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Le BiELLE RECENSIONI
Cesare Basile : "Sette pietre per tenere il diavolo a bada"
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Crediti:
OCesare Basile: chitarre, ukulele, banjo, cigarbox guitar, percussioni, voce
Enrico Gabrielli: fiati, cori
Rodrigo D'Erasmo: violino, cori
Luca Recchia: basso, cori
Alessio Russo: percussioni
Massimo Ferrarotto: percussioni
Toni Kitanovsky: guitar
Lorenzo Corti: chitarra elettrica
Marcello Caudullo: chitarra elettrica
Alessandro Fiori: chitarre
Roberto Dell'Era: basso
Roberto Angelini: lap steel
Salvo Compagno: tammorre
Enzo Mirone: tammorre
Fulvio Di Nocera: archi
Vera di Lecce: voci

Prodotto da Cesare Basile con Guido Andreani e Luca Recchia.
Registrato al Carezza Studio, Milano, da Guido Andreani, Luca Recchia e Cesare Basile.
Missato da Cesare Basile e Guido Andreani a Monopattino recording studio, Sorrento.
Assistente di studio Peppe De Angelis
“L'impiccata” e “Questa notte l'amore a Catania” prodotte da Cesare Basile e Lorenzo Corti. Registrate da Lorenzo Corti a La Clinica, Milano.
“La Sicilia havi un patruni” (di Ignazio Buttitta e Rosa Balistreri) registrata da Cesare Basile e Marcello Caudullo al Zen Arcade, Catania.
“E alavò” registrata a La Clinica, Milano, da Cesare Basile.
“Elon lan ler” registrata al Fame’s studio , Skopje, Macedonia.

Arrangiamento d'orchestra (Orchestra della Radio Nazionale Macedone): John Bonnar.

Su Bielle
Ascolti: "L'ordine del sorvegliante"

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Cesare Basile
"Sette pietre per tenere a bada il diavolo"

Urtovox - 2011
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Tracklist

01 L'ordine del sorvegliante
02 Il canto della vipera
03 L'impiccata
04 Strofe della guaritrice
05

E alavò

06 Elon lan ler
07 Sette spade
08 Lo scroccone di Cioran
09 La Sicilia havi nu patruni
10 Questa notte l'amore a Catania
Cesare Basile è un artista catanese di quarantasette anni, che vive ormai da anni a Milano, per la precisione in zona Ripamonti. Chi è solito frequentare la Casa 139 lo avrà sicuramente incontrato qualche volta, visto che quello storico Circolo ARCI è stato per lui un po’ come una seconda casa. A primavera di questo 2011 però, il Circolo è stato forzatamente chiuso per un’ordinanza comunale e, sembra quasi un segno del destino che quasi nello stesso periodo sia uscito questo “Sette pietre per tenere il diavolo a bada”, il primo totalmente registrato da Cesare nella sua terra natia dopo vent’anni di esistenza da emigrato a Milano.

Già il titolo mette in guardia l’ascoltatore su una delle caratteristiche peculiari della sua intera produzione discografica, ossia il suo procedere dritto senza cedimenti a mode e costumi del tempo, sette sono, infatti, gli album che hanno preceduto questa nuova uscita e sono lì come pietre, forti, crudi, sanguigni, senza mezze misure, pronti come pietre per tenere a bada le lusinghe e le tentazioni del diavolo, ecco quindi un’altra cifra stilistica assolutamente sua, il continuo riferirsi a personaggi epici e pagine bibliche, parlando di guerre e inarrestabili fedi, amori controversi sempre vissuti allo stremo.

Prendete ad esempio la prima traccia, “L'ordine del sorvegliante”, è introdotta dal suono ipnotico di un fiato, poi parte un ritmo mantrico di percussioni cui si sovrappongono i tocchi celestiali di uno xilofono, quindi inizia il canto di Cesare Basile con quella sua voce un po’ sofferta e già ci si trova immersi dentro un vortice cui sarà difficile uscirne.

Quando poi la musica si quieta e sembra possibile tirare il fiato, ecco che comincia “Il sogno della vipera” con una lenta e suadente melodia che sembra letteralmente voler strapparci dalla nostra realtà per catapultarci dentro la cella di un condannato per ascoltare la sua intensa preghiera d’amore “I sorveglianti hanno serrato i ferri / mi prendo i morsi della tua bellezza / lasciami i segni sulla schiena / finisci adagio come i passi / lungo le scale che gli amanti / scendono adagio prima di partire / ho chiesto al corvo sul tuo seno / gli ho chiesto ancora una volta / dimmi chi sono non dirmi quel che ero”.

“L’impiccata” parte tranquilla, ma ben presto assume toni ossessivi, resi gravi dalle distorsioni delle chitarre e da insistite programmazioni elettroniche un po’ psichedeliche; il soggetto, come suggerisce il titolo, è un’impiccata e i toni dei versi sono violenti, crudi “Appesa per i piedi e per il senno / perché ero la peggiore delle cagne / quella che si fa beffa della gioia / negandomi al contatto / sposandomi ai crocicchi / aprendomi la faccia / senza interrompervi”.




Ancor più ossessiva sin dalle prime note, con un incessante suono di tamburi, è “Strofe della guaritrice”, poi entrano in gioco chitarre stridenti come urla e distorsioni penetranti, “I vermi ce li abbiamo dentro tutti / e i vermi sbattono e vogliono mangiare / così mangiamo per noi e per i vermi / e tutti abbiamo i vermi e non ce ne accorgiamo … e quando si crepa e non si mangia più / il verme esce e mangia la carne che era la carne nostra“, questa volta il male sembra covare dentro ognuno di noi. Un incubo visionario degno di Lars Von Trier.

Ancora ammaliatrice e piena di fascino, con l’uso alternato di dialetto e italiano, con la presenza di tammorre, è “E alavò”, uno splendido tuffo nella sua terra natia, la Sicilia, non certo quella da cartolina, bensì quella dura e abitata da gente vera “Con Colapesce e Riina mi trovai a sognare le pietre / nessuna messa in posa da noi / servite, poi odiate, ma pur sempre incomprese”. Uno splendido sogno di ribellione, sebbene spesso incompreso.

Quasi estraneo all’intero lavoro, per le delicatissime sonorità dolci fino allo spasimo, sembra essere “Elon lan ler”, un piccolo poema in musica che sembrerebbe come composto per un classico Disney, ma che in fondo porta con sé un duro insegnamento diretto ai bambini, l’amore può far male fino a portare al desiderio di strappare il cuore dal petto della propria madre. Fondamentale la presenza dell’Orchestra della Radio Nazionale Macedone.

Danzante, intrisa di folk, è la ballata “Sette spade”, un canto liberatorio che vuol scuotere con forza le coscienze popolari con quel ritornello insistito “Sorella mangi terra e loro pane”.

Una vera oasi di pace, dopo tanto incedere con impeto e forza, sembra la ballata “Lo scroccone di Cioran” che sembra preludere così a un qualcosa di forte.

Così è, si giunge a uno dei vertici del disco, un sentito omaggio a Rosa Balistreri e Ignazio Buttitta con “La Sicilia havi un patruni”, qui reso con estrema sofferenza e pathos, fino ai disperati versi finali “Povira terra mia / Comu si po’ campa’”. Una vera perla rispolverata e messa a nuovo.

Non è finita però, c’è ancora spazio per “Questa notte l’amore a Catania”, un altro piccolo gioiello, solo 1’39” di canzone, ma riempito di intensi versi “I cavalli hanno il morso alla voce / e un destino di cuoio / al galoppo per vincere il viale / lapidati giù alla playa / Non c’è nulla di rapido o lento / nel vederli passare / Questa notte l’amore agli incroci / è codardo é di sgherri / E’ una fossa scavata per lasciarvi cadere le cicche / Non c’è nulla di rapido o lento / nella prima pietrata / Questa notte l’amore a Catania / è codardo è di sgherri / E’ una fossa scavata / per lasciarvi cadere le cicche”.

Quest’ultima fatica di Cesare Basile è ovviamente un disco per chi sa lasciarsi coinvolgere dalle emozioni forti, da immagini di corvi che pranzano dal seno di una donna, di vermi che ci corrono dentro e attendono solo la nostra morte per mangiarci, ma anche per chi ha il coraggio di sognare con visionaria lucidità pietre con le quali tenere a bada il diavolo, il vero padrone di questa nostra terra sofferente, proprio come la sua Sicilia, incapace di sollevarsi, di ribellarsi agli sfruttatori, un sacrosanto diritto, perché “tu mangi terra e loro mangian pane”.


Ultimo aggiornamento: 20-09-2011