Crediti:
Joe Barbieri: voce, chitarre classiche
Sergio Di Natale: batteria
Giacomo Pedicini: contrabbasso
Antonio Fresa: pianoforte, rhodes, hammond, scrittura e direzione
orchestra (9)
Stefano Jorio: violoncello
Oscar Montalbano: chitarra manouche
Gianni Iorio: bandoneon
Pasquale Bardari: vibrafono
Tony Canto: chitarre elettriche
Emidio Ausielo: percussioni
Luigi Scialdone: basso acustico (1)
Stefano Bollani: pianoforte (4)
Jorge Drexler: voce (8)
Gianmaria Testa: voce (7)
Fabrizio Bosso: tromba (6, 9)
Orchestra d’archi: (9)
composta da:
Armand Priftuli: primo violino
Piero Calzolari, Pasquale Murrino, Salvo Lombardo, Gianluca
Falasca, Antonio Intartaglia, Domenico Mancini, Simona Cappabianca:
violini
Giuseppe Navelli, Pietro Lo Popolo, Nicola Russo: viole
Mauro Fagiani, Vladimir Kocaqi: violoncelli
Testi e musiche di Giuseppe Barbieri
Arrangiamenti di Joe Barbieri e Antonio Fresa
Registrato al Mad Recording Studio (Napoli) da Antonio Fresa,
assistente di studio Andrea “Jean-Michel” Cutillo
Voci registrate da Luigi Scialdone, assistito da Andrea “Jean-
Michel” Cutillo
Orchestra registrata da massimo Aluzzi allo studio Splash
(Napoli), assistente di studio Federico Federici
Jorge Drexler è stato registrato da Carles “Campi”
Campon all’Estudio de Jorge (Madrid)
Tony Canto ha registrato nel suo studio di registrazione a
Messina
Missato da Enzo Foniciello al Mad Recording Studio (Napoli)
Mastering di Rosario Castagnola all’RC Studio (Napoli)
Confidente artistico dei malanimi e dei giorni dritti Antonio
Meola
Due piedi ben radicati in terra, con un paio d’ali per
fronde Fabio Barbieri
Joe
Barbieri
Respiro Microcosmo Dischi - 2012 Sulle piattaforme digitali
e nei migliori negozi di dischi
Tracklist
01
Zenzero e cannella
02
Scusami
03
Diamoci del tu
04
Un regno da disfare
05
Sostanza
e forma
06
‘E
vase annure
07
Le milonghe del sabato
08
Diario di una caduta
09
Étape par étape par étape
10
Come una casa
11
Il balconcino del quinto piano
“a
Maria Irene, un sempre in un attimo”.
In questa brevissima quanto intensa dedica, mi sembra di
poter cogliere l’essenza di “Respiro”
il nuovo album di Joe Barbieri, caratterizzato
da una poetica che parte dalle piccole cose, da gesti quotidiani,
persino involontari e naturali, non governabili, come il respiro,
per andare poi a cogliere temi universali, esistenziali.
“un sempre in
un attimo” è però anche un verso del ritornello
diZenzero e cannella, la prima traccia
di questa nuova fatica discografica di Joe, che esce a tre anni
di distanza dal suo fortunatissimo “Maison Maravilha”
ed è una dolce o forse speziata canzone d’amore “acini
di pepe come grani di un rosario senza spine / paprika che asciughi
le promesse di una vita senza fine / poi vaniglia per i tuoi perché?
E chiodi di garofano per me / per fermare al muro questa foto
strampalata di noi due”, c’è tutto il
desiderio di fermare un’istantanea, di rendere eterno un
magico momento.
Quale donna non vorrebbe
sentirsi dedicare versi come questi.
“Finché
una persona parla, non può respirare.
Perciò sacrifica il respiro alla parola. Inoltre,
finché una persona respira, non può parlare.
Perciò sacrifica la parola al respiro.”
(Kaushitaki Upanishad)
Questi invece sono
i versi tratti dal testo sacro induista e riportati in contro
copertina, una riflessione che sembra lontanissima dalla frenesia
del nostro quotidiano vivere, in cui non abbiamo più tempo
per nulla e non sappiamo più ascoltare le parole degli
altri, figuriamoci se possiamo quindi soffermarci ad ascoltare
il nostro respiro. Sembrano parole necessarie, taumaturgiche,
uscite da chissà quale antico mondo scomparso e questa
è anche la piacevolissima impressione che si riceve dall’ascolto
di Scusami, un titolo che è già
un’espressione desueta. È la canzone di un sofferto
addio, meravigliosa, con quel suo lento svilupparsi di magici
liriche “serbo in bocca questa eco profonda di te che
mi parli / ed inventi paziente e radiosa storie per me / ad un
filo io immolavo il respiro e lo consegnavo a te / che non sei
mai andata via da me”. Morbide percussioni, suadenti
archi. Sublime!
Diamoci del tu sembra ancora appartenere a quel
mondo che non c’è più, quando un approccio
partiva dando del lei alla desiderata figura femminile “diamoci
del tu, forse suonerà / un ardire eccentrico un po’
anticonformista e forse non le piacerà / ma diamoci del
tu se lo crederà / bando al perbenismo, alle formalità
di rito care a questa società “. Magnifico il
vibrafono di Pasquale Bardari, che apre il brano
al passo di fox e nello stesso tempo porta in mente quel mito
di Lionel Hampton, i versi sono curatissimi come
sempre, da sottolineare poi la presenza della chitarra manouche
di Oscar Montalbano.
Note tristi suonate
dal pianoforte magico di Stefano Bollani, aprono
Un regno da disfare, poi arrivano i
primi sofferti versi quasi trattenuti dalla voce di Joe “bevo
dal lato del bicchiere in cui hai bevuto tu / l’istante
prima di essertene andata via / così mi illudo di poterti
trattenere / e sulle mie labbra tu possa ancora abitare”,
il dolore dell’addio sembra quasi rimbombare nel silenzio
“sgrana il mattino per un uomo che muore / e ti sento ancora
parlare / di un conto del mercato / di un libro da cambiare”.
L’ingresso successivo degli archi compie il miracolo e ingigantisce
questo spasimo all’infinito “e batte forte il
sapore di un pegno che hai scordato / di un regno da disfare”.
Ai vertici.
Lieve e ariosa, Sostanza
e forma porta una ventata di ritmo sudamericano,
una sferzata d’aria pura “e mentre l’aria
mi mortifica ogni passo / disimparo com’è mettere
radici / e mentre ascolto ogni cosa che mi dici / io mi accorgo
solo adesso che mi piaci”, confermando ancora una volta
la fine scrittura di Joe.
Un vero gioiello è
la successiva ’E vase annure,
canzone scritta da Joe in napoletano, che a ritmo di bossanova
canta ancora dell’amore o meglio del desiderio di amore,
quello vero “vide ca so’ sti lacreme a fà
‘a spia, / a me veni a cuntà ca me vuò bbene
/ si pure nun m’o ddice tu m’appartiene / scetame
e viene a di che “si”? / vide ca so’ ‘sti
lacreme a fa ‘a spia pe me”. Fabrizio
Bosso con la sua tromba pone il suggello, è il
caso di dirlo, su quest’altro splendido brano, dove si può
dire che Napoli incontri Rio de Janeiro.
Una voce scura e calda,
quasi agli antipodi di quella di Joe, apre Le milonghe
del sabato. È quella di Gianmaria
Testa, che duetta con Joe nella deliziosa fotografia
di un “triste” sabato sera che si srotola tra tanghi
e milonghe e ci racconta di un uomo, un ballerino, che ha fatto
del palchetto il proprio terreno di conquista, ma che viene gettato
nello sconforto da un rifiuto “cosa mi piglia, cosa
mi stanca, / che cosa mi manca ai tuoi occhi blasé / serri
le ciglia di questa distanza / e affondi grammatica il migliore
traspié”. Ed è la solitudine a far capolino
nel triste finale “cigola questa mia pena ridicola /
puntata a un petto che palpita e / che tregua non mi dà”.
Raffinatezza e ricercatezza che vanno a braccetto.
Quasi sussurrata, srotolata piano, nota dopo nota, come un pregiato
tappeto di note, Diario di una caduta
è una splendida riflessione, piena di saudade,
sull’amarezza su quel peso che come un sasso grava sul quotidiano
vivere “vedi come continua la giostra di sempre / ma
io non sono capace di scendere qui / e continuo a dire che non
esiste quel sasso grande che mi sfinisce”. A duettare
qui con Joe e l’urugiaiano Jorge Drexler.
Swing e francese, un
ritornello facilissimo, Étape par étape
par étape sembra quasi il pretesto per confezionare
un brano da fischiettare anche sotto la doccia, o forse per far
divertire ancora una volta quel mito della tromba che risponde
al nome di Fabrizio Bosso. Questo brano sta in “Respiro”,
come Balancer in “C.Q.F.P.”
di Giorgio Conte. Insomma Joe e Giorgio sembrano
due inguaribili amanti del fine divertissement francese.
In Come
una casa, un lentissimo e suadente bolero, è
ancora il rapporto di coppia al centro del bersaglio, un rapporto
in cui il presente sembra già presagire ciò che
accadrà, quell’inevitabile distacco “legami
a un dito il ricordo di te / e fai di me ogni cosa che vuoi /
piegami a un rito di vertigine / che possa restituirmi te”.
Come una ferita aperta, che neppure la dolcezza degli archi riesce
a mitigare.
Chiude il disco un
valzer dolcissimo dalla trama lieve e sottile fin dal titolo.
Il balconcino del quinto piano sembra
quasi essere il naturale evolversi della situazione supposta nel
brano precedente, giacché si chiude con questi bei versi
“questa sera non penso a te, a dove sei svanita / dal
balconcino del quinto piano / lascio le stelle di stucco / tace
il quartiere e si placa il crudele / mio patir”. Una
ferita del cuore ormai cicatrizzata, dentro una notte metropolitana.
Pura magia.
“Respiro”
è un disco dalle tinte pastello, bellissime le illustrazioni
curate da Catell Ronca, in cui Joe Barbieri ci
racconta l’amore, ma soprattutto le pene legate all’amore,
con la consueta sensibilità poetica. Il suo canto non è
mai imposizione bensì un porgere garbato, quasi sussurrato
all’orecchio, è l’ascoltatore che deve abbandonare
il quotidiano trafelato correre, per lasciarsi coinvolgere in
queste confidenze. Se però questo climax è raggiunto,
allora sarà amore e amore per sempre.