Chi vince? Le voci (le stesse dei boomakers prima che
iniziasse il festival!) sono attestate su "Amour"
di Haneke. Non trapelano mai indiscrezioni, ma qualcosa
si scoprirà gia domani: basta vedere chi ritorna,
quali star verranno richiamate sulla Croisette ed eccola
lì la rosa dei papabili. Tutti a star dietro
al cerimoniale.
Non dimentichiamo la Kidman. Se una star arriva sulla
Croisette, le buone maniere suggeriscono di non farla
tornare a casa a mani vuote. Poi nel film è brava.
E poi è già qui. Non tocca neppure richiamarla.
Premio per la miglior interpretazione potrebbe essere
suo.
Ultimo film del concorso. "Mud".
Dell'american Jeff Nichols. Che l'anno scorso aveva
vinto la quinzaine con un bel film. Stiamo a vedere.
Grandi convinti applausi a "Mud".
Bello: uno "Stand by me" nelle paludi del
Mississippi. Storia di ragazzini storia americana del
tempo che va, della vita che si impara. E le donne?
"un lavoro. Ti fanno sempre fare quello che vogliono
". Ci torniamo. Merita più parole
Alcuni dicono. Un po' Giffoni, nel senso del festival
del cinema per ragazzi. Vero ma bel film
Michel Gondry sta ultimando le riprese del mio e nostro
adorato romanzo: "La schiuma dei giorni".
Di Boris Vian.
Qui si parla assai della rivolta degli studenti nel
Quebec. In Italia la ignoriamo.
Libé titola su "Cosmopolis".
Apocalypse nerd
Dice Robert Pattinson. "vorrei fare un film con
Audiard. Mi piace come racconta gli uomini. Vorrei assomigliare
a uno dei suoi personaggi".
E anche l'ultimo film in concorso all'auditorium Lumière
coi suoi 2300 posti fa alle otto di un sabato mattina
fa il tutto esaurito. Si spengono le luci. "La
séance commence".
Tutti al sole. Come lucertole. Ad asciugarsi dalla pioggia.
Ma ormai è tardi. Si è già sulla
via del ritorno. Con la testa a Milano.
Mercato del sabato, tanti colori. Stoffe, gioielli,
argenti. E molti sorrisi. Fiori. Ceramiche. Cappellini.
Gli orecchini che mi piacevano sono stati venduti. Erano
i più belli del mercato.
"Mud":
un ingenuo Huckleberry Finn
Mi
piacciono i grandi spazi, la natura quando permette
all'occhio di perdersi, mi piace l'avventura, mi intenerisco
facilmente con le storie dell'adolescenza. Mi piace
la tenerezza che si tinge di violenza, i sentimenti
contradditori, le illusioni perdute e la fine dolorosa
dell'innocenza. Mi piacciono i sogni, il gioco, la lealtà.
Tutto per questo per dire che ho guardato volentieri
Mud, ultimo film in concorso a Cannes, con tutto il
suo corredo di ingenuità. Impossibile non pensare
a Mark Twain, a Tom Sawyer e Huckleberry Finn, seguendo
il girovagare cocciuto di Ellis e Neckbone, due quattordicenni
fortunati, nati sul fiume, sul Mississippi, nell'Arkansas.
Ogni giorno, una scoperta. I serpenti velenosi, le chiatte
abbandonate, gli animali, i segreti degli abitanti più
scontrosi e l'incontro con un uomo misterioso, Mud,
rifugiato su un'isola in mezzo al fiume. L'uomo in cui
ogni adolescente vorrebbe specchiarsi, perché
è forte, pieno di sogni, capace di cavarsela,
forse braccato, forse innamorato, imprigionato in una
passione eterna e intatta, per difendere la quale ha
forse anche ucciso. E i ragazzi ai sogni credono volentieri
e volentieri si mettono nei guai per aiutare qualcuno
a realizzarli. Viene in mente Stand by me (e il protagonista
un poco assomiglia a River Phoenix), vengono in mente
altri film per ragazzini. A far fare il salto, i luoghi.
L'acqua del fiume, le barche, le baracche pronte a essere
demolite che fanno tutt'uno con la gente che lì
abita. Spettatrice appassionata, navigavo anch'io sulle
acque del Mississippi inseguendo come i due quattordicenni
il mio sogno per il tempo fugace di due ore
Relax. L'aioli. Sulla stupenda piazza della cittadella.
Il sindaco invita i giornalisti. Non vedo ragionevoli
motivi per rifiutare. Splende il sole. Caldo. E il film
su mishima lo vedrò un'altra volta
Piove. Tempo disastroso così mai visto. Mi restano
solo le slot machine.
Simpatiche le francesi. Sandalo tacco venti, abito da
sera e schiena nuda. Nonostante la pioggia. Sarà
perché le medicine in Francia costano meno, molto
meno? Se bella vuoi apparire un poco devi soffrire.
Io in sala per il film di Henry Bernard Lévy
sulla Libia: "Le serment de Tobruk"
Di fianco una bella africana con le infradito. E nella
borsa trasparente il famoso tacco venti. C'è
da scommettere che tra poco sarà una moda. E
si faranno le borse per il cambio scarpa. Insomma giustamente
sdoganato il fatto che solo le replicanti possono sopportare
per più di un'ora certe calzature.
Delegazione da occasioni ufficiali. H. B. Lévy
è l'intellighenzia. "Proiettare questo film
é un atto politico "
Henri Lévy però ancora assai belloccio.
Con camicia alla Robespierre. "E' un film su una
rivoluzione riuscita: la Libia. E una tragedia in atto:
la Siria".
Il mercato di Cannes. Con tutti i colori e la vita del
sud. Mi piace sempre attraversarlo e ascoltare la parlata
provenzale.
Rissa sulla piazza delle bocce. Perché? Ragazzi
giovani e belli. Neri. Arabi. Francesi. Una ragazza.
Sangue sui visi. Perché?
Cannes. Città internazionale e paese. Le star
e la gente che continua la sua vita. Ragazzi compresi.
Città passerella. Città di convegni e
festival. Città del sud.
"Le
sermont de Tobruk" di Bernard Henri Levy
Non
sono una grande esperta, ma ho seguito con interesse
e apprensione il susseguirsi di eventi della primavera
araba. Sarò stata distratta, superficiale,
fatto sta che avevo sottovalutato il ruolo cruciale
di Bernard Henri Lévy in tutto il processo.
Ma per fortuna "Le sermont de Tobruk"
ha ridato a Cesare quel che è di Cesare. Lévy,
dandy e scrittore, è stato ai tempi uno dei
nouveaux philosophes che tanto successo e credito
ebbero in Francia e in Europa qualche decina di anni
fa. Grandi idee e vite all’altezza, comprese
le donne, ovviamente, perché il fascino della
parola e della cultura fa facile breccia nel morbido
cuore femminile. Ieri sera al suo fianco Arielle Domblase,
attrice molto molto carina anche se ormai con la sua
età, che forse in Italia qualcuno ricorda per
i suoi film con Rohmer. La lady indossava un magnifico
abito viola con anelli come quelli di Saturno che
solo una professionista del glamour come lei poteva
continuare a mantenere nelle loro orbite persino sedendosi
e guardando ammirata il film del suo Henry. Che sarà
anche infedele, ma che resta un signore che sa come
vivere e come far vivere. Film e documentario, girato
nel mentre, in Libia, dal marzo all’ottobre
2011. Immagini violente e emozionanti, camera a mano
e sonora ogni tanto incerto, capi di stato che sfilano,
la risoluzione dell’Onu, parole e fatti. Ma
soprattutto lui, Lévy. Sempre e comunque. Bello,
capello al vento e camicia bianca, slacciata, alla
Robespierre, incurante di possibili attacchi e invulnerabile
all’afa del deserto come al freddo delle notti.
Una divisa a cui non rinuncia, sarà che è
l’abito che fa il filosofo, vestito nero, pantaloni
e giacca, molto molto chic con scarpe nere e sempre
lucide. Anche nelle piazze mentre la guerra infuria,
anche spazzato dal vento del Sahara, il look non cambia,
sia che parli alla pari con Hillary Clinton sia che
tratti con qualche capotribù beduino, spiegandogli
la linea. Solo in una fugace scena, mentre tutti intorno
a lui grondano sudore, si concede una maglia bianca.
Ma a manica lunga, che dalla giacca (sempre quella
nera, di gran taglio) possano mostrarsi i polsini
candidi. Menomale che ho visto il film. Adesso ho
finalmente capito come sono andate davvero le cose
in quel del Nordafrica. Prossima tappa del rivoluzionario
philosophe et écrivain, la Siria. Che Allah
ce la mandi buona.
Un
paio di video: "Cosmopolis"
di David Cronenberg