Una
Brigata di memoria, di cultura, di utopie,
di speranze, d'informazione, dell'uomo.
Le
BiELLE RECENSIONI
Teresa
De Sio: "Tutto cambia" Brigantessa
senza perdere la tenerezza di
Giorgio Maimone
Ascolti
collegati
Teresa De Sio
Sacco e fuoco
Teresa De Sio
A sud A sud
Teresa De Sio
Riddim a sud
Naif Herin
Tre civette sul comò
Gabriella Grasso
Cadò
Ma'aria
Sugnari
Crediti:
Teresa De Sio (voce, chitarra "a botta", chitarra
acustica); Max Rosati (chitarra 12 corde, chitarra acustica,
chitarra elettrica, ukulele, arrangiamento archi, chitarra
classica, slide); Her (violino); Upapadia (tamorra, shaker);
Mario Guerini (basso), Luca Trolli (batteria); Fiore Benigni
(organetto); Vittorio Longobardi (basso): Pasquale Angelini
(batteria); Igor Bombardini (fisarmonica); Edigio Marchitelli
(chitarra acustica, mandolino): Teresa e Upapadia (varitipidilupi)
Ospiti: Gnu Quartet archi in "Basso impero" (Francesca
Rapetti flauto; Roberto Izzo, violino; Raffaele Rebaudengo,
viola; Stefano Cabrera, violoncello)
Raffaella Misiti (coro in 'Na strada miezzo o mare")
Don Andrea Gallo voce recitante in "Sulla violenze e
sulla speranza"
Canzoni di Teresa de Sio (testo e musica), tranne 1 (testo
italiano De Sio / Julio Numhauser), 4 (Luca Carboni), 8 (Fabrizio
De André/Mauro Pagani - adattatore Teresa De Sio);
10 (Domenico Modugno); 12 (Eduardo De Filippo / Domenico Modugno)
Produzione artistica Marialaura Giulietti e Teresa De Sio
Produzione di studio Max Rosati
Arrangiametni Max Rosati e Teresa De Sio
Registrato,
mixato e masterizzato neglis tudi R&B di Civitavecchia
(Roma) da Max Rosati.
Produzione esecutiva Marialaura Giulietti
Ufficio stapa: Paola Conforti (Casi umani)
Artwork: Marco Betti - lineartstudio
Teresa
De Sio
"Tutto cambia" C.O.R.E./ Edel - 2011 Nei negozi di dischi
Tracklist
01
Tutto
cambia
02
Non
dormo mai tutta la notte
03
L'amore
assoluto
04
Inno
nazionale
05
Sulla
violenza e sulla speranza
06
Basso
impero
07
Padroni
e bestie
08
Na
strada mizzo o mare
09
Brigantessa
10
Lu
brigante
11
Canta
cu me
13
Scioscia
popolo
Poi
venne Teresa ... Prima era un'estate declinante ma ancora calda,
un po' lenta e un po' noiosa. Poi, con la posta del mattino, a fine
agosto arrivò un piccolo regalo. Dieci centimetri per dieci,
all'incirca. Le dimensioni di un cd. C'era scritto "Tutto cambia".
Sì, è stato il primo pensiero. Tutto cambia detto
oggi, quando la palude impera? Poi, il tempo di scartarlo e metterlo
nel lettore: "Cambia ciò che è superficiale /
cambia quello che è più profondo / cambia il modo
di pensare / tutto cambia in questo mondo / Cambia il clima con
il tempo / il lavoro cambia faccia / tutto cambia mano a mano /
che anch'io cambi non è strano". E la magia mi ha subito
preso la mano, per non staccare più fino all'ultimo brano.
Una sola lamentela: è troppo corto. Tocca rimetterlo subito
da capo, fino a fondere il lettore, fino a berne l'assenzio, fino
a penetrare il substrato, il non detto, l'inconoscibile. Quella
sorta di ruggito che le sale dalla gola nel punto esatto in cui
dice "cambia il manto di ogni fiera / e i capelli con l'età".
Prima c'era l'estate. Poi venne Teresa.
È un album che alterna brani di altri, i "maestri"
e composizioni proprie, che alterna climi e paesaggi musicali, tenendo
sempre bene alta la stella polare della musica popolare. "Il
folk è il rock del popolo", afferma Teresa De Sio nei
concerti e questo è proprio quello che sgorga dei solchi.
Di folk, di rock, come energia ce n'è molta. E di tradizione,
di memoria ce n'è altrettanto. Ma non è un disco passatista.
Tutt'altro. La stessa title track non è una constatazione,
ma un invito, una speranza. Fare sì che tutto cambi, non
aspettare che che cambi da solo, ma dandogli una spallata. Eh sì,
"Tutto cambia" è un album politico,
con tutto quello di bello che politico può ancora significare
soprattutto per chi viene da poco dopo la metà del secolo
scorso.
Pura politica è "Basso impero",
una nuova "Domenica delle salme",
una delle perle del disco. Su un basso insistente, la voce di Teresa
si distingue languida e metafora dopo metafora sbuccia le croste
di un Paese allo sbando. "Elegantissimi gli uomini, le donne,
i camerieri / sotto gli abiti non gli si intuiscono pensieri".
Ce n' per tutti: "iil maggiordomo in maschera, annuncia alle
telecamere / a chi fabbrica mutande che sappiano di fragole verranno
da domani cancellati tutti i debiti". E poi si sfocia nel refrein:
"basso impero, basso impero / rullano i tamburi / basso impero,
basso impero / fiaccole lungo i muri". E il medioevo dei costumi
lo senti, è tattile, fungibile, a portata di chiunque, basta
allungare una mano ed annullare qualsiasi rigurgito di coscienza.
La voce di Teresa si approfonda negli inferi, poi sale dagli angeli
e in questo fluttuare ci fa partecipi dell'inferno che abbiamo sfiorato.
Canzone tremendissima e fascinosa. Ogni frase è studiata
e limata alla perfezione, non ci sono sfridi, non ci sono avanzi,
tutto è funzionale al suono, al clima. Uno strano mix di
rock sinfonico, enfatizzato dagli archi dello Gnu Quartet, oltre
che dal solito violino di Her.
Politica è Don Gallo quando pronuncia la sua prolusione "Sulla
violenza e sulla speranza": "Dopo vent'anni
in questa Italia che amiamo tanto c'è ormai una voglia di
violenza e di empietà ... I ladri si vantano di esserlo,
i servitori infedeli dello Stato mostrano con orgoglio le prove
dei loro tradimenti, i servi non hanno più limiti nella loro
abiezione, gli onesti quasi si vergognano di esserlo ... Ma noi
con tutti i movimenti, con tutti i giovani, con tutte le donne,
gridiamo che il male grida forte ... ma la speranza grida ancora
più forte!". 56" da brivido. Chissà
se a qualcuno fischieranno le orecchie.
E politica infine è ancora, oltre alla title track, anche
"Inno nazionale", nata forse
come canzonetta da Luca Carboni e trasformata da Teresa in un vero
e proprio inno tarantato per parlare dell'unità dell'Italia
nella sua diversità. Molto molto semplice, ma forse per questo
ancora più incisiva. Politica infine è ancora la finale
"Scioscia popolo", scritta da Domenico
Modugno con Eduardo De Filippo per lo spettacolo teatrale "Tommaso
di Amalfi", dedicato a Masaniello. "Attento a te /
'a legna s'è seccata / e quanno è secca e asciutta
/ piglia fuoco", a presagire i tempi di una rivolta ormai
prossima, quella che prende le mosse dal canto benaugurante di "Tutto
cambia".
A sorpresa emerge un cotè politico anche dalla canzone più
strana: "Padroni e bestie" (O ciuccio) che
è stata ispirata da un racconto di Matteo Salvatore che risale
alla tournée comune per Craj. La canzone racconta una storia
semplice: è morto il ciuccio e il lavoratore che doveva occuparsene
rischia di perdere il lavoro. Qual è l'unico modo per evitarlo?
"O padrone nun l'ha da sapè". Ma quasi
favola esopiana, l'obiettivo si allarga e il singolo caso del ciuccio
morto diventa una metafora attuale di chi resta senza lavoro e così
facendo perde anche la sua identità. Non è solo un
problema di mangiare ("Chi more more/ chi campa campa /
nu piatto e maccaruni / maccaruni cu la carne") è
cosa fare nella vita quando manca la fonte primaria di reddito.
Cinque minuti di ritmo incalzante, chitarra elettrica inviperita,
il violino di Her che strapazza le corde e una ritmica ipnotica
e potente. Non si può restare fermi.
Ma poi abbiamo tutto un altro versante, più intimo, in alcuni
casi più personale e decisamente più pacato, Come
nei concerti di Teresa non c'è mai un solo clima a disposizione.
I brani lenti
e quelli veloci si intercalano, si rincorrono, si succedono con
ritmo rapido, così tanto rapido che sembra di arrivare in
un attimo alla fine del disco. E per questo è necessario
rimetterlo da capo.
"L'amore assoluto" ad esempio fa parte di questo secondo
versante: il lato in ombra della roccia, quello dove non batte il
sole. Un amore che può essere quello che fa battere il cuore,
tanto quanto l'ammirazione, la fascinazione. "L'amore assoluto
non perde mai le foglie / come un albero assoluto / che non si secca
mai. / L'amore assoluto è assoluta fontana / asciutta non
rimane / e non ti disseta mai / L'amore assoluto / scatena e incatena".
Peraltro, più lo cerchi e meno ce n'è ... e quando
ti dimentichi torna da te. Per una cantante riservata e aliena dalle
confessioni come Teresa sembra un brano assolutamente personale,
ma lei minimizza: "l'ho scritta il 14 agosto lo scorso
anno in Sardegna a l'Agnata, dove Dori Ghezzi mi ha invitata per
il concerto annuale dedicato a Faber. Soltanto chi c'è stato,
da artista o tra il pubblico, può capirne la magia. Cose
belle, potenti ed amorose vengono evocate su quel palco. Sarebbe
stato innaturale per me non lasciarmene ispirare". E'
possibile. Ma è anche lecito dubitarne. Scelgo l'aspetto
personale.
Tra i brani passionali e romantici figura anche un'altra cover del
disco: quella della canzone, semisconosciuta di Modugno "Lu
brigante", che viene proposta in scaletta subito
dopo "La Brigantessa": titolo
analogo ma svolgimento diverso. "Lu brigante" è
una canzone degli anni Sessanta, di quanto ancora del brigante prevaleva
l'aspetto avventuroso. Brigante come un lupo, come qualcuno che
ha scelto una vita solitaria, ma soprattutto per amore dell'avventura.
Il brigante, la luna, il vento a tramontana "quanno 'n
cielo la luna, la luna, la luna ce sta". E' una canzone
d'amore per come la fa Teresa, dove voli oltre le singole parole
e ti fai rapire da quell'atmosfera soffusa, sfumata, da quel calore
di terra mediterranea, da quegli aromi che salgono dalla terra quando
il sole cala. E' notte e il brigante esce dalla tana, ma è
una notte di luna e lui pensa "a na picciotta / da sula
dint 'a la chiana / un amuri troppo luntano". E sale necessario
l'ululato. "La Brigantessa"
invece è pezzo caliente, tutto calore e anima: "io voglio
cagnà nome / chiamame brigantessa", canta la De Sio
e ci aggiunge "è inutile che dici / Teresaè semp'a
stessa / io voglio cagnà nome / chiamami Brigantessa".
E' una canzone di chi si chiama fuori, ma da fuori continua a combattere.
Scende dal mondo, ma al mondo non rinuncia. Non è una canzone
delle tristi rinunce, è una canzone delle rinunce incazzate.
E forse nemmeno rinuncia. Teresa prende la chitarra e sale in montagna.
Farà canzoni da brigantessa. E chi meglio di lei può
farlo?
Abbiamo lasciato quasi in fondo un altro dei pezzi forti o fortissimi
del disco: una delle vette assolute. Che già lo era quando
è nata e che qui, riverniciata di napoletano, ritorna forte
come prima, eppure con le spezie cambiate. Si tratta di "Creuza
de ma" riscritta in "Na strada
miezzo o mare". Lavoro da far tremare le vene
ai polsi: Teresa prende il pezzo più genovese di Fabrizio
De André e, su consiglio di Dori Ghezzi, prova a trasporlo
in napoletano. Badate bene: trasporla, perché tradurla non
si puà, Sarebbe tradirla. Genova non è Napoli e viceversa.
Non ci sono le Creuze, tanto per cambiare. Dice Teresa che per farlo
ha dovuto penetrare nel canto originario, immergersi, cercare dicomprendere
gli oscuri richiami e ricrearne di analoghi, ma compatibili. Lavoro
mirabile e tremendo, da cui, bisogna ammetterlo, è uscita
vincitrice. Forse solo una donna può cantare De André,
perché non entra in confronto con lui: fa una cosa altra.
Ed altro è "Na strada miezzo o mare",
non solo per le parole, non solo per la lingua, ma anche per quella
misteriosa alchimia che sta sotto, sopra, al centro di una canzone.
E' una bomba! Dolce, tenera, insinuante, sensuale. Una canzone che
ti striscia addosso e che ti possiede momento dopo momento, pelle
dopo pelle, sentimento dopo sentimento. Apparentemente semplice
eppure così misterica. Di sicuro cantavano così le
sirene nelle orecchie di Ulisse.
Abbiamo
parlato di tutto? No, abbiamo lasciato indietro due canzoni: "Non
dormo mai tutta la notte", testo autobiografico
e nvito ad utilizzare il tempo che non si dorme per altro. "Non
dormo mai tutta la notte / però metà mi basta /
rimango lì a guardare / la mia vita dalla finestra / E
tu che mi dormi vicino / se ti muovi non far rumore / Perché
se l'anima è un uccello / ci vuole poco per farla volare".
Canzone spessa, ricca di significati e di altrettanti umori: energica
e salutare. Aspettare il tempo, ma non farselo nemico. Mai. Tanto
passa. In mezzo a questa sfilata di pesi massimi fa la parte della
comparsa "Canta cu' me" che
è piacevolissima canzone, ma priva di quel gancio che te
la faccia immediatamente ricordare. Fosse stata in un altro disco
avrebbe avuto migliore sorte, anche nei nostri ascolti. E' vero,
confesserò, appena finiva "Lu brigante", correvo
a rimetterla e quindi a "Canta cu' me" non ci arrivavo
mai. Ma effettivamente ricorda strade già percorse e parole
già dette.
Sono dodici canzoni, come i mesi dell'anno: alcune per l'inverno
e altre per l'estate.52 minuti e rotti di musica che transitano
in un attimo. Disco di atmosfera e di significati profondi: un
album fatto per restare e non per passare. Dicono le cronache
(e dice la stessa Teresa) che questo sarà l'ultimo album
della sua carriera. Poi seguiranno concerti, libri, spettacolo,
ma basta dischi. Si chiude un'epoca, i grandi a poco a poco se
ne vanno (e meno male che se ne vanno per scelta). A noi resta
il vuoto nelle orecchie e nell'anima. Ci consoliamo ascoltando
quello che abbiamo e che ora sta girando nel piatto. Un cd, uno
degli ultimi, che vale molto più di quello che pesa, che
splende della luce nitida della classe di una grande brigantessa.
La migliore che abbiamo. Almeno "quando in cielo la luna,
la luna, la luna ce sta".