Vinicio
Capossela : "Rebetiko Gymnastas" Genio al
lavoro con la mano sinistra di
Giorgio Maimone
Ascolti
collegati
Vinicio Capossela
Ovunque proteggi
Vinicio Capossela
Marinai profeti e balene
Vinicio Capossela
Da solo
Vinicio Capossela
Nel niente sotto il sole
Vinicio Capossela
Canzoni a manovella
Banda Ionica
Matri mia
Crediti:
Vinicio Capossela, voce, chitarre e pianoforte - Alessandro
Stefana, chitarre, steel guitar e bouzouki - Glauco Zuppiroli,
contrabbasso –Vincenzo Vasi, theremin, campionatore
e voce - Manolis Pappos, bouzouki - Ntinos Chatziiordanou,
accordeòn - Vassilis Massalas, baglamas e Dimitrios
Emmanouil, batteria e percussioni.
Partecipazione speciale della cantante Kaiti Ntali, di Mauro
Pagani, Marc Ribot e Ricardo Pereira
Il disegno di copertina è stato realizzato da David
Prudhomme
Registrato neglistudi Sierra in Atene su nastro analogico
Dopo il mare viene il porto. I porti sono per le musiche quello
che e' il polline per i fiori. Queste sono musiche di porto
che praticano esercizi, indiscipline individuali. Cavalli
che provano a essere giraffe. Sono suonate in greco, per debito
nei confronti della Grecia, che ha donato al mondo oltre alla
civiltà anche una delle più straordinarie musiche
urbane del mondo: il rebetiko. Sono pezzi che nell'anno dell'olimpiade
servono per fare esercizio di ribellione e di identità,
per tenere in esercizio il mangas che e' in noi. Per ricordarci
che siamo originali: che abbiamo un origine. Che siamo uomini,
non solo consumatori e non abbiamo paura di consumare la vita.
Questi sono esercizi allo scoperto, dove si viene a scoperto
della vita. (Vinicio Capossela. Giugno 2012)
Vinicio
Capossela
"Rebetiko Gymnastas" La Cupa/Warner - 2012 Nei negozi di dischi
Tracklist
01
Abbandonato
02
Rebetiko
03
Gimnastika
04
Misilrou
05
Contrada
Chiavicone
06
Con
una rosa
07
Non
è l'amore che va via
08
Contratto
per Karelias
09
Signora
luna
10
Morna
11
Cancion
de las simplas cosas
12
Scivola
vai via
13
Ghost
track: "Come prima"
Tutto
ma Capossela no. Quest’anno almeno no. Perché “Rebetiko
Gymnastas” non è l’ultimo disco di Capossela.
E’ un dischetto, modesto, che ha qualche anno (parecchi, almeno
tre o quattro) che lui ha voluto fare e che si è acconciato
a promuovere in questa stagione, ma non contiene niente di speciale.
Non ci sono quelle scintille, quei guizzi, quei voli che rendono
i lavori di Capossela, anche quelli riusciti meno come “Marinai,
profeti e balene”, come delle opere di genio assoluto, un
genio al lavoro, in grado di distillare scintille di bellezza assoluta.
Opera monumentale quella di “Marinai”, disco doppio
e dal grande spessore contenutistico, dei testi e dell’impegno,
opera secondaria e leggerina la “Gymnastas” di Capossela,
come forse si può evincere anche dal disegno di copertina,
simpatico e irridente.
Cosa ha fatto il Vinicio? Ha preso un pugno di sue vecchie canzoni
e le ha declinate in salsa greca. Poi ci ha aggiunto qualche pezzo
di rebetiko tradizionale e ha condito il tutto con qualcosina fatta
per l’occasione. Ne era venuto fuori questo dischetto, inizialmente
destinato al solo mercato greco, che è carino, si ascolta
anche con moderato piacere, ma che quando finisce non lascia un
graffio, un solco, un’ispirazione, un’emozione. Niente.
Nero krio. Acqua fresca per restare al greco.
E allora la domanda è: se Capossela non fosse diventato per
la morente industria del disco una “gioiosa macchina da guerra”
(copyright Achille Occhetto) gli avrebbero mai fatto fare questo
album? Non affaticatevi a rispondere. Lo faccio io per voi: no.
“Rebetiko Gymnastas” rientra tutto nell’operazione
commerciale che prevede che un prodotto valico (il geniale Capossela)
non possa stare troppo tempo fermo. E allora ecco un nuovo disco
(nuovo?) e una tournee apposita per promuoverlo. Che se poi non
ne resterà più niente, pazienza,
Vinicio è genio prolifico e perfettamente in grado di fare
dimenticare eventuali passi falsi. Passo falso? Che poi in realtà
“Rebetiko Gymnastas” non è un vero passo falso.
Dovessi dire che è brutto direi il falso. E’ un disco
inutile, di quelli che oggi lo metti su e domani, anzi oggi pomeriggio
lo hai già del tutto dimenticato.
Avete presente il mito “Now” di Fossati? “Not
one word”, il suo disco muto alla Keith Jarrett? Troppe parole
spese per commentarlo alla sua uscita e poi il perenne oblio. Forse
gli artisti, i grandi artisti, hanno diritto di fare quello che
più gli aggrada della loro musica e prendersi anche delle
gaudiose vacanze. Van Morrison non ha forse fatto un (brutto) disco
di Skiffle, tanto per farci sapere che lui allora c’è’era
ed ascoltava quella musica?
E Bob Dylan? Uh, qui la lista sarebbe lunga, ma limitiamoci a ricordare
“Self portrait”, in cui il massimo dei cantautori allora
esistenti si divertiva a fare solo il cantante con esisti men che
modesti! Almeno Guccini quando è uscito dal seminato ha fatto
“Opera buffa” che, è vero, resta un capitolo
a parte nella sua discografia, ma che comunque, per quanto diseguale,
è chiazzato di genialità. Molto meno convincente lo
stesso Guccini quando mette invece “I fichi”; un pezzo
di cabaret mediocre, a chiudere un disco serio come “D’amore,
di morte e di altre sciocchezze” solo per fare metraggio.
Insomma Capossela ha tutto il diritto del mondo di fare il suo “Rebetiko”,
ma che non me lo si venga a spacciare come “il grande lavoro
nuovo dell’autore di Contrada Chiavicone”. Nell’ordine
Vinicio propone una traduzione di Atahualpa Yupanqui, un brano greco,
un brano di Visotzky, un tradizionale greco, quattro brani rifatti
da “Canzoni a manovella”, “Contrada
Chiavicone” dal “Ballo di San Vito”
e “Non è l’amore che va via”
da “Camera a sud”, una traduzione del
Mercedes Sosa, “Scivola vai via”
da “All’una e trentacinque circa”
e la cover di “Come prima”
di Tony Dallara, tutto fatto a tempo di Rebetiko, che, lo sanno
tutti ormai, questo è il solo vantaggio, è la musica
tradizionale greca.
L’effetto è di appiattimento totale: i brani transitano
l’uno nell’altro senza soluzione di continuità,
senza stacchi, senza destare interesse. Brutto allora? No, brutto
no. Non riesco proprio a dirlo. Inutile questo sì. Abbondantemente
inutile. Che può piacere solo agli zelanti leccaculo della
critica o agli stipendiati della Warner.