Ascolti collegati
Musicisti:
Zibba (voce, chitarra, piano, armonica);
Andrea “Bale” Balestrieri (batteria, voce e... fondatore
con Zibba della band) ; Fabio Biale (neolin, violino, mandolino,
vibrafono, cucchiai, voce, mandobanjo); Daniele “Drago”
Franchi (chitarre, voce); Lucas Bellotti (basso, voce); Stefano
Cecchi (basso).
Ospiti: Antonio “Rigo”
Righetti, Pippo Matino, Francesco Forni, Paolo Bonfanti, Bill
Abel, Raphael, Matteo Minchillo, Marco Ferrando, Manouche, Stefano
Civetta, Matteo Giacosa, Alberto Ghigliotto, La Banda Cardinal
Caliero di Varazze, Soft, Jobba, Mr.Puma, Mgz…
Con la produzione esecutiva
di Andrea e Beppe Vallarino (e grazie…) e artistica della
band, il disco è poi stato mixato all’Xland studio
di Zugliano dal mitico Sandro Franchin con il supporto tecnico
di Alberto Gaffuri, e masterizzato al Nautilus di Milano da Antonio
Baglio.
Grafica: Consuelo Ielo.
Fotografie: Alice Ellena
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Un felice
serraglio con musiche di ogni colore: dal blu del blues al rosso
del rock, dal fucsia color cantautore al verde brillante manouche,
dal giallo balcanico-kletzmer al marrone della musica popolare,
dal ghiaccio-elegante-ballata al noir nerofumo di una notte di jazz.
In questo felice serraglio vaga libera la voce, gran bella voce,
di Zibba, profonda, calda, adatta per il blues e per le confidenze
e gli strumenti di un manipolo di eroi dal nome Almalibre, dal cuore
grande e dalla passione intensa che secernono le notti d'inverno.
Fabio Biale, violino magico anche dei Luf, Bale il batterista, Drago
il chitarrista e Lucas il bassista. Shakerate forte e bevetelo freddo:
sarà la vostra cura estiva per il freddo.
Zibba è un disco a sorpresa che metti su un po'
per caso e non sai nemmeno da dove possa venire, né che musica
farà. In copertina piedi, non meglio identificati, non esprimono
indicazioni. I piedi si sa, stanno molto sulle loro. Ascolti il
primo brano "Malhamore" e, miracolo,
non ti senti ancora di malumore. Il ragazzo ci sa fare e canta di
amori mercenari o meno ("A tutti piace il sesso senza noie
/ senza voler pagarre delle troie"), di amori abbondanti
a cui è difficile sottrarsi o farne a meno: "Son
colpevole lo ammetto / di efferati crimini d'amor / Difficile stancarsi
della carne rosa / di dame e belle donne di ogni età / son
Mahlamore, pane e verità". E se il brano sa un
po' di circense felliniano, un po' di Tom Waits e molto di rock
piacevole e senza fronzoli è ancora meglio.
La voce di Zibba, che poi, come i suoi soci è di Genova (anzi
Varazze), è magnetica. Forte, roca, espressiva: ricorda Ligabue
e probabilmente ci gioca anche un poco sopra, ma l'esito è
garantito. Anche la mimesi raggiunge livelli interessanti. Ma le
storie e le occasioni portano lontano, godono di maggiore libertà.
Quella folle libertà che consente di muoversi nelle fasi
di mezzo della propria carriera (tra debutto e chissà-se-successo)
svariando e approfittando dei cambi binari. In effetti il secondo
brano (solo 1'22") è stato scritto alle quattro del
mattino di un giorno imprecisato è una ballata intimista
e raccolta e consta di solo 8 versi. "Nel domani a danzare
più liberi e il cuore / lì appeso per chi lo vorrà
/ buon Natale amore mio di un'ora / di ordine e gioia, caffè
e follia" ("Di ordine e gioia").
Facciamo ordine con un terzo pezzo che è un bel rock tirato:
"Una parola illumina", con tanto
di dedica a Manuel Agnelli e Nicolò Fabi. Il brano fila diretto
come un treno, con qualche passaggio a livello illuminato: "Ti
prego dormi a casa mia domenica. Che nevica" ... "Abbassa
un po' la musica! Così non riesco a scrivere / La cameriere
gentilmente mi sorride e serve una ltro alcolico / che questao notte
sto pensando a noi / che cosa siamo lo decideremo poi/. Sorridimi
/ non chiedo altro: e ti sorriderò"
"La saga di Antonio" è
una ballata popolare, con tanto di Banda al seguito (la Cardinal
Caliero di Varazze) e tanti Bum/ Bum/ Bum a scandire il ritmo di
filastrocca: Antonio ha "nove figli da sfamare / con nove
figlie a testa da sposare / e tutti i giorni tutti a disperare /
nessuno tra loro sa suonare". E intanto va avanti questo
ritmo da funerale da New Orleans: "Morirò ma non
so dove / mi piangeranno, ma saranno altrove". "Rovinandomi
di cuba alla mia età / scriverne si fa necessità".
"Ammami" è uno dei pezzi
forti dell'album. Una volta i pezzi forti stavano solo all'inizio
delle due facciate. Ora, coi cd e gli ascolti random, il panorama
è più sfaccettato (anche se in una sola facciata).
Si deve comunque iniziare forte e finire altrettanto bene, in genere
con un pezzo morbido da congedo (qui c'è: "Dove
vanno a riposare le api"), ma in mezzo si devono
assestare un paio di colpi da K.O., altrimenti manca qualcosa. E
che su "Ammami" Zibba e i suoi Almalibre ci puntino lo
si capisce anche dal fatto che è diventato un video. Siamo
in un film di Kusturica, tra gitani danzanti e amori che "non
si accordano come un fender-jazz". "Ammami, ammami,
ammami / siato io e te / e dopo il sesso voglio un cesso, una sigaretta
e un karkadè". E' una canzone d'amore, anche se
un po' anomala. Un gioiellino con sorprese.
"Dauntaun" è un blues
fin dal titolo, dal prologo in inglese, dalle prime note di chitarra
e dalla partecipazione di Paolo Bonfanti alla chitarra. Ottimo esempio
di cosa si può fare per fare blues credibile e italiano in
pieno 2010. Seguiamola con l'anima e con il cuore, seguiamo il ritmo
e la voce da lupo solitario e cerchiamo la strada per la fine tra
"ospiti non ospiti / avvinazzati presbiti /anziani macellai
/ impressionabili dal sangue e dal dauntaun". "Bon
Voyage" riprende climi musicali di "Ammami":
è il secondo tempo del film di Kusturica, con tanto di cori
gitani e escursioni tra Istanbul, la Giamaica ed Avignone.
"Scalinata Donegaro" è
un altro lento, quasi blues, quasi parlato: "E' vero che
le stelle hanno un sapore diverso? Domani è già oggi
e me lo sono perso? Metto le mani lungo i fianchi / e giuro a quell'uomo
che sono fiero di me / è lontano ma è così
vicino / è la foto con i miei di quando ero bambino".
Credetemi, Zibba ha cose da dire e da cantare e gli Almalibre da
suonarne. Come dimostra la successiva "L'odore
dei treni" che è la mia preferita del
mazzo. Brano cantautorale di quelli che si mettono di traverso,
che bisognerebbe riportare tutto. Memorabile la chiosa: "La
luna lo sa che morirà tra poche ore / per questo si nasconde",
ma anche tutto lo svolgimento che rappresenta una lunga serie di
insoddisfazioni: "Odio l'estrema edicauzione degli artisti
di strada / odio le passeggiate al sole, soprattutto in salita /
odio le radio che non passano mai nessuna mia canzone / Odio dover
vendere tutto anche se poi non serve a niente / vi chiedo scusa
ma oggi non mi sento bene". Canzone contro, canzone che
sa di essere contro: in ordine sparso ai milanesi in vacanza, alla
televisione che ha cambiato la gente, ai migliori amci cambiati
nel tempo, al fatto che tutti chiudano gli occhi, che delle ragioni
non frega niente a nessuno, che sia più importante restare
fuori che in disparte, che basti parlare e che nessuno ne ha voglia.
"Odio il disordine in testa in cui si perdono le note".
"Soffia leggero" è ballatona
morbida come si impone dopo un brano teso come il precedente, scandito
e duro, tagliato nella pietra. "Soffia leggero" è
belletto sulle gote dell'album, con una chitarra vibrata che fa
quasi Santo & Johnny, ma è solo una pausa, in cui "tu
dormi che mi viene una poesia", perché poi è
già tempo di "Rockenroll"
("Né droga, né sesso, né rockenroll /
niente droga, niente sesso, niente rock and roll"). Una parola
e il suo svolgimento. Divertente. Alla Edoardo Bennato. "Tutto
è casa mia" è invece il trionfo
della musica manouche, con gli strumenti scatenati a rincorrersi
tra le note con gran fretta e altrettanto divertimento. Tanto per
non negarci niente anche il pezzo successivo "Una
parte di te" dona un cambio di atmosfera, altro
lento assoluto. Ma non rilassatevi, perché con "Quattro
notti" siamo catapultati in una irish song che
sa altrettanto di Connemara, di Guinness e di Modena City Ramblers.
Una vera chicca. Canzone da cantare tra amici, di notti ubriache,
di notti e di vino, di letti disfatti coi sogni e i colori vicino.
Il finale, come già detto, è una tenera ballata di
addio: "Dove vanno a riposare le api".
Sono sessanta minuti e rotti di musica varia, un caravanserraglio,
un gradevole bordello, un piacevole mischione, baciato dal talento
e dalla fortuna. Non sono debuttati ZIbba e gli Almalibre: il loro
primo disco risale al 2003: "L'ultimo giorno",
il successivo al 2007 "Senza smettere di fare rumore".
Nel 2010 ci hanno regalato "Una cura per il freddo".
Vogliamo seguirla. Il freddo passa.
Zibba
Almalibre
"Una cura per il freddo"
Volume / Altoparlante/ Universal - 2010
Nei negozi di dischi o
per mail
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