I
Luf: "I Luf cantano Guccini" Con l'incoscienza
dentro al basso ventre di
Giorgio Maimone
Ascolti
collegati
I Luf
Paradis del diaol
I Luf
Bala e fa balà
I Luf
So nahit in Val Camonega
I Luf
Ocio ai Luf
I Luf
Flel
I Nomadi
I Nomadi interpretano Guccini
Crediti:
Cario Canossi (chitarra acustica e voce); Sergio "Ieio"
Pontoriero (banjo, mandolino, pandeiro, cembalo, shaker e
voce); Matteo Luraghi (basso e contrabbassoe voce); Sammy
Radaelli (batteria); Alessandro Apinti (violino); Cesare Comito
(chitarra acustica e voce); Stefano Civetta (Fisarmonica e
voce); Pier Zuin (highland bagpipe, gralla dulce in sol, flauto
traverso irlandese in re, tin whistle in re, bodhran)
Ospiti:
Ranieri "Ragno" Fumagalli (baghet in "Canzone
per un'amica", Flauto in "Bologna", baghet
in "Dio è morto", flauto nell'"Avvelenata);
Lorenzo Cazzaniga (chitarre, dubro, ukulele e suoni strani
qua e là); Alberto Patrucco (fantastico fantasma)
Testi e musiche diFrancesco Guccini
Il disco è stato registrato in presa diretta presso
"Clockwork studio" di Cernusco Lombardone dal 14
al 20 ottobre 2011 da Lorenzo Cazzaniga
Mixato e masterizzato da Lorenzo Cazzaniga tra ottobre e novembre
2011
Produzione artistica e arrangiamenti: Dario Canossi, Lorenzo
Cazzaniga e I Luf
Produzione esecutiva:Dario Canossi e PerSpartitoPreso
Prodotto da PerSpartitoPreso
Artwork: Zampediverse
Foto: Jacopo Altobelli, Pietro Radaelli, Antonello Corno
I
Luf
"I Luf cantano Guccini" PerSpartitoPreso/Self - 2012 Nei negozi di dischi
Tracklist
01
Bologna
02
Dio
è morto
03
Il
vecchio e il bambino
04
Canzone
per un'amica
05
Auschwitz
06
Vedi
cara
07
Incontro
08
Eskimo
09
Canzone
per Silvia
10
Le
cinque anatre
11
L'avvelenata
Abbiamo
tardato a parlare di questo disco. Abbiamo colpevolmente tardato.
E allora recuperiamo il tempo perduto, spiegando subito che si
tratta di un bellissimo omaggio al maestrone di Pavana, fatto
con tutti i crismi da una della band più vitali ed efficaci
su piazza: i Luf. Facilitati dalla voce di Dario Canossi che in
alcuni momenti quasi si mimetizza in quella di Guccini, ma coronando
l'operazione con una revisione completa delle musiche e degli
arrangiamenti, fino ad arrivare al canto. Eppure, anche quando
sono stravolte, che a volte lo sono, le canzoni non sono danneggiate,
ma semmai riportate a nuova vita e splendore. Certo che si può
sempre dire che "Dio è morto" non ha nessun bisogno
di essere rifatta. E' perfetta così. Cristallizzata nella
versione di Augusto Daolio e dei Nomadi di quasi 50 anni fa (47
per la precisione). Tanto che anche i rifacimenti dello stesso
Guccini non hanno aggiunto niente. Ma provate ad ascoltarla.
"Dio è morto"
non è che uno degli undici capitoli in cui si dipana questa
"Guccineide", ma l'ho citato non a caso subito, perché
è forse la canzone che ha subito la trasformazione più
profonda e peraltro azzeccata. Se facciamo la tara delle parole,
potrebbe anche trattarsi di una canzone del tutto nuova. Il plagio
lo concedono solo con prove maggiori. La musica resta sospesa
e in sottofondo, dando la sensazione di una tensione crescente,
mentre Canossi salmodia il celebre testo, facendone una sorta
di preghiera laica, sommessa e intensa. Più che un urlo
di rivolta come era nella celebre versione del 1965. E se un gruppo
riesce a salvarsi l'anima rifacendo "Dio è
morto", uno dei classici immortali, per quale
motivo non dovrebbe passare a pieni voti l'intera operazione?
E infatti i Luf la passano. L'album è bello, vitale, carico
di affetto e di consonanza con l'autore. Ci aiuta a ricordare
tra l'altro che Guccini, ora scrittore, un tempo è stato
uno dei maggiori cantautori o cantastorie di sempre. Quando volava
alto nei cieli della beat generation, ma anche quando scendeva
più terra terra a raccontarci storie di vita quotidiane,
o città, o pensionati, o personaggi marginali. E sarebbe
veramente un peccato se queste epocali canzoni gucciniane venissero
stipate nelle ante sempre aperte dei dimenticatoi e non si sentisse
la necessità ogni tanto di tirare fuori il servizio bello,
dargli una spolverata, apparecchiare la tavola e delibare il sacro
nettare delle grandi canzoni. E' vero, abbiamo i capelli bianchi
come Guccini e quasi altrettanta epa e costituzione vinaiola,
siamo cresciuti con le sue canzoni ed il legame dell'affetto non
riuscirà a spezzarsi mai. Abbiamo anche poca idea di che
presa possano fare sulle nuove generazioni, sempre che ci siano
cose che facciano presa e non sia solo un ricordo di un'impresa,
ma spingendo al massimo il nostro orizzonte di obiettività
non possiamo non vedere la grandezza dietro questi testi, queste
canzoni, queste musiche riverniciate di nuovo dai possenti Luf. I Luf sono un gruppo folk rock e quindi, basta guardare
qua sotto, gli strumenti dominanti sono chitarre, fisarmoniche,
violini, fino alle cornamuse, al banjo e al contrabbasso ed è
con quelli che affrontano le canzoni di Guccini. Che a loro volta,
nella maggior parte dei casi, erano nate solo per chitarra. Il
delitto di lesa maestà non c'è mai. Ci sono alcune
perle che ora vado a elencare: "Bologna",
"Canzone per un'amica", "Vedi
cara", "Eskimo"
e, naturalmente "Dio è morto",
ma anche gli altri brani sono del tutto degni di essere apparecchiati
a tavola.
Vediamo brano per brano: "Bologna"
ne risulta rinvigorita, "Dio è morto"
addirittura riscritta, "Canzone per un'amica",
ispirata alla versione da concerto di Guccini ne guadagna un'aria
country che le si addice e che si addice anche al tema, che, ricordiamolo,
resta una vittoria della vita sulla morte.
Veniamo alle due note dolenti: "Auschwitz"
è sottoposta allo stesso trattamento di "Dio
è morto". Il principio, in assoluto
è giusto: due canzoni così celebri, due inni oramai
senza tempo, possono solo essere riscritte. Ma la tessitura di
"Dio è morto" è molto più robusta
di quella di "Auschwitz", vera canzone rivoluzionaria
per l'epoca in cui è stata scritta, minimalista e sussurrata.
Dario Canossi ed i Luf ci danno dentro di piglio buono: la voce
è presente al dramma di cui si narra e la musica cerca
di adeguarsi, ma il trattamento, eccessivamente ritmico, toglie
pathos alla situazione. Questo è il caso esatto in cui
la canzone che ascolto è molto piacevole, suonata da dio,
arrangiata con maestria e cantata come il dio dei trabattelli
propone, ma purtroppo il testo non aiuta. E stiamo parlando del
testo di "Auschwitz"! Insomma, con qualsiasi altro testo
avrebbe funzionato meglio.Ma per il dramma dei campi di sterminio
serviva altro. E sì che i Luf lo dovrebbero sapere perché
da anni fanno il viaggio sul treno della memoria. Insomma, se
"Dio è morto" è da nove nella versione
dei Luf, "Auschwitz" arriva al sette faticato.
Peggio, a mio modo di vedere, va a "Il vecchio
e il bambino" che viene stravolta nell'arrangiamento
e rispettata nel canto. Qui l'errore è concettuale. Guccini
ha scritto un testo che è Beckett, Philip K. Dick, Vonnegut,
Ray Bradbury. Se gli si abbina una mazurka campagnola (o è
un valzer, non so) cambia completamente il tono della storia.
Ne viene fuori un quadretto naif del nonno di campagna con il
nipotino. Non è la visione dell'umanità sulla soglia
del cataclisma atomico. Probabilmente questa è una canzone
che i Luf non avrebbero dovuto scegliere. Non è nelle loro
corde. Perché non metterci una "Canzone delle osteria
di fuori porta"? Sarebbe venuta una meraviglia! Possiamo
solo sperare in un secondo volume ...
Perché, e lo ripeto, con questi dischi bisogna essere molto
chiari, "I Luf cantano Guccini" è
un bellissimo album e il lavoro fatto da Canossi, Pontoriero e
soci deve essere coronato di una caterva di stellette e del voto
al prossimo Club Tenco (io dico che ci sarà) come miglior
album di interprete. "Vedi cara"
è un'altra delizia, distillata sulle note di un banjo danzerino
e di un violino di campagna. E' uno di quei casi in cui si aggiunge
all'originale. RItmo veloce, pause strumentali, un treno che passa
nelle libere praterie. Cantata da loro sfuma anche l'originaria
misoginia nascosta che Guccini istillava nel brano.
"Incontro" mi ha fatto un
effetto strano. Avevo già sentito più volte l'album
(diciamo un centinaio? Diciamolo), ma nel momento in cui ho trascritto
la scaletto mi sono detto: "Incontro? E da quando c'è
"Incontro" in questo album?" Ovviamente "Incontro"
c'è, ma la versione è così aderente a quella
di Guccini che non me n'ero accorto! Stessa voce, stessa atmosfera
di profonda malinconia. Una cover di classe e molto rispettosa
dell'autore. E' un gioiello, ma gioiello lo era già nella
versione originale. Che poi è identica a questa.Dovessi
dare un voto sarebbe 12 (su base 10) per la canzone, ma 8 per
la versione dei Luf. Perfetta, ma poco personale. Lo so, mi accorgo
che sembra che stia dicendo l'opposto di quanto detto per "Auschwitz"
e "Il vecchio e il bambino", ma è una questione
di sfumature. Ci siamo capiti? Altrimenti rispiego ...
"Eskimo" assume un tono più
scanzonato che però sta benissimo. E' un'altra delle canzoni
venute bene: Guccini al 100%, ma anche Luf a tempo pieno. Lo scheletro
è quello, ma il contorno è pieno di altri suoni
e suggestioni. Bella, con un riff strumentale indovinato e percussioni
ossessive ma centrate.
"Canzone per Silvia" ha lo
stesso limite di "Incontro", molto bella, ma molto simile
al modello iniziale. Tuttavia anche questa, come pure incontro,
figura tra i pezzi forti dell'album. "Le cinque
anatre" invece è una scelta strana.
Già è un pezzo fortemente minore e del Guccini tardivo.
Poi è uno dei pochi brani del vate di Pavana che non si
appoggi a un testo forte. Era nel prefinale di "Amerigo",
un album che in realtà avrebbe potuto uscire a 45 giri,
perché aveva solo due pezzi validi. Molto validi. "Amerigo"
ed "Eskimo". I Luf affrontano
"Le cinque anatre" di petto
(petto d'anatra?) e se la cavano anche bene, ma la canzone resta
esile, perché gracile fin dalla nascita.
Tutt'altro discorso per "L'avvelenata"
che chiude l'album, come se fosse un bis a fine concerto. E a
questo punto vale la pena di ricordare che l'intero album è
stato in realtà inciso dal vivo. "L'avvelenata"
per perfetta, anche se è un brano così legato a
Guccini che si fa fatica a pensarlo senza di lui. La versione
dei Luf però è proprio buona. Un bis dovuto, un
congedo col passo giusto e Canossi ci si mette d'impegno per non
fare rimpiangere il maestrone. Una versione delicata fino alla
metà e poi sempre più incalzante. Proprio quello
che ci vuole per arrivare a fine album e a rimetterlo dall'inizio.
Concludendo:
un prodotto di assoluto valore, un atto di coraggio, un omaggio
al nostro maestro e l'ennesima riprova che i Luf siano tra i gruppi
più interessanti su piazza. Non una delle loro scelte ci
ha lasciato con l'amaro in bocca. Tanto meno questo sentito omaggio
al vate dell'Osteria delle Dame. E' un disco radioso, felice,
che dà l'impressione che i Luf si siano divertiti a fare,
così come noi ci divertiamo ad ascoltarlo. Un disco che
in America sarebbe dovuto e qui da noi è un rarità.
Prendiamo questa rarità e teniamocela stretta. Poi facciamo
un salto ad ascoltare anche gli originali.