Micol
Martinez
"La testa dentro"
Discipline Records/Venus - 2012 Nei
migliori negozi di dischi
Tracklist
01
Haggis (la testa dentro)
02
.60 secondi
03
Questa notte
04
L'alveare
05
Sarà d'inverno
06
Nel movimento continuo
07
A filo d'acqua
08
Coprimi gli occhi
09
Un nome diverso
Micol
Martinez ha sempre la capacità di stupirmi nel bene e nel
male. Vorrei affrontare questo suo nuovo disco di Micol, intitolato
“La testa dentro” facendo un raffronto tra le prime
due tracce, perché secondo me sintetizzano bene quel che
ho inteso dire appena sopra, quel bene e quel male. I due brani
“Haggis (la testa dentro)” e “60 secondi”
presentano più di un’analogia. Sono entrambi caratterizzati
da una scrittura solo apparentemente semplice e diretta, in realtà
molto studiata, oserei dire cesellata con cura.
In “Haggis (la testa dentro)”
c’è come un gioco di specchi, si passa da “Ho
camminato per ore / lasciando passo dopo passo il peso del tuo
peso / Ho ascoltato per ore / le mie ossa costruirsi ricomporsi
una ad una” a “Ho camminato per giorni /
ho aumentato il passo solo per non guardarti”, da “Hai
camminato per anni / lasciando mano alla mano il peso del suo
peso / Ho ascoltato per anni / le nostra ossa consumarsi poi spezzarsi
una ad una” a “Hai camminato per anni / rallentando
il passo solo per non guardarmi”, c’è
una dilatazione e poi una contrazione del tempo, ci sono cambi
di soggetto dall’io al tu, fino a diventare un noi nella
conclusione “Guardaci / ripiegati / a divorare / guardati
/ guardaci / ripiegati / a divorare / a divorarci dentro”.
Una bella lezione di stile, originale, d’indubbia qualità,
ciò che mi convince meno è l’aspetto musicale,
quel suono ipnotico, un po’ lisergico, trovo sia affascinate,
anche se mi pare che nel finale si abusi con rumori e distorsioni,
quasi si volesse dare l’impressione di strappare il brano
all’ascoltatore.
In “60
secondi” questo gioco di specchi spazio-temporali
sembra voler continuare, ecco allora che si passa da “60
giorni in una sola notte / 100 anni e un secolo in un solo giorno
/ la linea della mia bocca questa notte è la corda con
cui mi legherò a te” a “60 secondi in un solo
respiro / la linea della tua bocca in un solo giorno / mi piega
a te”, passando dall’iniziale “taglierò
il tuo nome / chiuderò le labbra / mi lascerò il
privilegio di …” a “taglierò
il mio nome / chiuderò le labbra / ci lasceremo il privilegio
di … “, vi è un rapporto che evolve da
due io a un noi “Non conoscerti ancora / non conoscerci
ancora / non conoscerci / non conoscerci ancora”. Insomma,
una grande maturità compositiva a livello di testi, anche
qui però il teso rock/pop che Micol s’è costruito
intorno sembra, almeno nella prima parte della canzone, soffocarla
ed è un peccato perché ha una voce bellissima, che
accosterei per certi versi a quella di Nada e, renderla quasi
incomprensibile, è un vero delitto.
“Questa notte” è
invece una canzone sognante, bucolica, cantata con quella voce
calda e languida che soppesa ogni parola, che sembra voler far
toccare con mano all’ascoltatore questo momento di stasi
perfetta. Bello ancora una volta il passaggio dall’io al
noi, da “Questa notte non finge / ed io sdraiata sull’erba
/ a masticare radici / senti l’odore di muschio e di terra
questa notte” a “Questa notte non finge / e noi sdraiati
sull’erba / a strappare radici / e mille astri ci piovono
addosso questa notte”. Bellissimo il violino di Marco Sica.
Forse ancor
più bella, sin dai primi versi “Sono la strega
dentro l’alveare / sono la madre in fondo al tuo bicchiere
/ sono la terra prima di essere fango / sono l’incoscienza
in una sola estate”, è “L’alveare”
con quel ritmo sincopato, con quel basso che sembra pulsare come
un cuore, con quella sua voce che affascina e strega più
della “strega dentro l’alveare”. Una figura
di donna dominate e, forse per questo, ancora più provocante.
In “Sarà
d’inverno” è descritto, invece,
un amore esclusivo “e avremo tamburi per abbattere il tempo
/ e avremo bastoni / per scuotere tutti gli alberi del mondo“,
in cui vi si addensano molteplici immagini di gran fascino, piene
di sensualità “e avremo il cielo / scolpito dentro
alla carne / e avremo lingue lunghissime / e leccheremo via tutto
il male del mondo / noi avremo il veleno per uccidere il veleno”.
Lento, cadenzato dalle percussioni e da bei cori di fondo, è
tra i brani migliori.
E’
un violino nordico, che suona irlandese, quello che apre “Nel
movimento continuo”, ma ben presto il brano
vira al rock e subentrano chitarre elettriche e distorsioni. Il
testo si apre con una bella immagine “Mi porto addosso ogni
parola che scrivo e ancora nuoto / porto l’alba sulla schiena
e qualcosa di te sotto le palpebre”, dopo però il
tutto si fa un po’ ripetitivo, secondo canoni cari al pop,
a me poco congeniali.
Molto più
coinvolgente, ancora un po’ psichedelico, è “A
filo d’acqua”, un brano che si apre
con una stupenda immagine “Dentro un mare di cielo / nel
giorno arancio che si piega alla sera / la pioggia di sale misurava
il nostro tempo”. C’è ancora, quasi fosse il
leit-motiv dell’intero disco, quel passare dall’io
al noi, dal “Disegnavo conchiglie, disegnando … /
conchiglie sulle mie caviglie“ al “Disegnavi conchiglie,
disegnando … / conchiglie sulle mie caviglie”.
Percussioni
battenti e chitarre elettriche distorte, ci addentrano in “Coprimi
gli occhi”, una sorta d’invocazione
amorosa, un forte desiderio di un amore che isoli dal mondo, dalle
luci che stanno fuori “Chiudi la porta / accosta le
tende / spegni le stelle / ferma qui il tempo / fai buio mio amore”,
così “quando buio sarà / ci incontreremo ogni
notte / e quando buio sarà / ci incontreremo ogni notte
/ non ci vedremo andare via”. Un amore clandestino?
Il disco
si chiude con “Un nome diverso”,
un brano lievissimo, cantato solo voce e chitarra, un canto d’amore
e pieno di speranza, come si evince dai versi “e noi andremo
più veloci del nostro tempo / ci chiameremo ogni giorno
con un nome diverso / e quando dimenticheremo di ricordare / sarà
solo un attimo e torneremo a parlarci”.
E’
forse solo questione di gusti personali, ma io continuo a preferire
Micol così, come canta in quest’ultima traccia, con
semplicità disarmante, capace però, di rendere evidente
tutta la sua naturale classe, in ogni caso, tanto per intendersi,
di questo disco io non scarterei proprio nulla.
In definitiva
direi che “La testa dentro” esprime
pienamente il talento di Micol Martinez, una ragazza che ha dalla
sua una voce originale e molto affascinante, una bellezza un po’
anni ’70 che emerge con forza dagli scatti di Claudio Devizzi
Grassi e che mi ricorda un po’ Françoise Dorléac,
sorella di Catherine Deneuve, ma soprattutto una capacità,
direi unica, di scrivere con intensità, passionalità
e maturità sorprendenti dell’amore, il motore primo
dell’umanità, qui colto però in una dimensione
intima e perciò ancor più coinvolgente.