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Le BiELLE RECENSIONI
Luigi Maieron: "Vino, tabacco e cielo"
Cercivento, provincia di Oklahoma
di Giorgio Maimone
Ascolti collegati

Luigi Maieron
Si Vif

Luigi Maieron
Une primavere

Luigi Maieron
Anime femine

Davide Van De Sfroos
Yanez

Michele Gazich
Dieci esercizi per il volo

Massimo Bubola
Segreti trasparenti

Crediti:
Luigi Maieron (voce e chitarra); Franco Giordani (banjo, chitarra elettrica, mandolino, chitarra acustica, cori, bouzouki); Ellade Bandini (batteria, cembalo, percussioni); Davide "Billa" Brambilla (fisarmonica, piano); Francesco Piu (chitarra elettrica, chitarra acustica, armonica); Paolo Manfrin (cornamusa, basso, cori); Simone Serafini (contrabbasso); Elvis Fior (batteria)
Parole e Musica di Luigi Maieron

La cidule ispirata da una poesia di Gina Marpillero
Cramar-marochin tratta dalla poesia Cramars-marochins di Leonardo Zanier,
Il Cali – Ribis Udine
Argjentina liberamente ispirata a “Un emigrant” di Giorgio Ferigo, Francesco Vigato e Povolâr Ensemble, album “Cjamp dai piedûts amôrs”
Trei puemas tratta da una poesia di Giorgio Ferigo
Done mari rivisitazione brano tradizionale carnico
I fantasmi di pietra liberamente ispirata al romanzo I fantasmi di pietra - Mondadori - di Mauro Corona.

Produzione artistica Luigi Maieron

Registrato presso lo studio “Ponci Record Service” di Alfonso Zanier – Valeriano (PN)
Mixato da L.M., Franco Giordani, Alfonso Zanier
Produzione esecutiva: Gianpiero Canino (PDT sa)
Edizioni musicali: Batoc67 srl
Management: L.E.M. snc

Ufficio stampa: Parole e Dintorni – info@paroleedintorni.it
Artwork: 2124.it

Foto cover: Luca D’Agostino

Tracklist

01 Vino, tabacco e cielo
02 Le cidule
03 Cosa senti
04 Cremar-Marokin
05 Questa faccia
06 I fantasmi di pietra
07 Trei puemas
08 Done Mari
09 Il peso della neve
10 Filo spinato
11 Argjentina
La quercia ha ripreso a cantare. Ha deciso di affondare le sue radici nel fango dei bayou, dove si specchiano le mangrovie o di riflettere le sue cime nelle acque limacciose del Mississippi, dove si proiettano le ombre lunghe delle magnolie. Abbandonati violini e viole della tradizione folk e imbracciata la chitarra come fosse una Old Betsy, Gigi “JJ” Maieron si lancia sulle piste di frontiera sulle tracce di JJ Cale e di Johnny Cash.

Con una fida compagnia di pards, novello Tex Willer, Maieron arruola Kit Carson/Franco Giordani, socio ormai di lungo corso, Tiger Jack/Davide Billa Brambilla, Mephisto/Ellade Bandini e Kit Willer/Francesco Piu e con banjo, dobro, armoniche, mandolino, fisarmoniche e chitarre costruisce un grande disco di storie di frontiera.
Eh sì, perché la Carnia e il vecchio West hanno molto in comune.

Terre di uomini che si muovono, che si spostano, alle prese con un panorama naturale che li sovrasta e che non può non lasciare tracce dentro di loro. E in Gigi (anzi in JJ) Maieron si avvertono i boschi che mormorano, il silenzio dei picchi isolati, la maestosità quasi divina degli altipiani e la forza della natura, trasfigurata nelle grandi domande dell'esistenza. Gigi racconta di gente che va e che torna, di passato e di presente, di “chi è nato un po' per caso, di chi resta fuori mano”, dei “fantasmi di pietra” di quelle case rimaste in piedi dopo la tragedia del Vajont, di soldati “in difesa di molti confini e di una sola terra”.

Per farlo e per fare conoscere le sue storie più lontane esce anche spesso dalla lingua della sua Carnia ma, potrei giurarlo, senza abbandonarla mai. Maieron, come Van De Sfroos, potrebbe cantare in hurdu o ugro-finnico e sempre canterebbe le storie che porta incise nella pelle. Di confini, di strade bianche, di traiettorie che passano laterali alla grande storia, che a volte si intrecciano, ma quasi chiedendo scusa della loro (presunta) irrilevanza. Temi che poi. invece sono quelli dell'esistenza.

Al di là della musica, quello che colpisce di più in Maieron è la particolare timbrica della voce: bassa, profonda, intensa. Una voce che ricorda Leonard Cohen, ma anche la corteccia di una quercia. Una voce magica al servizio di temi come la memoria, l'amicizia, «il vissuto, la solidità che l'esistenza pretende», per dirla con le sue parole. Una vita, già intensamente vissuta - Maieron nasce attorno alla metà degli anni ’50 - che a volte “costa un po’ di fatica in più”. Ma non aspettatevi malinconia da questo disco che è, fino in fondo, quello che promette di essere: un album di viaggio epico sulle terre di confine, in qualsiasi accezione si voglia intendere il confine.



"Le cose attorno a noi non dicono tutto.
Fruga, trova il suono e ascolta.
Il suono parla prima delle parole.
Non temere ascolta.
Sali il pendio e riassumi.
Lascia cio` che non ti serve,
insegui il tuo suono tra le foglie ed i clacson.
E’ il gioco dei passi
tra lo specchietto e il domani,
fasci di nuvole tra vino e cielo.
Anche i colpi diventano suono
e il tuo canto cresce
".

Così scrive Gigi sulla copertina dell'album, fotografando in modo epigrammatico il contenuto, il viaggio, lo scopo dell'intero lavoro. Che è, per togliere qualsiasi dubbio, un lavoro egregio. Mi punge vaghezza di citare un particolare divertente. Gigi Maieron è reduce da due album con Michele Gazich. Massimo Bubola, quando ha smesso di collaborare con Gazich ha fatto un disco eminemente chitarristico, Maieron anche. L'eccesso di violini ed archi di Michele sembra quasi destinato a "immunizzare" i suoi ex partner dal ricorso agli archi. Ne escono però buoni dischi chitarristici, come erano buoni quelli ricchi di violini folk. Una domanda oziosa è chiedersi se queste storie di frontiera avrebbero potuto suonare bene allo stesso modo aggiungendo il violino. Probabilmente sì, ma tanto siamo destinati a non saperlo. Per ora ci beiamo del suono scabro di alcuni brani ("Questa faccia", "Filo spinato"), di quello comunque rotondo di altri ("Vino, tabacco e cielo", "Il peso della neve", "Cramar-marochin").

Si parlava prima della lingua. Maieron abbandona il carnico e si appoggia quasi ovunque all'italiano: sono solo quattro i brani totalmente in lingua: "Le cidule", "Trei puemas","Dona mari" e "Cramar-marochin" mentre "Argjentina" ha inserti di italiano qua e là. Con un autolesionismo senza pari, Gigi si pone appena al di fuori della regola del Tenco che impone di premiare come dischi in "dialetto" (ebbene sì, loro scrivono così anche quando si tratta di lingue) quelli che sono "prevalentemente in dialetto". Ora o interviene un po' di elasticità o vedremo Davide Van De Sfroos in gara ancora per il dialetto con "Yanez", che è a tutti gli effetti un album mainstream, del grande giro della musica in Italia e "Vino, tabacco e cielo" in gara solo come miglior disco, nonostante che sia un album che ha la Carnia in tutti i pori, fino a suscitare anche il dubbio che alcuni testi siano nati in quella lingua e poi tradotti in italiano. Sarà possibile sperare in un ritorno di logica nei giurati delle Targhe Tenco?

Che poi, personalmente, in questo disco preferisca i brani in italiano a quelli in lingua è unapura coincidenza. Ma è anche indice del fatto che Luigi non è solo un poeta della Carnia. E' un patrimonio comune, che va condiviso: così come Bennato (entrambi) o la De Sio non sono solo di Napoli e Carmen Consoli o Battiato o Alfio Antico non sono solo Sicilia. Alla cultura carnica Gigi deve tanto e tanto dà. Anche in questo album 4 delle 5 canzoni non in italiano derivano da poesie e canzoni locali. E "Done Mari", di cui continuo a preferire la versione dello stesso Gigi con la Sedon Salvadie, è un canto tradizionale. Infine "I fantasmi di pietra" è liberamente ispirata al romanzo omonimo di Mauro Corona che da tempo, ormai, gira con Gigi con lo spettacolo "Due uomini di parola".

Tanti amici importanti per Maieron, dunque: da Gianni Mura, il primo ad aver parlato di lui, a Davide Van De Sfroos, da Mauro Corona a Toni Capuozzo, da Michele Gazich a Massimo Bubola ma nessuna soggezione. Maieron, questo "figlio cresciuto un po' per caso o da amori perduti" si è costruito pezzo per pezzo la sua carriera.

E già che abbiamo citato Van De Sfroos ricordiamo un po' di simmetrie: i due personaggi, i maggiori cantacronache delle loro zone, entrambi cantascrittori, entrambi utilizzatori di una calata locale, si sono incontrati più volte nei loro percorsi di questi anni, per le oblique vie che uniscono quelli che parlano liberamente. Si sono incontrati e si sono piaciuti. Davide ha iniziato a invitare Luigi alle manifestazioni che organizzava, Gigi ha iniziato a eseguire dal vivo qualche canzone di Davide (tra cui una intensa "Loena de picch" e, a poco a poco, anche grazie ad amici comuni, tra cui il mitico Edi, il rapporto si è stretto, fino ad arrivare a questo disco, dove Davide ha prestato il Billa e Piu tra i musicisti, il management del lariano ha preso la gestione del friulano, fino ad arrivare alla bellissima recensione che Davide in prima persona ha voluto scrivere per Gigi.

"Raramente - scrive Davide - ho incontrato persone che dopo una lunga carriera attraverso i suoni e le cose da dire, hanno mantenuto quella determinazione, quella gentilezza nei confronti dell'arte stessa e quell'entusiasmo da fanciulli attempati. Questo è Luigi e non me lo sono inventato io. Esiste per quello che è senza cercare di essere qualcos'altro e grazie ad un autore come lui, adesso possiamo specchiarci ed emozionarci davanti ad un grande disco: Vino tabacco e cielo. Posso dire di averlo visto nascere, questo suo ultimo lavoro, a partire dai primi bocconi nei camerini di qualche teatro, di averne ascoltato dei brani nei vari festival dove Maieron è stato invitato come ospite dal sottoscritto, ma non è certo per questo motivo che mi vedete qui sul ponte a sventolare entusiasmo. siamo di fronte a qualcosa di finalmente libero e ricco, di quella ricchezza fatta di terre e di rocce, che non hanno mai smesso di contenere tutti quei passi e tutti quegli spettri che Luigi è andato ad estrarre per noi".(vedi il resto)

É difficile per me commentare razionalmente un disco di Luigi Maieron. Questo in particolare che ho visto crescere dai primi abbozzi voce e chitarra fino alla veste definitiva. Ho assistito da lontano al parto, come un fratello, come uno zio affettuoso, tra un risotto, un coro stonato, un bicchiere di "Sfursat". Le ho sentite suonare sulla mia chitarra, le ho ascoltate per mesi nella loro struttura scarna, in attesa di vedere infine nascere il nuovo lavoro di Gigi, il più aperto, il più solare, quello che probabilmente gli porterà più consensi. Dal mio canto, nostalgico e quieto, resterò per sempre avvinto alla poesia intima e silenziosa di "Si vif", a quelle musiche scarne, a quei silenzi, a quel soffio della natura. Aria rarefatta di montagna, ma qui scendiamo in pianura, prendiamo i cavalli e galoppiamo verso il sole rosso.

Perciò non ragiono su "Vino, tabacco e cielo" come su un insieme di canzoni, ma come un'opera unica in più capitoli o quadri. Come un libro di Steinbeck ("Uomini e topi", "Pian de la tortilla"), con le sue alternanze di momenti buffi e di tragedie, come un polittico campestre in cui qui domina il giallo del sole, là il mielato dei covoni di grano, più in giù ancora il blu prussia del fiume, oltre il quale si allungano le prime ombre della sera e ancora oltre i bagliori del fuoco attorno al quale riunirsi con bottiglie di vino, pane e formaggio, finché il sonno, a furia di parlare arrivi. Maieron è un boccone troppo spesso per mangiarlo in un morso, un vino troppo strutturato per ingoiarlo in un sorso. Tanti piccoli sorsi, tanti piccoli morsi e altrettanti grandi pensieri.


Ultimo aggiornamento: 27-06-2011