra i migliori
del 2010, come accade ora per "Il lento disgelo".
Rispetto
al lavoro precedente, questo sorprende meno, perché c’è
già stato l’altro e Tosches a questi livelli ce lo
aspettavamo. Contemporaneamente è anche meno involuto,
meno centrato sulla ricerca interiore, ma non per questo meno
impegnato. Sono 9 brani, con una bella preponderanza di musica,
dove si suona un po’ di tutto e si cerca soprattutto un
ritmo armonico, che sappia di coltivare lo stesso respiro della
natura . Si passa da brani lenti e misurati come “Il lento
disgelo”, che dà il titolo al lavoro, ad altri molto
più mossi come “Dove andiamo”, che peraltro
è uno dei pezzi forti dell’album. Ovviamente il “Lento
disgelo” è metafora umana, che collima con l’ambiente
esterno e, a suo modo, forma una specie di tessuto comune tra
le canzoni, che, in fin dei conti, come in una summa filosofica,
parlano dell’uomo e del suo tentativo di ritrovare sé
stesso: “una piccola rivoluzione privata – dice Davide
sulla copertina del cd - della quale rendere partecipi tutti gli
altri, tutte le creature che respirano”.
Respiro è
forse il termine chiave per seguire questo disco. E’ un
album che respira, che ha un suo ritmo di immissione ed emissione
dell’aria che viene naturale seguire, lasciarsi andare al
fluire delle note ed al loro ondivago ondeggiare. Contrariamente
al lavoro precedente, eseguito in splendida solitudine, suonando
quasi tutti gli strumenti, ne “Il lento disgelo” Tosches
si limita alla chitarra e voce e si fa accompagnare da una nutrita
schiera di amici, tra cui Dan Solo (Marlene Kuntz, Petrol), Carlo
Actis Dato, Ramon Moro, Mao, Federico Sirianni, Roberto “Robbo”
Bovolenta (El Tres, Amici di Roland), Andrea Ruggiero (Giorgio
Canali, Operaja Criminale e molti altri), giusto per citare i
più conosciuti.
“Davide
Tosches – scrive gianCarlo Onorato nella prefazione
al disco - è quel camminatore di luoghi inusitati,
esploratore di emozioni minime e che se fuori non si vedono, dentro
hanno effetti madornali, aprendo scenari improvvisi, squarci di
tempo differente in cui il respiro si amplifica e la sostanza
delle cose aggalla come sulla superficie verde e marcia di uno
stagno segreto, in fondo a un sentiero così vicino al ciglio
di una strada principale, così lontano rispetto alla vita
ordinaria. Tosches, ovvero della sensibilità accesa. Di
una sensibilità soggettiva eletta a strumento di esplorazione
di un solo uomo che è ogni uomo. Attraversatore silenzioso
di spazi in cui un fruscio diventa un fragore da amministrare
con udito adeguato, e da aspirare e poi risoffiare in canzoni
che diventano sorta di bolle d’aria contenenti misteriose
parti di noi: l’infanzia indimenticata, un sapore inspiegato
e il suono segreto della vita, rivelato da cose minime solo a
chi ha udito affinato per ascoltarle”.
E’ tutto vero. Tosches, va per una strada
sua, pochissimo incline a compromessi. Se vi piace ascoltarlo
vi apre scenari imprevisti, piccoli paradisi personali, squarci
di assoluto. Se non vi piace, lui non viene certo a rincorrervi.
Le impronte le ha lasciate, camminando: c’è qualche
giunco piegato, un po’ di erba calpestata e una figura lontana
all’orizzonte. Se volete prendere fiato e poi correre a
perdifiato giù per la collina potreste anche riuscire a
raggiungerlo. Altrimenti lasciatelo sfumare nella nebbia. Lui
appartiene a sfere che non sono le vostre. E’ una politica
ormai che seguo da qualche tempo: “adottate un cantautore”.
Le canzoni non solo “solo” lì da ascoltare.
Bisogna avere anche voglia per capirle, per sentirle, per lasciarle
parlare. Esattamente come le persone.
Se “Patriota”,
col suo ritmo salmodiante, ipnotico e ripetuto, può forse
essere più di difficile ascolto (ma se siete Toschiani
sarà tra le vostre preferite), altre come “Lento
disgelo”, “Ogni uomo”
e “Ali” sono di più
facile ascolto. Non aspettatevi però un Devendra Banhart
in salsa piemontese. Tosches non è nu-folk. A suo modo
è rock, con tanto di chitarre elettriche e batterie, basso
elettrico e synth.
Subito in
tema con “Terra: “Nel
freddo bianco di neve, nel caldo rosso tramonto, respiro della
mia terra, battito del mio cuore. Nell’ombra verde di foglie,
nell’alba grigia di nebbia, forza delle mie mani, visione
del mio orgoglio. Tieni lontano il tuo sguardo di morte, tieni
distante la tua ombra e il veleno”. Questo il genere.
Parole poche, ma mai buttate lì a caso. Parole che sanno
di poesia. Come in “Ali”: “Quale segreto, nasconde
il bisogno, di osservare dall’alto? Sentire il richiamo
di nuvole gonfie, calmare l’anima pesante”.
“Dove
andiamo”, impreziosita dal sax tenore di Carlo
Actis Dato e dai cori di Federico Sirianni, condivide con “Scintille”
il posto più alto nella playlist della mia anima. E’
la canzone più diversa dell’album, quella con un
po’ di contropelo, ma con un testo che parla anche d’amore:
“Dove andiamo? Dove camminiamo? Dove siamo quando il
sole muore? Dove ritroviamo l’entusiasmo per il giorno nuovo?
Ma ti ricordi dove ti ho incontrata e ti ho chiesto di essere
la luce delle mie giornate, per tutto il tempo che rimane. Dove
andiamo, come camminiamo sul sottile giaccio dell’amore?”
Solenne e
ieratica "Poco alla volta",
che sgocciola note con parsimonia, ma propone i bei cori di Laura
Carè, la tromba e il flicorno di Ramon Moro e il violoncello
di Ferdinando Vietti: "Quiete spontanea di rami e di
foglie, di penombra, di immense montagne al tramonto, nel coro
costante, delle onde, del mare profondo distante.Tutto cresce,
tutto accade, poco alla volta, poco alla volta".
“Io conosco, il nome di ogni istante, dei tuoi giorni
che passano e nessuno che cambia le stagioni, come è forte
il cuore, come è stanco l’inverno, nell’attesa
del lento disgelo”, è il cuore di “Lento
disgelo”, mentre “Patriota”,
col bell’intervento di violino di Andrea Ruggiero, è
la canzone più politica: “Sono nato in un mattino
di maggio, nel vuoto orizzonte di fabbriche inutili, al servizio
del tiranno, che vendeva famiglie in cambio di potere e oggi sento
ancora dire: ha dato lavoro a tanta gente. E ora grandi ali nere,
coprono il nome sulla sua tomba, dipingono il buio sulla storia,
sulle parole, che fino a ieri creavano desideri”.
“Ogni
uomo” svolge fino in fondo il tema comune
dell’album: “Chi mi accusa, chi mi ignora, chi
detesta il mio dolore, ma nel brutale cambiamento ogni uomo ha
il suo tormento”. Ma è “Scintille”,
il pezzo che chiude l’album, con una scorribanda sonora
di 6’49” che mi fa tornare ancora in mente Van Morrison
(avanti, prego, c’è posto per il dissenso) e la sua
“Inarticulate speech of the heart”. Aperture simili,
prese d’aria, respiro, comunicazione che va oltre i calpestati
sentieri del senso. Musica con un afflato, un’apertura cosmica.
“Ho sognato le emozioni nascoste del mondo, parlare
in una pioggia di stelle, che cadono, stridono, vivono nel moto
del tempo, nell’attrito di ogni conflitto e confronto fra
uomini, nuvole, fiamme e tramonti e ogni cosa che vive e respira.
E ogni stella è un suono, un pensiero, una frase inespressa,
un istante, nel lento cammino del genere umano che teme allontana
e confonde ogni ombra ogni nebbia e ogni lacrima”.
Lo stesso respiro che si sente nella strumentale “22:47”,
altro grande pezzo a cospetto del Signore della Musica.
Non voglio
consigliare Tosches. Non ne vale la pena. Si consiglia da solo.
Se avrete voglia e tempo per ascoltarla, polmoni buoni per scendere
di corsa dalla collina e cercare di afferrarlo prima che svanisca
nella nebbia che annuncia il sole alla prima alba. Poi lui, per
ora, fa benissimo a meno di noi. Se non abbiamo voglia di aprirgli
un po’ di cuore e molte orecchie.