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Le BiELLE INTERVISTE
GianMaria Testa : «Io, dal mio canto, fino all'altro giorno facevo il ferroviere ...»
di Giorgio Maimone


Su Bielle

Ascolti: "Di niente, metà"

Un libro: "Il giorno che passa e che consuma" di Isabella Maria Zoppi

Intervista su "Da questa parte del mare"

Intervista su "Solo"
Presentazione "Da questa parte del mare"
Gian Maria Testa in Concerto

La pagina di Gian Maria Testa



Tracklist

01 Nuovo
02

Lasciami andare

03 Lele
04 Dimestichezze d'amor
05 Cordinali saluti
06 18 mila giorni
07 Aquadub
08 Sottosopra
09 20 mila leghe (in fondo al mare)
10 Di niente, metà
11 La giostra
Allora GianMaria, la prima sensazione sentendo il tuo nuovo album è stato un sottile senso di dispiacere, perché, conoscendo i tuoi tempi lenti, mi toccherà aspettare anni per sentirne uno nuovo. (Ridiamo)

Questo un giornalista non dovrebbe dirlo! Dovrebbe attaccare con le critiche. Tu però sei sempre stato parziale. E non necessariamente è un male

E poi tu stesso mi dicevi prima che spesso lentezza non è sinonimo di qualità

E’ così. Io ho dei miei tempi lunghi per fare un album. Sono passati cinque anni da quando ho fatto il disco precedente. E’ lo stesso meccanismo che uso per fare le canzoni. E’ una specie di gioco crudele con me stesso. Faccio una canzone, la finisco, non la scrivo né niente. E la lascio lì. Lei periodicamente prova a riaffacciarsi, ma io niente. E lascio passare il tempo. Resisto a ripetuti tentativi. Poi riprendo in mano la chitarra e la riprovo. Alcune me le sono completamente dimenticate. E penso che in fondo era il loro destino. Altre me le ricordo ancora, ma sarebbe stato meglio se me le fossi dimenticate. Altre ancora, la minor parte, me le ricordo e mi convincono. Sono quelle che vanno in un disco.

Poi questa volta c’era anche la difficoltà di dare un seguito a “Da questa parte del mare”, un disco perfetto …

Beh, quello era stato un disco diverso. Ero partito per fare un concept album. E’ un album che è partito con una scaletta e le canzoni in ordine sequenziale. E ci ho messo un sacco di tempo. Intanto pensavo con malinconia all’epoca di De André, quando faceva un concept dietro l’altro in pochissimo tempo, pensando a come ero inadeguato io. Però il tema dell’immigrazione, allora e oggi ancora di più, era un tema centrale, a cui credevo giusto dare una voce.

In questo caso invece un filo comune non c’è

No, sono canzoni di ordine diverso, dove affronto temi differenti. In “Nuovo”, la canzone che apre l’album parlo ad esempio di mio figlio piccolo. “Lasciami andare” è la storia delle difficoltà negli addii definitivi …

Ma questi addii definitivi possono essere anche i funerali?

Certamente. Anzi, è proprio di quello che si parla. Tu di che classe sei?

Il 1953

Ecco, io del 1958. Quando si arriva sui 48 anni, da lì in poi, bisogna abituarsi all’idea che inizieranno a succedersi gli addii. Avremo sempre più a che fare coi funerali. Questa canzone voleva esprimere, da un lato la difficoltà, il sentirsi inadeguati in certi momenti. Dall’altro raccontare anche, con una visione laica, che non torneremo mai sui nostri passi. In primo luogo in queste circostante, mi chiedo se, prima che questa vita finisse, è stato fatto tutto il possibile per viverla al meglio. Prima di utilizzare la dimensione del ricordo.

A me è sembrato un album di legno e di ferro. Da un lato una pietas umana, una partecipazione degna di Jannacci o, se vogliamo di De André, tanta è la passione, la commozione direi che le anima, dall’altra invece il graffio ironico alla Dario Fo.

Ha azzeccato appieno il senso dell’album. Quelle che tu definisci di legno per me sono le canzoni dell’anima, quelle proprio che ho vissuto dall’interno e che parlano di me e dei miei percorsi più interni. Come “Dimestichezze d’amor” o “Di niente, metà” e dall’altro ci sono canzoni invece oggettive, che cantano dei problemi del lavoro come “Cordiali saluti” che ho tratto dal libro omonimo di Andrea Bajani e che narra di uno scrittore di lettere di licenziamento che cerca una pioggia di parole d'occasione per indorare la pillola. oppure “Sottosopra” che parla degli operai che per protesta si sono appollaiati su un gru. O ancora di “Vitamia”, questa specie di invocazione che ho scelto di dedicare a Erri De Luca o ancora come “20 mila leghe (in fondo al mare)” per stigmatizzare tutti questi particolarismo. Ognuno sia libero, beninteso di pensarla come vuole, ma bisogna combattere con questa abitudine di tagliare tutto quello che non va. Non va bene e allora separiamo il nord dal sud, poi le singole regioni, poi le città, quindi finiamo per non andare più alle riunione di condominio e, per assurdo, a tagliarci un piede se ci fa male. Qui nella metafora è vista con le acque del mare, ma la situazione è la stessa. Poi c’è il richiamo anche al mondo dei bambini, sia in questa canzone che in “Aquadub”, oltre che in “Nuovo”.

C’è anche “La giostra” che canta di bambini.

La giostra” l’ho volutamente messa in fondo all’album e la cantiamo tutto insieme, come a dire che anche se la situazione è grigia o a volte nera è giusto non perdere non dico l’ottimismo, ma almeno un sorriso. Non sarà una risata che li seppellirà, però un sorriso per prendere le distanze e prendersi un po’ meno sul serio.

Hai citato prima “Dimestichezze d’amor”. Un termine desueto e geniale. Più in generale trovo tutto il tuo album ricco di raffinatezze lessicali, molto curato.

Guarda, ci ho pensato molto ed altro termine che “dimestichezze” lì non poteva starci. Un’altra delle mie fissazioni è mettermi a pensare se il termine scelto è proprio il termine ultimo da utilizzare in una determinata circostanza o se ce ne possono essere anche altri. E’ trovo che in quella canzone, che parla di me, del mio rapporto ormai di lunga data, di quella consuetudine che si instaura e che pure pretende ancora tenerezza, passione e carezze: una dimestichezza d’amore. Termine desueto sì, ma non geniale.

Però è geniale utilizzarlo proprio lì, così come vedo frasi in cui si tagliano gli articoli per non dare fastidio, non increspare il ritmo della frase. Sembrano testi … tu li scrivi assieme i testi e le musiche vero?

Di solito sì. In questo caso è successo il contrario con “20 mila leghe (in fondo al mare)” che è nata prima come testo, come storia che raccontavo tutte le sere a mio figlio di sei anni. Pensavo, a un certo punto, di lasciarla come brano recitato nell’album. Poi alla fine ho deciso di mettere la musica. Ma solo alla fine.

A proposito di musiche noto una certa evoluzione del suono, una complessità maggiore del passato, anche nello scegliere registri differenti.

Questo è dovuto in buona parte anche al lungo lavoro di pre-produzione che ho fatto con Claudio Dadone che di mestiere fa l’urologo, ma che è un grande musicista e con mia moglie, Paola Farinetti. Ci siamo presi la libertà di sperimentare molto con gli arrangiamenti, prima di decidere che veste definitiva potesse avere una canzone. Pensa che “20 mila leghe” è anche diventata un rap a un certo punto! E a questa svolta rock, che a me creava qualche difficoltà, mi ci hanno spinto loro: Paola che è più giovane e Claudio che è più vecchio di me ma che è un pazzo. Così la chitarra elettrica in “Lasciami andare” esprime proprio la difficoltà, l’umore acido che si prova in situazione di addio definitivo, quasi un lacerarsi. Poi è chiaro che c’è una differenza tra quando una canzone nasce e quando arriva alla sua veste definitiva. L’arrangiamento fa tantissima differenza.

Torniamo al titolo: come mai “Vitamia” che non è nemmeno il titolo di una canzone ma solo una frase all’interno di “18mila giorni”? E’ poi, se vogliamo, questo è forse il meno “vitatua” di tutti i tuoi album.

Vitamia è un’esclamazione che diceva sempre Carmelo Bene e lo dice anche mia moglie. Poi in questa invocazione che ho dedicato a Erri ci stava bene. L’album doveva chiamarsi “18 mila giorni”, come lo spettacolo, ma poi ci sarebbe stato il problema di capire quando si parlava dello spettacolo e quando del disco. Poi, forse in fondo, dentro a quest’album c’è proprio un po’ tutta la vita di questi giorni, questi giorni avventurati e un po’ mesti. Il titolo è un problema.

Ho cercato di immaginarmi un ordine diverso per i brani, ma non ce l’ho fatta. Alla fine credo che questo sia l’ordine migliore.

Mi fa molto piacere quello che dici, perché ci abbiamo pensato tanto. L’abbiamo smontata e rifatta tante volte la scaletta. Perché “Da questa parte del mare” nasceva già dalla scaletta e i brani a cascata l’uno nell’altro. Qui no e quindi bisognava trovare il modo migliore per farli stare assieme e se mi dici che ci siamo riusciti ne provo proprio piacere.

Sì, però dicono che tra due anni non esisteranno più i cd. Vorrà dire che si va verso la fine dell’album come concetto.

Guarda, me lo chiedono spesso, ma il problema della piraterie non mi sembra così grave. Ognuno fruisce la musica come vuole, basta che ci sia interesse.

No, ma non intendevo nel senso di come recuperare musica, ma di come ascoltarla. Dal punto dell’ascolto. Se sono brani isolati si rischia di perdere il senso dell’album.

In questo senso sì, ma io penso che esisteranno sempre quelli che non vorranno fermarsi alla superficie e decideranno di andare un po’ più a fondo nell’analisi e scopriranno ancora che esiste una scaletta, un senso, anche quando non è un album a tema. La musica è sopravvissuta sempre, la canzone ci fa compagnia da secoli e non tramonterà mai, è la forma di comunicazione più diffusa …

… e anche la più economica: basta una voce e una chitarra …

E anche la più economica. Credo molto nell’intelligenza dell’ascoltatore. Così come esistono quelli che vanno a Mantova al Festivaletteratura a sentire uno che parla del suo libro. O come questa voglia di vera spiritualità che torna e che porta decine di persone ad andare ad ascoltare Enzo Bianchi che parla. Un po’ di sana resistenza umana. Io poi, non ho mai venduto grandi cifre, ma ho un certo ascolto, anche internazionale e devo dirti che, per quanto mi riguarda, i numeri continuano a essere in crescita.

Tema di attualità: nel giro di pochi giorni hanno annunciato il ritiro dall’attività Vasco Rossi, Teresa De Sio e Ivano Fossati. Tu che ne pensi? E’ un tema che ti tocca? Tu non pensi al ritiro?

Io penso a fatica di essere parte di questo mondo. Sì, scrivo canzoni e le canto e quindi a tutti gli effetti sono un cantautore, ma solo in questo senso. Penso che quando un giorno smetterò lo farò e basta senza fare annunci, perché vorrà dire che non ho più nulla da dire. Certo che chi ha una forte esposizione forse è in condizione diversa e deve annunciarlo. Questi poi sono artisti che hanno lasciato una forte traccia. Io dal mio canto, fino all’altro giorno facevo il ferroviere ed è quello che sono rimasto.

Ho ancora curiosità su un paio di brani. Il primo è “Lele”. Cosa succede a Lele?

Lele si suicida. Questa è una canzone vecchissima. L’ho scritta 35 anni fa. Allora nelle Langhe c’era ancora la tradizione dei matrimoni combinati, tra la giovane figlia di immigrati e qualche vecchio rudere delle nostre parti. Storie tristissime e mi ricordo che, era il 1976, ho visto un trafiletto in cronaca, su un giornale che adesso non esiste più, la Gazzetta del Popolo di una mamma di due bambini che si è uccisa impiccandosi. Non si chiamava Lele, ma non mi ricordo come. E il giornale quasi la rimproverava: “come si fa a lasciare dei bambini piccoli”, ma la situazione doveva essere intollerabile. L’ho ripresa adesso perché è una situazione non dissimile a quella di molte immigrate di ora, anche se invece che dal sud arrivano da altri Paesi.

L’altra canzone è “Di niente, metà”

Si parla di separazione. E’ un mio tarlo. Mio padre e mia madre non andavano d’accordo. Eppure sono rimasti assieme per tutta la vita. E a noi figli, a me e ai miei fratelli è andato bene così. C’era questo monolite che non veniva messo in dubbio. Il matrimonio indissolubile. Noi poi abbiamo disatteso a questo ordine, siamo usciti dal matrimonio, io stesso l’ho fatto, però abbiamo abbattuto l’ordine precedente, ma non siamo riusciti a sostituirlo con niente di permanente. Di questo parla. Poi c’è il grandissimo intervento di Gianluca Petrella e del suo trombone …

E di Mario Brunello col suo violoncello in “Lele”. Strumenti che parlano.

Sì, abbiamo messo su un sestetto di base che ha funzionato a meraviglia.

Che sono poi quelli che ti accompagneranno in tournée.

Il quartetto base del tour è Nicola Magrini al basso o contrabbasso, Philippe Garcia alla batteria, Giancarlo bianchetti alla chitarra. Poi ci sono Roberto Cipelli al piano e Claudio Dadone alla chitarra che hanno altro da fare, Cipelli col jazz, il Conservatorio e Dadone che fa l’urologo, ma che ci raggiungeranno per suonare dove possibile: a Torino, a Milano.

Sei soddisfatto del disco nuovo?

Sì, sono soddisfatto. Anche se per me è già vecchio.

Allora è tempo di farne un altro!

Per carità! Lasciamo passare gli anni …

Intervista del 06-10-2011