Lecito chiedersi di chi siano tutti questi megayacht
che ostentano bandiera di Georgetown?
Come ai vecchi tempi. Due corsi latitanti arrestati
nei dintorni di Parigi. Avevano rapinato un furgone
blindato vicino a Nizza. Per un milione e mezzo di euro
"Post tenebras lux". Film
messicano in concorso. Immagini suggestive e magnifico
inizio. Macchina da presa ad altezza bimbo segue una
piccina che si perde in una campagna minacciosa, guardando
cavalli, cani pastore, mucche. A poco a poco il buio
l'avvolge. L'inquietudine ti perseguita per tutto il
film. Storia confusa e irrisolta. Presuntosa (il senso
finale è: la forza oscura della campagna dove
si rifugia chi scappa dalla città). Ancora una
volta la visionarietà si intreccia con un indubbio
manierismo, ma lo stupendo gusto per l'immagine sovrasta
la storia. Dove sono finiti gli sceneggiatori? Alla
proiezione stampa fischiato. Più di quanto meritasse.
Una battuta da "Killing them softly":"Quella
deve avere cocci di vetro, fra le cosce".
Devo prenderlo come un segno positivo? Invece del solito
afrore che sprigiona il cinefilo che passa troppe ore
al chiuso il distinto signore seduto vicino a me, in
camicia bianca jeans e giacca blu è fresco di
doccia e profumato. Deve essere uno fuori dal giro.
A ristabilire l'equilibrio quello alla mia destra. Un
tedesco in camicia fiorata. Lui la doccia non la fa
da almeno cinque giorni.
In sala in attesa di "The paperboy".
Con Nicole Kidman. Fuori brilla il sole dell'estate.
I
film che voglio vedere a un Festival: Carax
Quali
film ho voglia di vedere a un festival? I blockbuster
da arena estiva che peraltro mi divertono? I film di
qualità da circuito d'essai? Quelli dei grandi
autori accademici? Anche questi, perché sono
comunque una fotografia della produzione mondiale (e
uno specchio del mondo, perché questo è
il cinema). Però, in fondo, per quei film non
sarebbero neppure necessari i festival. Una manifestazione
come Cannes deve anche farmi scoprire qualcosa, inquietarmi
e sorprendermi. Ed è da ieri sera che penso a
queste cose, rimuginando su "Holy motors",
l'oggetto più ardito e misterioso passato a Cannes,
capolavoro per alcuni, porcheria per altri. Su Leos
Carax la leggenda si spreca.
Si dice che sia figlio ribelle dell'altissima borghesia
parigina, che sia un Dupont. Il suo primo film, Boy
meets girl, in un cinefilo e godardiano bianco e nero,
lo avevo scoperto nell'83 al Torino film festival (in
realtà lo avevano scoperto loro, Steve Della
Casa & Alberto Barbera). L'anno dopo a Berlino incontro
Leos Carax e Juliette Binoche (ai tempi sua compagna
e ancora sconosciuta) per un film che mi era molto piaciuto,
Mauvais sang. E avevo pure parlato con Carax, un miracolo,
perché l'uomo è ruvido e di rare, rarissime
parole. Poi Les amants du Pont Neuf, una catastrofe
finanziaria pari a I cancelli del cielo, con un set
più spericolato di Apocalypse now. Ed ecco Carax
accolto fra i maledetti del cinema. Salto qualche passaggio
per non annoiare e arrivo a ieri sera. Holy motors,
un film che ti resta dentro e più ci pensi, più
ti si incolla addosso e ti penetra nel profondo. Visionario
fin dall'apertura, interpretata da Leos Carax stesso.
Una sala cinematografica, vista dalla parte dello schermo,
poi un uomo che dietro quello schermo che si muove,
forse senza sapere neppure dove sta. Poi, il voyeurismo,
la parete che viene abbattuta, un film muto che filma
un corpo d'altri tempi, un po' freak e un po' contorsionista
da circo. Finalmente, l'avventura, un otto volante per
la fantasia, una calamita per lo sguardo. L'attore feticcio
di Carax, Denis Lavant, che ha interpretato TUTTI i
suoi film, attraversa dieci vite (più una, il
protagonista). O forse dieci ruoli (più uno:
l'attore). O forse dieci incubi (più uno: il
sognatore). Portato in giro per una Parigi struggente
su una limousice bianca guidata da una vieille dame
(la morte in guanti bianchi?), a ogni sosta, dopo una
seduta di trucco nell'auto-camerino, scende e inizia
una nuova vita. Dalle più banali, un padre di
famiglia, un operaio, o un anziano che sta morendo,
a quelle più surreali, un replicante mostruoso
un po' Matrix e un po' Alien, il gobbo di Notre Dame
che rapisce la Bella e la porta nelle viscere di Parigi,
un assassino, un amante dimenticato, un uomo che vive
con uno scimpanzé da cui ha avuto un figlio....
Forse Carax ci mostra tutti i film che avrebbe voluto
girare e non ha girato, o ci racconta le vite che avremmo
potuto vivere, lo spazio che sta al di là di
una porta a cui non avevamo mai fatto caso. E con lui
intraprendiamo un viaggio oltre i limiti dell'impossibile,
là dove Godard e Borges si prendono per mano,
sotto lo sguardo benevolo di Carax... E la potenza delle
immagini è così forte che ti trascina
fino alla fine del film. E solo dopo cominci a riflettere
su quello che il regista ti ha raccontato. Ecco, forse
sono proprio questi i film che ho voglia di vedere a
un festival.
Aspettando Bertolucci parlo con una giurata della Camera
d'or, il premio all'opera prima. E scopro raggiante
che il mio amato francese "Rengaine"
sul razzismo tra neri e arabi è in pole position.
E messo bene anche quello sulle ossessioni legate a
shining. Insomma non mi state mandando in giro per niente.
"Sono vittima di un arresto della crescita. Mi
è facile calarmi nei panni di un adolescente".
Dice Bertolucci parlando di "Io e te".
Finalmente si pranza al sole. Ce l'hanno fatto proprio
sudare questo momento:-)
Tea Falco è bellissima e selvaggia con una forte
tragicità mediterranea. Sentiremo molto parlare
di lei.
Gara di bocce sulla piazza del municipio. Per gli abitanti
che se ne fregano di film e palme. Belli felici a controllare
il pallino.
"On
the road" di Coppola con Marlon Brando
Nel 1979 Francis Ford Coppola compra i diritti di
Sulla strada. Mi sarebbe piaciuto molto vedere come
il regista di Rusty il selvaggio avrebbe potuto raccontare
il viaggio alla fine degli anni Quaranta fatto da
Sal-Jack Kerouac e Dean - Neil Cassidy in giro per
l'America, mi sarebbe piaciuto vedere come ci avrebbe
raccontato "la purezza della strada". E
il jazz, la voglia di scrivere, la droga, il sesso,
le donne amate e maltrattate, le amicizie virili,
i sogni di una gioventù che ha continuato a
farla da padrona coi suoi sogni fino al '68. Coppola
sarebbe stato più ardito, più visionario.
Più eccessivo e disordinato. Ai tempi aveva
contattato Marlon Brando per fargli interpretare Dean.
Non se ne fece niente. Ci sono film difficili da fare
andare in porto. Trent'anni dopo, con Roman Coppola
alla produzione e Walter Salles dietro la macchina
da presa, il film si è finalmente fatto. Otto
anni di preparazione, attori che rinunciavano a altre
produzioni, innamorati della storia di Jack kerouac,
Kristen Stewart che nel frattempo è riuscita
a farsi un'intera saga, tutta Twilight e Viggo Mortensen
che è arrivato sul set con la vera macchina
da scrivere del personaggio che interpreta, William
Burroughs, e che è uno dei suoi miti. In film
è generoso (come lo è il brasiliano
Walter Salles) e nostalgico e ha fatto consumare la
suola delle scarpe a tutti quelli che ci hanno lavorato:
hanno girato per davvero l'America in lungo e in largo.
Una storiona appassionata come "I diari della
motocicletta", un altro romanzo di formazione,
un come eravamo che strizza l'occhio alla generazione
dei "giovani per sempre", i ragazzi nati
negli anni Cinquanta, i beat, i post beat. E gli adolescenti
di oggi, anche loro come Kerouac e compagni alla ricerca
di un posto nel mondo e un senso della vita. Bello,
insomma, avrà probabilmente successo (uscirà
in ottobre). A me resta un retrogusto di malinconia
perché penso a cosa avrebbe potuto essere un
Sulla strada diretto da Francis Ford Coppola e interpretato
da Marlon Brando. Però, non è che si
possa avere tutto dalla vita.