Giulio Casale
Dalla parte del torto
Bollettino/novunque/Self - 2/2012 Nei negozi di dischi
e su PlayMe
Tracklist
Cd 1
01
La tua canzone
02
La mistificazione
03
Apritemi
04
Un'ossessione
05
Virus
06
Fine
07
Magic Shop
08
La merce
09
Personaggio
10
Senza direzione
11
La febbre
12
La tua canzone
"Che non esiston poteri buoni" lo cantava già nel secolo scorso mastro De André e nel 2000 Claudio Lolli sosteneva che, come ai tempi di Brecht, le ragioni migliori fossero relegate "dalla parte del torto". Deve pensarla così anche Giulio Casale, che ha sentito l'esigenza di scegliere quella frase per dare un titolo al suo disco, e che deve in qualche modo essere immune dalla patologia del potere. A sette anni di distanza da "In fondo al blu" arriva il nuovo lavoro discografico del poliedrico trevigiano (che nel frattempo non è rimasto con le mani in mano, ma ha trascorso un lungo periodo di intensa attività letteraria e teatrale, dalla ripresa dei "Polli di allevamento" di Gaber e Luporini, alla "Canzone di Nanda" dedicato a Fernanda Pivano, a "Formbidabili quegli anni", lo spettacolo sul 68 ispirato all'omonimo libro di Mario Capanna).
Il
"Dalla parte del torto" di Giulio Casale è sostanzialmente la summa di sette anni di teatro-canzone ed è un ritorno al rock. Non proprio quello duro e lirico delle sue origini (è stato l'anima e il frontman degli Estra, la voce dei ragazzi del NordEst negli ani 90) dove le chitarre colpivano per colpire, ma una forma più raffinata e nuova, e non per nulla si è affidato a Giovanni Ferrario) dove le stesse chitarre creano una tensione profonda su cui si appoggiano i testi, a tratti sembrano mettersi di traverso rispetto al brano, mentre in effetti ne sottolineano l'andamento classico: di strofa, ponte, fino all'esplosione del ritornello. Nei testi - degni della meglio letteratura - convivono politica e denuncia, anima e disagio. Le "buone letture" emergono, come emerge la filosofia, ma mai con spocchia. La lezione di Gaber si sente, e si sente anche quella di De Andrè. E a ogni ascolto emerge una nuova sfumatura, una nuova accusa.
E fa bene sentire che Casale ha metabolizzato le lezioni e e torna a parlare con la sua voce dolce-amara denunciando tutto quello che di brutto gli gira intorno. Si coglie benissimo la sua urgenza di comunicare. Si capisce che dello star system non gli importa un tubo, men che meno di cavalcarlo a suo favore.
Quello che gli importa è di dire come stanno le cose, di seguire un percorso. Perché se è vero che il lavoro non segue esattamente i canoni di un concept album, è altrettanto vero che le canzoni non sono messe lì a casaccio, ma c'è un filo logico che lega il tutto e che, dopo l'inferno, nella seconda parte del disco, soprattutto nella splendida tripletta "Personaggio comune", "Senza direzione" e "La febbre", emergono delle figure e delle storie che rappresentano dei semi di rinascita.
Nel disco c'è anche una cover molto particolare, "Magic Shop", un Battiato d'annata (tratto da L'era del cinghiale bianco del 1978 e contemporaneo a Polli d'allevamento di cui proprio Battiato curò gli arrangiamenti) che parla proprio di quel "Dio Mercato" salito al celeste trono della cosiddetta civiltà occidentale.
In conclusione, Casale è bravo, sa scrivere belle storie e belle canzoni con cui raccontarle.
Ma questo già lo sapevamo. Vivamente consigliato.