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Le
BiELLE RECENSIONI |
Teatro
degli Orrori: "Il mondo nuovo"
L’Apocalisse
new rock del Teatro degli orrori
di
Mario Bonanno |
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Tracklist
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01 |
Rivendico |
02 |
Io
cerco te |
03 |
Non
vedo l'ora |
04 |
Skopje |
05 |
Gli
Stati Uniti d'Africa |
06 |
Cleveleand-Baghdad |
07 |
Martino |
08 |
Cuore
oceano |
09 |
Ion |
10 |
Monica |
11 |
Pablo |
12 |
Nicolaj |
13 |
Dimmi
addio |
14 |
Doris |
15 |
Adrian |
16 |
Vivere
e morire a Treviso |
Comincio
con taglio da spot (immaginate che ad imbonire sia lo speaker-tipo
finto colloquiale, insopportabilmente giovanilista): ehi gente,
volete farvi un favore?, dimenticate il più in fretta possibile
Sanremo, le strofe superflue, le balbuzie analfabete del pop, i
figli dell’invasione talent show, il canta che (tanto non)
ti passa, ritornate alla grande sul pianeta Terra con Il teatro
degli orrori (nomen omen): l’affresco del collasso globale
sta al loro “Il Mondo nuovo” (La Tempesta dischi, 2012)
come la straripante vena rock alla canzone sociale.
Lo so che, tre volte su tre, i consigli per gli acquisti sdoganano
cazzate, ma se questo incipit fosse davvero una pubblicità
sarebbe la classica eccezione che conferma la regola: mollate le
menate (questa è parafrasi del Finardi ribelle) e ri-fatevi
orecchie, muscoli e cervello con queste sedici tracce che sono i
capitoli di un romanzo impietoso, la presa diretta dall’Apocalisse
che è ora e qui.
E non illudetevi nemmeno di cavarvela al primo ascolto: l’album
è stratificato, difficile, a tesi, nero, tesissimo, punto
di raccordo di biografie minime, snocciolate come i grani di un
rosario fatto di alienazione / sopraffazione / solitudine / morte
(ma, di contro, anche di speranza / ostinazione / coraggio).
“Buoni” e “cattivi”, sfruttati e sfruttatori
(questi ultimi pensateli in giacca e cravatta e taglio di capelli
rassicurante), sullo sfondo di un’Italia che non è
il migliore dei mondi possibili, come non lo era ai tempi del Bennato
denunciante. Il filo rosso tematico del disco sarebbe quello dell’emigrazione,
ma non aspettatevi niente di scontato. In questo cd mancano i pistolotti
di moda engagé (povero migrante negretto-albanese-tunisino-marocchino),
il viaggio al termine della notte globale è politico e guarda
al senso lato del sopravvivere massificati.
Riguarda la vicinanza/lontananza, i sogni morti all’alba,
gli scazzi, i dolori, dell’uomo a una dimensione. L’immigrazione,
insomma, è solo la punta affiorante dell’iceberg di
metastasi sociali violente, sessiste, disumane. I cardini sui quali
poggia quel mondo nuovo che qui ha molto poco di manifesto utopico
e moltissimo di grande presa per il culo e deragliamento collettivi.
Come
un vetero-Virgilio imparentato con Masoch, Il teatro degli orrori
non ci risparmia nulla, cicerone impietoso nelle stanze quotidiane
della tortura subliminale: quelle abitate da "Martino",
"Doris", "Pablo",
"Monica", "Ion",
soprattutto Ion, che di cognome faceva Cazacu, e di mestiere l’operaio,
morto bruciato nella civilissima Varese dell’anno 2000.
"Cleveland – Baghdad"
e "Vivere e morire a Treviso"
si spartiscono l’alloro dell’incisività, ma
mi mordo la lingua e la pianto qui perché è brutto,
in un album a tesi, rendicontare sulle singole tracce.
Un ultima cosa, piuttosto: il tappeto sonoro guarda al new rock
piuttosto che alla ballata di stampo cantautorale, concorrendo
con parole-bisturi all’affresco scuro-scuro di un album
tra i più convincenti della scena indie degli ultimi anni.
Per chi proprio necessitasse di indicazioni di ascolto siamo in
zona Luci della centrale elettrica. Con meno visionarietà
e più sacrosanta cattiveria. Applausi.
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Ultimo
aggiornamento: 19-02-2012 |
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