Tracklist
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01 |
Nuovo |
02 |
Lasciami
andare |
03 |
Lele |
04 |
Dimestichezze
d'amor |
05 |
Cordinali
saluti |
06 |
18
mila giorni |
07 |
Aquadub |
08 |
Sottosopra |
09 |
20
mila leghe (in fondo al mare) |
10 |
Di
niente, metà |
11 |
La
giostra |
Allora
GianMaria, la prima sensazione sentendo il tuo nuovo album è
stato un sottile senso di dispiacere, perché, conoscendo
i tuoi tempi lenti, mi toccherà aspettare anni per sentirne
uno nuovo. (Ridiamo)
Questo un
giornalista non dovrebbe dirlo! Dovrebbe attaccare con le critiche.
Tu però sei sempre stato parziale. E non necessariamente
è un male
E
poi tu stesso mi dicevi prima che spesso lentezza non è
sinonimo di qualità
E’
così. Io ho dei miei tempi lunghi per fare un album. Sono
passati cinque anni da quando ho fatto il disco precedente. E’
lo stesso meccanismo che uso per fare le canzoni. E’ una
specie di gioco crudele con me stesso. Faccio una canzone, la
finisco, non la scrivo né niente. E la lascio lì.
Lei periodicamente prova a riaffacciarsi, ma io niente. E lascio
passare il tempo. Resisto a ripetuti tentativi. Poi riprendo in
mano la chitarra e la riprovo. Alcune me le sono completamente
dimenticate. E penso che in fondo era il loro destino. Altre me
le ricordo ancora, ma sarebbe stato meglio se me le fossi dimenticate.
Altre ancora, la minor parte, me le ricordo e mi convincono. Sono
quelle che vanno in un disco.
Poi
questa volta c’era anche la difficoltà di dare un
seguito a “Da questa parte del mare”, un disco perfetto
…
Beh, quello
era stato un disco diverso. Ero partito per fare un concept album.
E’ un album che è partito con una scaletta e le canzoni
in ordine sequenziale. E ci ho messo un sacco di tempo. Intanto
pensavo con malinconia all’epoca di De André, quando
faceva un concept dietro l’altro in pochissimo tempo, pensando
a come ero inadeguato io. Però il tema dell’immigrazione,
allora e oggi ancora di più, era un tema centrale, a cui
credevo giusto dare una voce.
In
questo caso invece un filo comune non c’è
No, sono
canzoni di ordine diverso, dove affronto temi differenti. In “Nuovo”,
la canzone che apre l’album parlo ad esempio di mio figlio
piccolo. “Lasciami andare”
è la storia delle difficoltà negli addii definitivi
…
Ma
questi addii definitivi possono essere anche i funerali?
Certamente.
Anzi, è proprio di quello che si parla. Tu di che classe
sei?
Il
1953
Ecco, io
del 1958. Quando si arriva sui 48 anni, da lì in poi, bisogna
abituarsi all’idea che inizieranno a succedersi gli addii.
Avremo sempre più a che fare coi funerali. Questa canzone
voleva esprimere, da un lato la difficoltà, il sentirsi
inadeguati in certi momenti. Dall’altro raccontare anche,
con una visione laica, che non torneremo mai sui nostri passi.
In primo luogo in queste circostante, mi chiedo se, prima che
questa vita finisse, è stato fatto tutto il possibile per
viverla al meglio. Prima di utilizzare la dimensione del ricordo.
A
me è sembrato un album di legno e di ferro. Da un lato
una pietas umana, una partecipazione degna di Jannacci o, se vogliamo
di De André, tanta è la passione, la commozione
direi che le anima, dall’altra invece il graffio ironico
alla Dario Fo.
Ha azzeccato
appieno il senso dell’album. Quelle che tu definisci di
legno per me sono le canzoni dell’anima, quelle proprio
che ho vissuto dall’interno e che parlano di me e dei miei
percorsi più interni. Come “Dimestichezze
d’amor” o “Di niente,
metà” e dall’altro ci sono canzoni
invece oggettive, che cantano dei problemi del lavoro come “Cordiali
saluti” che ho tratto dal libro omonimo di
Andrea Bajani e che narra di uno scrittore di lettere di licenziamento
che cerca una pioggia di parole d'occasione per indorare la pillola.
oppure “Sottosopra” che
parla degli operai che per protesta si sono appollaiati su un
gru. O ancora di “Vitamia”,
questa specie di invocazione che ho scelto di dedicare a Erri
De Luca o ancora come “20 mila leghe (in fondo
al mare)” per stigmatizzare tutti questi particolarismo.
Ognuno sia libero, beninteso di pensarla come vuole, ma bisogna
combattere con questa abitudine di tagliare tutto quello che non
va. Non va bene e allora separiamo il nord dal sud, poi le singole
regioni, poi le città, quindi finiamo per non andare più
alle riunione di condominio e, per assurdo, a tagliarci un piede
se ci fa male. Qui nella metafora è vista con le acque
del mare, ma la situazione è la stessa. Poi c’è
il richiamo anche al mondo dei bambini, sia in questa canzone
che in “Aquadub”, oltre
che in “Nuovo”.
C’è
anche “La giostra” che canta di bambini.
“La
giostra” l’ho volutamente messa in fondo
all’album e la cantiamo tutto insieme, come a dire che anche
se la situazione è grigia o a volte nera è giusto
non perdere non dico l’ottimismo, ma almeno un sorriso.
Non sarà una risata che li seppellirà, però
un sorriso per prendere le distanze e prendersi un po’ meno
sul serio.
Hai
citato prima “Dimestichezze d’amor”. Un termine
desueto e geniale. Più in generale trovo tutto il tuo album
ricco di raffinatezze lessicali, molto curato.
Guarda, ci
ho pensato molto ed altro termine che “dimestichezze”
lì non poteva starci. Un’altra delle mie fissazioni
è mettermi a pensare se il termine scelto è proprio
il termine ultimo da utilizzare in una determinata circostanza
o se ce ne possono essere anche altri. E’ trovo che in quella
canzone, che parla di me, del mio rapporto ormai di lunga data,
di quella consuetudine che si instaura e che pure pretende ancora
tenerezza, passione e carezze: una dimestichezza d’amore.
Termine desueto sì, ma non geniale.
Però
è geniale utilizzarlo proprio lì, così come
vedo frasi in cui si tagliano gli articoli per non dare fastidio,
non increspare il ritmo della frase. Sembrano testi … tu
li scrivi assieme i testi e le musiche vero?
Di solito
sì. In questo caso è successo il contrario con “20
mila leghe (in fondo al mare)” che è
nata prima come testo, come storia che raccontavo tutte le sere
a mio figlio di sei anni. Pensavo, a un certo punto, di lasciarla
come brano recitato nell’album. Poi alla fine ho deciso
di mettere la musica. Ma solo alla fine.
A
proposito di musiche noto una certa evoluzione del suono, una
complessità maggiore del passato, anche nello scegliere
registri differenti.
Questo è
dovuto in buona parte anche al lungo lavoro di pre-produzione
che ho fatto con Claudio Dadone che di mestiere fa l’urologo,
ma che è un grande musicista e con mia moglie, Paola Farinetti.
Ci siamo presi la libertà di sperimentare molto con gli
arrangiamenti, prima di decidere che veste definitiva potesse
avere una canzone. Pensa che “20 mila leghe”
è anche diventata un rap a un certo punto! E a questa svolta
rock, che a me creava qualche difficoltà, mi ci hanno spinto
loro: Paola che è più giovane e Claudio che è
più vecchio di me ma che è un pazzo. Così
la chitarra elettrica in “Lasciami andare”
esprime proprio la difficoltà, l’umore acido che
si prova in situazione di addio definitivo, quasi un lacerarsi.
Poi è chiaro che c’è una differenza tra quando
una canzone nasce e quando arriva alla sua veste definitiva. L’arrangiamento
fa tantissima differenza.
Torniamo
al titolo: come mai “Vitamia” che non è nemmeno
il titolo di una canzone ma solo una frase all’interno di
“18mila giorni”? E’ poi, se vogliamo, questo
è forse il meno “vitatua” di tutti i tuoi album.
Vitamia è
un’esclamazione che diceva sempre Carmelo Bene e lo dice
anche mia moglie. Poi in questa invocazione che ho dedicato a
Erri ci stava bene. L’album doveva chiamarsi “18
mila giorni”, come lo spettacolo, ma poi ci
sarebbe stato il problema di capire quando si parlava dello spettacolo
e quando del disco. Poi, forse in fondo, dentro a quest’album
c’è proprio un po’ tutta la vita di questi
giorni, questi giorni avventurati e un po’ mesti. Il titolo
è un problema.
Ho
cercato di immaginarmi un ordine diverso per i brani, ma non ce
l’ho fatta. Alla fine credo che questo sia l’ordine
migliore.
Mi fa molto
piacere quello che dici, perché ci abbiamo pensato tanto.
L’abbiamo smontata e rifatta tante volte la scaletta. Perché
“Da questa parte del mare” nasceva
già dalla scaletta e i brani a cascata l’uno nell’altro.
Qui no e quindi bisognava trovare il modo migliore per farli stare
assieme e se mi dici che ci siamo riusciti ne provo proprio piacere.
Sì,
però dicono che tra due anni non esisteranno più
i cd. Vorrà dire che si va verso la fine dell’album
come concetto.
Guarda, me
lo chiedono spesso, ma il problema della piraterie non mi sembra
così grave. Ognuno fruisce la musica come vuole, basta
che ci sia interesse.
No,
ma non intendevo nel senso di come recuperare musica, ma di come
ascoltarla. Dal punto dell’ascolto. Se sono brani isolati
si rischia di perdere il senso dell’album.
In questo
senso sì, ma io penso che esisteranno sempre quelli che
non vorranno fermarsi alla superficie e decideranno di andare
un po’ più a fondo nell’analisi e scopriranno
ancora che esiste una scaletta, un senso, anche quando non è
un album a tema. La musica è sopravvissuta sempre, la canzone
ci fa compagnia da secoli e non tramonterà mai, è
la forma di comunicazione più diffusa …
…
e anche la più economica: basta una voce e una chitarra
…
E anche la
più economica. Credo molto nell’intelligenza dell’ascoltatore.
Così come esistono quelli che vanno a Mantova al Festivaletteratura
a sentire uno che parla del suo libro. O come questa voglia di
vera spiritualità che torna e che porta decine di persone
ad andare ad ascoltare Enzo Bianchi che parla. Un po’ di
sana resistenza umana. Io poi, non ho mai venduto grandi cifre,
ma ho un certo ascolto, anche internazionale e devo dirti che,
per quanto mi riguarda, i numeri continuano a essere in crescita.
Tema
di attualità: nel giro di pochi giorni hanno annunciato
il ritiro dall’attività Vasco Rossi, Teresa De Sio
e Ivano Fossati. Tu che ne pensi? E’ un tema che ti tocca?
Tu non pensi al ritiro?
Io penso
a fatica di essere parte di questo mondo. Sì, scrivo canzoni
e le canto e quindi a tutti gli effetti sono un cantautore, ma
solo in questo senso. Penso che quando un giorno smetterò
lo farò e basta senza fare annunci, perché vorrà
dire che non ho più nulla da dire. Certo che chi ha una
forte esposizione forse è in condizione diversa e deve
annunciarlo. Questi poi sono artisti che hanno lasciato una forte
traccia. Io dal mio canto, fino all’altro giorno facevo
il ferroviere ed è quello che sono rimasto.
Ho
ancora curiosità su un paio di brani. Il primo è
“Lele”. Cosa succede a Lele?
Lele si suicida.
Questa è una canzone vecchissima. L’ho scritta 35
anni fa. Allora nelle Langhe c’era ancora la tradizione
dei matrimoni combinati, tra la giovane figlia di immigrati e
qualche vecchio rudere delle nostre parti. Storie tristissime
e mi ricordo che, era il 1976, ho visto un trafiletto in cronaca,
su un giornale che adesso non esiste più, la Gazzetta del
Popolo di una mamma di due bambini che si è uccisa impiccandosi.
Non si chiamava Lele, ma non mi ricordo come. E il giornale quasi
la rimproverava: “come si fa a lasciare dei bambini piccoli”,
ma la situazione doveva essere intollerabile. L’ho ripresa
adesso perché è una situazione non dissimile a quella
di molte immigrate di ora, anche se invece che dal sud arrivano
da altri Paesi.
L’altra
canzone è “Di niente, metà”
Si parla
di separazione. E’ un mio tarlo. Mio padre e mia madre non
andavano d’accordo. Eppure sono rimasti assieme per tutta
la vita. E a noi figli, a me e ai miei fratelli è andato
bene così. C’era questo monolite che non veniva messo
in dubbio. Il matrimonio indissolubile. Noi poi abbiamo disatteso
a questo ordine, siamo usciti dal matrimonio, io stesso l’ho
fatto, però abbiamo abbattuto l’ordine precedente,
ma non siamo riusciti a sostituirlo con niente di permanente.
Di questo parla. Poi c’è il grandissimo intervento
di Gianluca Petrella e del suo trombone …
E
di Mario Brunello col suo violoncello in “Lele”. Strumenti
che parlano.
Sì,
abbiamo messo su un sestetto di base che ha funzionato a meraviglia.
Che
sono poi quelli che ti accompagneranno in tournée.
Il quartetto
base del tour è Nicola Magrini al basso o contrabbasso,
Philippe Garcia alla batteria, Giancarlo bianchetti alla chitarra.
Poi ci sono Roberto Cipelli al piano e Claudio Dadone alla chitarra
che hanno altro da fare, Cipelli col jazz, il Conservatorio e
Dadone che fa l’urologo, ma che ci raggiungeranno per suonare
dove possibile: a Torino, a Milano.
Sei
soddisfatto del disco nuovo?
Sì,
sono soddisfatto. Anche se per me è già vecchio.
Allora
è tempo di farne un altro!
Per carità!
Lasciamo passare gli anni …