Paolo
Andreoni: "Un nome che sia vento" Solchi che
solcano, tracce che lasciano tracce di
Leon Ravasi
Ascolti
collegati
Paolo
Andreoni
La caduta delle città del nord
Ettore Giuradei
La repubblica del sole
Filippo Andreani
Scritti con Pablo
Davide Tosches
Dove l'erba è alta
Fabrizio Frabetti
Uh!
Dente
Iotradinoi
Crediti:
Paolo Andreoni: Voce e chitarra
Ospiti: Davide Tiddu Cornoli (Batteria);
Roberto "Bob" Ambrosioni (tastiere); Mauro "Magico"
Mazzola (chitarre)
Testi
e musiche: Paolo Andreoni
Arrangiamenti e divagazioni: Paolo Andreoni e Davide Terrile
Produzione artistica: Paolo Andreoni e Davide Terrile
Produzione esecutiva: Carlo Malatesta
Registrato e mixato tra giugno e agosto 2011 presso Studio
Produzioni Musicali Milano da Davide Terrile
Masterizzato tra giugno e settembre 2011 presso La maestà
stdio da Giovanni Versari
Paolo
Andreoni
"Un nome che sia vento" New Model Label/Pmm/ControRecords - 2011 Su iTunes
Tracklist
01
La
rèbellion
02
Amore,
amore, amore
03
Dal
carcere
04
Dimentica
05
A
night at Holiday Inn
06
L'ultima
parola
07
Un
nome che sia vento
08
Il
ragazzo e la città
09
Sol
maior para comandante
10
Il
concerto
11
Opera
du Sahel
Paolo
Andreoni ha fatto un disco rock. Che non è solo un modo di
dire. Vuol dire che ha dell’anima, un ritmo, delle asperità
che si sciolgono in dolcezze. Dei rauchi gorgheggi che si tramutano
in falsetto. E’ tutto un album che gioca sul doppio pedale.
Da un lato è un lavoro di cantautorato italiano. Dall’altro
ha dentro spezie, profumi e orizzonti che sono più ampi.
Che prendono lo spunto dall’Africa e arrivano all’America.
In mezzo ci siamo noi. E c’è la lezione grande di Fabrizio
De André. A cui Paolo si richiama anche nel titolo dell’album:
"Un nome che sia vento" per un album che sa davvero di
vento.
Che dire? Non è il “solito”
album. Ci sono idee dentro con cui Ligabue, tanto per fare un
nome a caso, potrebbe farne dieci di album. Ci sono variazioni
di atmosfere continue: dalla strumentale “La
rebellion” con cui si apre, al rock teso di
“Amore, amore, amore” al
lento “Dimentica” e allo
strambo “Dal carcere” che
sembra in tutto e per tutto un brano di Ettore Giuradei. Ecco,
tra Andreoni e Giuradei si potrebbero tracciare più di
una similitudine, salvo che Giuradei poi si arrampica sul ramo
a lui congeniale dell’estraneità e Paolo invece è
più concreto.
Sono comunque
canzoni di terra e di vento, che ti prendono a sorpresa e che
un po’ ti lavorano di dentro, anche nella tua distrazione.
Poi passa il tempo e ti accorgi che i solchi hanno solcato anche
te. Le tracce hanno lasciato tracce e impronte sulla pelle, pronte
a lasciare a loro volta impronte per contatto. La confezione è
molto scarna e non contiene (ahinoi) i testi, che sarebbero invece
essenziali per la piena comprensione del lavoro. Un disco che
parla di libertà e di solitudine, dove la solitudine non
è quella della cameretta del poeta, ma piuttosto gli spazi
aperti. Il deserto come realtà fisica, geografica e parimenti
metaforica: il deserto urbano, il deserto dei nostri cuori. E'
senz'altro un album molto intimo, che scava in profondità.
E, anche nel deserto, scavano a fondo, si trova l'acqua. E si
possono irrigare i sogni.
Sono scarne le canzoni di Paolo e scorticano un po' la pelle.
Pochi, pochissimi strumenti, quando non la sola chitarra e poi
un vento che soffia forte in tutti i brani. E' un'esperienza di
immersione che bisogna fare belli convinti per andare fino in
fondo, perché il pregio e il limite principale di questi
brani e di questi album è proprio nella loro difficoltà.
Non sono filoni, né piacioni, non cercano scorciatoie,
ma semmai allungatoie. Ti prendono quando ti conquistano e ti
conquistano quando cadono i bastioni delle grandi città
del Nord.
Bisogna avere il tempo per ascoltarle, per perdersi nelle code
strumentali, per lasciare che le lunghe pause compiano i propri
percorsi. Sì, la canzone più fascinosa può
essere proprio la title track, "Un nome che sia
vento", così deandreiana anche nel titolo
e posta giustamente a centro album, ma è un album che va
degustato intero, anche quando le chitarre diventano elettriche
come in "Il ragazzo e la città".
"Ero appena nato e ho capito / che un giorno mi avrebbero
addestrato / all'obbedienza di chi dorme / e in sogno la realtà
/ mi apparve come un'ombra che fatica. / Stretto al mio segreto
/ come sta l'argilla al tornio, / voltandomi a cercare i miei
ricordi o il mio ritorno / vedevo la città ballare e uscir
di senno tra le grida / e poi quella città immobile ristagna
senza vita. E non mi avrete mai / ho abbandonato il campo agli
avvoltoi / non mi avrete mai. / Oggi mi hai chiamato al tuo segreto
e sono pronto / accendimi d'amore e dammi un nome che sia vento
/ un corpo senza età / negli occhi verità e mani
grandi e forza nelle dita / perdona la mia età / concedi
alla mia età la meta che nessuna mano ha dita / E
non mi avrete mai / ho abbandonato il campo agli avvoltoi / non
mi avrete mai".
E' il testo denso di "Un nome che sia vento". Seguono
e chiudono 1'45" di sola musica. Inquietante, avvolgente,
fascinosa, diversa.
"E finirà / vedrai che anche il concerto finirà
/ e tu potrai cantare la pazzia / è solo un altra forma
di allergia / al vivere sociale. / Se ne andrà / vedrai
che questo inverno se ne andrà / e tu potrai ballare l'allegria
/ è come un esplosione di anarchia / nel seggio elettorale.
/ E tu puoi ridere perché / nel gioco che confonde i tuoi
pensieri / è così facile capire / che la vita è
un labirinto / senza un ordine / per te. E chi lo sa / se un uomo
che si perde alla sua età / può ancora ritornare
o andare via. / Questione di coraggio e fantasia / sapersi reinventare
/ E tu / non chiederti se c'è / qualcuno che riempie i
suoi silenzi / con le lacrime / un uomo che ritorni sui suoi passi
e sappia scegliere /con te. / Ahi ahi ahi ahi. / E tu / non credere
che c'è / un luogo che nel buio e nel silenzio / farà
perdere il bene che / rischiara la mia voce / ed è invisibile
/ ma c'è. Ahi ahi ahi ahi". Ecco il testo de
"Il concerto", un'altro dei brani più
interessanti e più delicati del disco, uno di quelli da
segnarsi sul cuore.
A volte, è noto, non importa neanche esattamente cosa si
dica, ma come lo si dice. E Andreoni ha quel magnetismo che fa
sì che gli si fa credito. Si resta ad ascoltarlo e si pensa:
"bello questo!". Poi magari non lo hai capito, ma ti
ha convinto, perché il tono delle sua voce è decisamente
ipnotico (e in questo ricorda in parte Davide Tosches, un'altro
dei più interessanti prodotti di questi ultimi anni. Mentre
per altri aspetti, l'indolenza nella voce e il minimalismo, il
nome che può tornare in mente è quello di Dente).
Sono canzoni corte, ma dilatate. Con un ottimo suono acustico
che ti penetra nel profondo e che va a incidersi nella tua memoria,
proprio come la puntina incideva i graffi del vinile. Una delizia
è "Sol maior para comandante"
che sono 2'27" di sola musica per chitarra, ma così
limpida da lasciarti un senso di fresco, dopo l'ascolto come dopo
una doccia.
Uno strumentale torna a fine album (ed è il quarto, perché
anche "A night at Holiday Inn"
è senza parole): "Opera du Sahel",
ancora riporta il vento e ancora richiama questo chitarrismo,
che Andreoni definisce di stampo africano. Quando una chitarra
incontra una kora e ne resta affascinata. Fa niente che a me ricordi
anche John Fahey. I confini della musica sono molto più
labili di quelli geografici.
Vale la pena di ricordare poi che sul sito di Paolo (www.paoloandreoni.it)
è disponibile in download il primo album, "La
caduta delle città del nord", di cui dicevamo
qualche anno fa, inserendolo tra i nostri imperdibili: "E'
un divertimento intelligente e non immediato. Come quel sottile
piacere che ti dà venire a poco a poco a capo di un rebus
o di uno schema di parole crociate del Bartezzaghi. Disco a tema?
Disco a chiave? Incroci obbligati? No, ogni canzone è lineare.
Niente esoterismi, niente salti mortali. Tutto molto naturale.
E nella naturalezza rifulge la bellezza del disco, che sa di album,
di lavoro coerente e continuo, di passione musicale e della capacità
di sorridere quando serve. Cos'altro ci vuole per farsi piacere
un disco?".
Allora, uno lo potete scaricare gratis e l'altro a pagamento.
Due bellissimi album al prezzo di uno solo. E cosa ci vuole per
incoraggiarvi di più? Anche "Un nome che sia vento"
finisce di sicuro tra i nostri imperdibili. Ci abbiamo messo tanto
a parlarne, ma in tutti questi mesi non ha mai smesso di accompagnarci.
Bisogna fare largo alla buona musica. E qui ce n'é di riporto.