Testi
e musiche di Joaquin Sabina tranne: “Chiusura per fallimento”
e “Molto più di un buon motivo” (musica
di Alejo Stivel), “Una canzone per la Maddalena”
(musica di Pablo Milanés), “Come un mal di denti”
(testo di Subcomandante Marcos, Joaquin Sabina – musica
di Pancho Varona), “Millenovecentoquarantasette”
(testo di Joaquin Sabina, Antonio Oliver), “Giocare
per giocare” (musica di Joaquin Sabina, Ariel Rot),
“Insieme a te” (musica di Joaquin sabina, Pancho
Varona, Antonio Garcia de Diego), “Così giovani
e vecchi” (musica di Carlos Varela)
Tutti
i testi delle canzoni sono stati tradotti da Sergio Secondiano
Sacchi
Lu
Colombo
"Molto più che un buon motivo"
Up art record - 2011 Nei
migliori negozi di dischi
Tracklist
01
Chiusura per fallimento
02
Una canzone per la Maddalena
03
Le lune di miele
04
Come un mal di denti
05
Il chiosco di Giosuè
06
Millenovecentoquarantasette
07
Giocare per giocare
08
19 giorni e 600 notti
09
Insieme a te
10
Camera vuota
11
Cosi giovani e vecchi
12
Molto più che un buon motivo
In primo
luogo c’è il mondo poetico di Joaquin Sabina, cantautore
spagnolo celeberrimo sia in patria sia in Sudamerica, definito da
Lu "un esistenzialista, nonostante il suo successo commerciale,
di dimensioni trans nazionali". L’incontro tra Lu e l’universo
musicale di Sabina avvenne quasi per caso, galeotta fu la canzone
“19 giorni e 600 notti“ (“19 Días y 500
Noche”) che Lu presentò al Premio Tenco nel 2008. La
sua esibizione rapì letteralmente Giorgio Secondiano Sacchi
che decise di buttarsi anima e corpo, in veste di produttore artistico,
nel progetto di realizzare un disco che permettesse di colmare una
grande lacuna nel panorama musicale italiano, la generale e totale
ignoranza in merito all’esistenza di quello che è tuttora
considerato come il massimo esponente della canzone d’autore
spagnola.
Qui però,
sorge il primo problema, perché Joaquin Sabina è
autore molto difficile da tradurre, per quel suo carattere sanguigno,
il continuo ricorre aInsieme a te riferimenti culturali, l’uso
spesso celato di colte citazioni, insomma un lavoro certosino
da esperti, chi meglio di Sergio Secondiano Sacchi poteva allora
tentare un’impresa tanto ardua? E con così grande
successo, giacché Sergio ha raccontato che lo stesso Joaquin
Sabina ha poi telefonato per congratularsi sia per le interpretazioni
sia per le traduzioni, a maggior ragione se si pensa che lo stesso
Joaquin negli Anni Ottanta è stato traduttore di tanti
successi italiani. Un esempio per tutti, relativo alle difficoltà
tecniche incontrate in quest’opera di traduzione-ricostruzione,
è il brano “Millenovecentoquarantasette”, una
libera direi liberissima traduzione della canzone “De purisima
y oro”, che in origine racconta di Madrid alla fine della
guerra civile spagnola e, ovviamente, è piena zeppa di
riferimenti storici, culturali, geografici e sociali di quel periodo.
Come tradurre un qualcosa di così lontano da noi? Sergio
si è lasciato allora guidare dalla musica e ha così
genialmente pensato di trasporre tutto nella Napoli del nostro
dopoguerra, quasi nascesse dalle pagine di un qualche racconto
di Domenico Rea. Un vero gioiello, ascoltare per credere.
A rendere
però incredibilmente piacevole questo disco è soprattutto
lei, Lu Colombo che, ormai definitivamente abbandonato il mondo
della musica pop dance degli anni ’80 (suoi successi come
“Maracaibo”, “Dance all nite” e “Rimini
Ouagadougou”), dona la sua voce, così scura e intrigante
a questi gioielli, che sembrano abiti sartoriali cuciti su misura
per le sue corde vocali, lei si muove e si agita tra le note con
grande padronanza ma, soprattutto, riesce a trasmettere emozioni
calienti che, son sicuro, piacerebbero anche agli spagnoli.
Un plauso
meritano poi i musicisti scelti per questo progetto, tra i tanti
nomi ricordo quelli a me già noti come Ellade Bandini,
Fabrizio Consoli, Angapiemage Persico, Daniele Caldarini, Francesco
Gaffuri, Stefano Covri, ma sono stati tutti molto bravi a calarsi
nelle atmosfere a volte un po’ istrioniche di Sabina.
Infine, non
ultimi, ci sono ben altri dodici motivi per ascoltare, con intenso
piacere, questo tributo alla musica di Sabina, sono le dodici
tracce che costituiscono 53’ minuti di musica coinvolgente,
emozionante, a tratti folgorante, fatta di squarci di luce, di
pennellate di colore dalle tinte forti.
Il disco
si muove tra influenze ispaniche, messicane, sonorità mariachi,
insomma è tutto da gustare.
La scaletta si apre con “Chiusura per fallimento”,
una rumba veloce e ritmata che mette subito la voglia di alzarsi
e mettersi a danzare, vi sono accostate immagini della quotidianità,
con continui giochi di rime e assonanze, un meccanismo perfetto
utilizzato per raccontare la fine di un rapporto amoroso, eccone
un efficace passaggio “Questa macchia di sangue e rosso
lacca / che la solitudine ci lasciò / in un’anima
che torna sempre stracca / prigioniera di una giacca / che è
rinchiusa in un paltò”.
Un nostalgico
pianoforte ci introduce alla successiva “Una canzone per
la Maddalena”, dedicata con grandissimo tatto e delicatezza
a una prostituta. Commovente il suo riferimento continuo alle
famose pagine del vangelo “Chiedo solo che tu mi scriva
/ per sapere se è ancora viva / la vergine dei peccati
/ la sposa del fior della saliva / il sesso con amor degli sposati.
/ Con il suo grande cuore a cinque stelle / anche il figlio di
un Dio la vide e volle la sua pelle / e niente gli costò
la Maddalena”. Sublime melodia, enfatizzata dal violino
di Andrea Simeoli.
Sono invece
trombe e chitarre arpeggianti in stile mariachi, a condurci per
mano in “Le lune di miele”, brano apparentemente festoso
ma, invece, intimamente triste, quasi un’accorata preghiera
affinché ”Resti di moda il cuore che batte / Che
ci si abbronzi col sole di aprile / Che ogni notte sia la prima
notte / che ogni luna sia luna di miele”. Sentimenti e valori
ormai in via d’estinzione nel mondo d’oggi.
“Come
un mal di denti”, musicalmente più pop, nasce da
una lettera scritta dal Subcomandante Marcos a Joaquin, solo che
Sabina, grande poeta, è riuscito a trasformarla in versi
pieni di lirica tensione, giocando com’è nel suo
stile con le parole e l’accostamento d’immagini apparentemente
con alcun nesso fra loro, tipo “vieni a abitare l’angolo
degli occhi / semina briciole di pane caldo / sulle canizie di
un giovane spavaldo / dai voce al sordo e allo storpio ali / benedici
il nostro grano e i nostri frutti / come se noi fossimo complici
dei lutti / del nostro cuore … del nostro cuore …”.
Geniale quanto ispirato.
Bella, direi
divertita, “La locanda di Giosuè” ci mostra
il lato più giocoso, da simpatica canaglia, di Joaquin
Sabina che ci descrive con dovizia di particolari gli eccentrici
personaggi di una notte madrilena, ovvio quindi che la versione
italiana è ben lontana dall’essere traduzione letterale,
altrimenti riferimenti e circostanze tipicamente madrilene non
avrebbero avuto alcun significato per noi. Super lavoro per Sergio
Secondiano Sacchi.
Di “Millenovecentoquarantasette”
già ho detto quale sia stato il laborioso lavoro di riscrittura,
causa i tanti riferimenti storici, però ne è uscita
così una canzone ancor più densa di citazioni, pensate
che nel libretto ci sono due pagine di note esplicative in merito,
che lascio a chi legge il gusto di apprenderne la qualità.
“Giocare
per giocare”, s’intuisce dal titolo, è un tentativo
giocoso e un tantino bohémien di far canzone, anche se
non mancano accenni al sociale “Che i galeotti anche i più
tenaci / possan dormire tra lenzuola in seta / felice sia la bocca
che dà baci / e non chiede moneta / e non chiede moneta”
e i soliti giochi di parole “Ci mancano sciocchezze per
i seri / pensare adagio per andare in fretta / e far l’amore
accanto ai cimiteri / tradendo l’etichetta / tradendo l’etichetta”.
Un valzer godibile e leggiadro.
“19
giorni e 600 notti” è certamente il brano più
famoso di Sabina, forse quello che più di altri mostra
il suo spirito dissacrante, il tema è quello dell’approccio
amoroso con tanto di rifiuto “Cosi se ne andò / Si
levò senza / neanche lasciarmi / un saluto di mancia /
e dal taxi, / con eccessi un po’audaci / mi spedì
due baci, / uno per guancia”, cui segue un abisso di abisso
di 19 giorni e 600 notti per dimenticarla, poi una nuova occasione
“Non le chiedo perdono, / perché se mi perdonerà
/ è perché non le importa / è una donna con
la testa alta / con la lingua lunga / e la gonna assai corta”,
sembra tutto passato ma “E fini che io / per non assediarla
/ e ritornai / alla maledizione”. Grande pezzo, energico
e spumeggiante.
Occorre una
tregua, è giunto il momento di “Insieme a te”,
languido canto d’amore dettato dal pianoforte di Onofrio
Laviola scritto però da Sabina con il consueto gusto del
contraddire il comune sentire “E non voglio pomeriggi con
il tè / ciò che voglio cuore mio codardo / è
che tu muoia per me / e morire insieme a te se tu ti ammazzi /
e ammazzarmi insieme a te se poi tu muori / perché l’amore
quando non muore ammazza / ma l’amore che ammazza poi non
muore”.
L’amore
chiama amore e si giunge così a “Camera vuota”,
languido e triste canto dal sapore messicano, in cui il suo spirito
acido è ancor più schietto e crudo “Non sei
la mia colonna, non sono il tuo tappeto / detto a uomo da donna,
o meglio vis à vis / non è stato l’altare
il mio sogno segreto / perciò posso levare le mie tende
da qui”. E’ ancora amore, ma è ancora soprattutto
solitudine, l’amore quello vero resta un’utopia.
“E
sempre si barava con la vita e con gli amici / fingendoci felici,
dormendo qua e là, / e dici quel che pensi e non pensi
a ciò che dici / per raccattare baci che san di carità”
così Lu canta in “Cosi giovani e vecchi“, quasi
si trattasse di una continuazione di questo senso di sconforto
e di deriva esistenziale che pervade la poetica di Sabina. Essenziale
il contributo del violoncello di Martin Pratissoli.
Chiude il
disco “Molto più di un buon motivo” che, in
origine, era un unico brano con quello che apre il disco, continuando
così il gioco di accostare immagini del quotidiano vivere,
sfruttando con grande abilità parole e rime “Questa
lacrima di uomo delle nevi / questa orma della scarpa di Barbablù
/ queste vite eterne tanto brevi / sotto le gonne che sollevi
/ tra le Americhe e Corfù”. L’unicità
era tale che, nella versione spagnola, i ritornelli erano identici,
qui invece ne è offerta una variante e la differenza è
musicalmente sottolineata da una sognante chitarra elettrica suonata
da Alex Cambise. Affascinante infine il sospensivo finale con
organo e sega armonica.
Un disco
prezioso, che vede il definitivo affermarsi di Lu Colombo nell’ambito
della canzone d’autore, in questo disco è solo interprete
delle canzoni del grande cantautore spagnolo Joaquin Sabina (tradotte
da Sergio Secondiano Sacchi), ma il contributo offerto dalla sua
voce è fondamentale nel dare splendore e lucentezza a canzoni
dalle tinte forti, le stesse che caratterizzano i quadri di Lu
pittrice.
Questo disco
nasce dalla mente di una delle colonne portanti Premio Tenco e
considerarlo da Targa Tenco per la sezione interpreti di canzoni
non proprie, sembra quasi di incorrere nella scure del garante
per l’antitrust, ma io il rischio voglio accollarmelo lo
stesso, perché a mio modestissimo parere il disco di Lu
è davvero un gran disco.