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Le BiELLE RECENSIONI
Stefano Saletti e Piccola Banda Ikona: "Folkpolitik"
Libertà e democrazia dalle piazze del Mediterraneo
di Leon_Ravasi
Ascolti collegati

Stefano Saletti e
Piccola Banda Ikona
Stari Most

Stefano Saletti e Piccola Banda Ikona
Salea cu marea

Raffaello Simeoni
Controentu

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Le porte d'Oriente

Priviero e Gazich
Folkrock

Sparagna/De Gregori
Vola vola

Crediti:
Stefano Saletti (bouzouki, oud, guitar, backing vocals, piano, darbouka, riq, tar, bodhran, cajon, drum kit, programing, electronics); Barbara Eramo (voce); Ramya (voce): Gabriele Coen (clarinet, bass clarinet, sax, flute); Carlo Cossu (violino); Mario Rivera (basso acustico e bodhran); Leo Cesari (batteria). Con: Desidée Infascelli (accordion) e Rossella Zampiron (cello).

Ospiti: Ambrogio Sparagna (organetto in 3 e 11); Jamal Oussini (violin in 1, 8, 13); Hakeem Jaleela (vocals 5 e 13); Raffaello Simeoni (vocals in 11); Walid Hussein (darbouka in 1 e 9); Felice Severa (piano in 5).

Prodotto e arrangiato da Stefano Saletti.
Produttore esecutivo Erasmo Treglia e Pietro Carfi;
Registrato a Four Winds Studios (Roma).
Mixato da Bertrand Morane. Masterizzato da Fabrizio De Carolis, Reference Studio (Roma).
Immagine di copertina "20 years beforre ..." di Claudio Martinez
Foto di Michel Collet

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Ascolti: "Un blasfemo" con Simeoni e Sparagna

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Stefano Saletti e Piccola Banda Ikona
"Folkpolitik"

Finisterre / Feelmay- 2012
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e su iTunes

Tracklist

01 Piazza Tahrir
02

Hija mia mi querida

03 Procurade 'e moderare
04 L'estaca
05 Wein a Ramallah
06 Cantigas do maio
07 El ejercito de l'Ebro
08 Ninna nanna di la guerra
09 Edho Politechneion
10 La canson del desperà
11 Un blasfemo
12 Mia Thalassha Mikri
13 Democratia
Ci sono dischi che ti convincono dalla prima nota ed altri che hanno bisogno di più tempo per manifestarsi. Altri ancora che convincono da prima: dal titolo. O dalla copertina. "Folkpolitik" ha tutte queste qualità: un titolo intrigante, una bella copertina, una ditta di sicura affidabilità e convince dalla prima all'ultima nota. Convince perché, pur essendo un album di cover è anche un concept album. Il motivo lo spiega Stefano Saletti nelle note introduttive del libretto.

"Quando dalle piazze di Tunisi, del Cairo, di Damasco sono arrivate le immagini e i suoni della Primavera araba la mente è corsa agli anni '70, quando l'Europa venne attraversata da un vento di libertà che spazzò via i regimi autoritari di Spagna, Grecia e Portogallo. Quelle piazze sono le stesse: gli stessi volti, le speranze, i suoni, i canti. Ho cominciato allora in viaggio nella memoria per riscoprire le tante musiche che hanno raccontato le sofferenze e le passioni dei popoli mediterranei. Dalla cacciata degli ebrei sefarditi dalla Spagna alla diaspora Palestinese". Obiettivo completamente raggiunto.

Anche noi viaggiamo con Saletti e la sua (neanche tanto) Piccola Banda Ikona, in un viaggio che, oramai, si fa sempre più strutturato tra le due, le quattro, le molte sponde di questo mare interno su cui tutti ci affacciamo. E l'impeto, l'impatto delle voci libere ci colpisce, ci fa vibrare, ci fa consonare con i vari popoli accomunati dal canto. Le lingue diverse non allontanano, anzi quasi neanche le si sente. Bravi sono Saletti e i suoi nel creare un meraviglioso tappeto sonoro, dove le canzoni (greche o spagnole o italiane o arabe) convergono le una nelle altre, senza frizioni, un nome di quell'esperanto musicale che ormai si parla nel bacino del Mare Nostro.

Solo la iniziale "Piazza Tahrir" e la finale "Democratia" sono brani originali. Gli altri sono tutte canzoni tradizionali o di autori come Luis Llach, Rosa Balistrieri, Ivan della Mea, Fabrizio De André, che hanno scritto canti di libertà o che, come altri autori greci o portoghesi, hanno dovuto subire persecuzioni o arresti da parte del potere politico. È un canto di libertà che si prolunga attraverso la spina dorsale di 13 brani, come si diceva prima tutti da gustare, ma prima ancora da capire, meditare, riflettere e diffondere per non fare dimenticare quanto siano fragili le democrazie.




Il disco si apre e si chiude coi suoni di piazza Tahrir durante la primavera araba. Tanto per entrare subito in argomento. L'oud apre le danze, poi entrano le percussioni e infine la voce. La magia inizia ad infiltrarsi sotto pelle alla quarta nota e non ti lascia più per l'ora abbondante che dura l'intero album. Se volete potete sempre divertirvi a cambiare l'ordine di ascolto, ma un consiglio è di lasciarvi invece trascinare dalla magia del suono così come è stato concepito. Forma quasi una melodia unica, con poco stacco tra un brano e l'altro.

La Piccola Banda Ikona nelle sue composizioni originali canta in Sabir, l’antica lingua franca che marinai, pirati, pescatori, commercianti, armatori, parlavano nei porti del Mediterraneo: da Genova a Tangeri, da Salonicco a Istanbul, da Marsiglia ad Algeri, da Valencia a Palermo. Una sorta di esperanto marinaro, formatosi poco a poco con termini presi dallo spagnolo, dall’italiano, dal francese, dall’arabo.

Qui invece è uno slalom continuo tra le lingue, con la canzone per la cacciata degli ebrei sefarditi dalla Spagna ("Hija mia mi querida") che cede il posto al sardo di "Procurade 'e moderare". Sull'eco della rivoluzione francese, tra il 1794 e 1796 nasce questo brano diventato un vero inno del popolo sardo. Dice ai baroni, espressione di ogni potere, di moderare la loro prepotenza o il popolo si ribellerà. La pazienza del popolo, a volte, è di lunga gittata. Poi si passa al catalano di "L'estaca", celeberrimo brano di Luis Llach, diventata nel tempo uno dei simboli della resistenza al franchismo. La versione della Piccola Banda Ikona è morbida e di ferro allo stesso tempo, come tutto il disco che nasconde un'anima dura sotto le forme gentili della musica etnica.

Tra i tanti talenti della Banda, dalla maestria di Stefano Saletti e dal suo inesausto impegno di ricercatore e propositore, oltre che di compositore, alla voce di Barbara Eramo, spesso doppiata da Ramya, flessuosa e duttile, all'indubbia consapevolezza strumentale del resto della banda.

"Wein a Ramallah" però, cantata in palestinese, fa a meno della voce di Barbara Eramo per affidarsi all'ospite Hakeem Jaleela. Canto maestrale di un classico della diaspora palestinese. Passiamo in Portogallo con le "Cantigas de maio" di Josè "Zeca" Afonso, l'autore di "Grandola villa Morena", la canzone che diede il segnale di inizio alla "rivoluzione dei garofani" portoghese. Non c'è stato ancora un brano che ci abbia lasciato tranquilli sulla sedia, ma il meglio deve ancora venire.

"El ejercito del Ebro" è un classico della guerra di Spagna, conosciuto anche come "Aj Carmela" o "Viva la Quince Brigada". Non serve dire altro. Quando invece si tocca la commozione con mano è nel brano di Rosa Balistrieri (con Ganduscio e Otello Profazio a partire da un canto tradizionale): "Ninna nanna di la guerra". La musica rallenta fino a rarefarsi e il canto graffia la pelle, procurando gli unici brividi di questa giornata ancora afosa. "Ed alavò figliuzzu di Diu / ca tu nascisti e to’ patri murìu. / Murìu a la guerra ‘un ti potti vidìri / Suliddi semu suliddi a patiri". Soli, restiamo soli a patire. Mi alzo e applaudo. E per l'occorenza mi levo anche il cappello e spengo il sigaro (ideale).

Non eravamo ancora stati in Grecia e ci mancava in questa traversata del Mediterraneo. Ci arriviamo con "Edho Politechonion" di Mihalis Tsagarakis. Quando le truppe del regime greco il 17 novembre 1973 entrarono al Politecnico occupato di Atene fu una strage. Oltre 40 ragazzi vennero uccisi negli scontri. Il suonatore di lira e cantante cretese Mihalis Tsagarakis scrisse un brano che ricorda la violenza di quegli avvenimenti.

Poi arriviamo a un'altra grande sorpresa dell'album. Una delle canzoni più belle sentite quest'anno. "La cansun del desperà" di Ivan Della Mea in una versione che, immagino, pacifichi anche lo stesso Ivan. Abituato a chitarra e voce, urlata, sgraziata, stonata, affascinante, la canzone trova una nuova veste sontuosa nel trattamento di Saletti e soci con Barbara Eramo che se la cava benissimo anche con il milanese. Ci fosse ancora il premio per la canzone dell'anno ci penserei sinceramente.

Ma andiamo avanti di bene in meglio. Raffaello Simeoni alla voce e Ambrogio Sparagna all'organetto si aggiungono alla compagnia cantante e suonante per distillarci "Un blasfemo", uno dei brani più toccanti di "Non al denaro, non all'amore, né al cielo", uno di quelli che ha fatto dire alla Pivano che De André, in realtà, aveva migliorato le liriche di Edgar Lee Masters. La versione è lenta e sognante, ma le parole arrivano ancora più forti e decise.

Totale dolcezza nella successiva "Mia thalassa Mikri". Una dolce canzone d'amore. Ma nel 1967 in Grecia si veniva arrestati per le proprie convinzioni politiche. "Al potere dava fastidio anche chi sciveva cose dolcissime come questa", scrive Saletti nel libretto. Chiusura con un altro pezzo originale, "Democratia", che cita Saramago: "A democracia em que vivemos è uma democracia sequestrada, condicionada, amputada...". Un meraviglioso viaggio nei canti della libertà e della democrazia, un volo durato 13 brani. Alla fine applausi ancora più convinti. Abbiamo bisogno di dischi così.

Ultimo aggiornamento: 10-09-2012