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BiELLE Eventi

 

Francesco Guccini
"Non piangere, è il giorno del tuo compleanno"

"70 anni dopo"
Giugno che sei maturità dell'anno
di Giorgio Maimone
Francesco Guccini compie 70 anni. E' il più grande dei cantautori in attività. Se non altro come altezza (anche se la lotta con De Gregori è all'ultimo centimentro: 1,92 contro 1,91 parrebbe). Paolo Conte e Gino Paoli sono più grandi come età (1937 e 1934). Fa effetto sapere che Guccini vola oltre i 70. E che fa dischi dal 1966, che fanno la bellezza di 44 anni. Fa meno effetto se si pensa che ha inciso solo 17 album e 128 canzoni: una media di 7,5 canzoni ad album, record mondiale rovesciato. E, tranne "La locomotiva" non è che siano poi lunghissime. Guccini cantautore avaro? Parsimonioso. Ma è anche uno che canta poche, pochissime canzoni di altri. Oggi poi è giorno di celebrazioni e di gioia, oggi è giorno di festa per il maestrone di Pavana a cui è giusto lasciar chiudere: "Giugno che sei maturità dell'anno / di te ringrazio Dio / in un tuo giorno sotto il sole caldo / ci sono nato io".
Il dotto che si è bevuto il Mar Caspio
di Leon Ravasi
Ognuno ha un Guccini da ricordare (in attesa del prossimo disco, che dovrebbe contenere una "Canzone di notte n.4"). Secondo Umberto Eco è il più dotto, secondo Tondelli è un poeta conviviale come Alceo e Orazio, per Pieraccioni è "la Madonna di Loreto", Claudio Lolli si sente "intimidito" quando suona alla sua porta, per Vecchioni è "un cantadubbio", per Stefano Benni uno che "si è bevuto un mar Caspio di vino, dimostrando che l'alcol non è affatto contrario all'arte". E lui che dice? Potrebbe bastare questa frase di una sua canzone? E' datata, ma è sempre buona: "Si alza sempre lenta come un tempo l'alba magica in collina / ma non provo più quando la guardo quello che provavo prima / Ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio / il giorno è sempre un po' più oscuro / sarà forse perchè è storia, sarà forse perchè invecchio... (segue)

Quel sorriso dolce-amaro

di Claudio Lolli
"Stagioni" l'ha chiamato, questo suo ultimo (nuovo) disco. Mi piacciono gli album che si riescono ad intitolare con una sola parola, mi dà l'idea che ci sia, dietro, un'intenzione precisa, chiara. Oggi la stagione a Bologna non è un granché: i due lunghissimi autobus che mi portano da Casalecchio a Via Paolo Fabbri 43 (ma la targhetta col numero civico è rigorosamente assente) sono spruzzati di pioggia, il cielo è gonfio di vento, l'umidità fa dolere le antiche, giovanili, ferite. Mi sono anche preparato una scaletta, ma subito dopo aver suonato il campanello, la accartoccio e la butto per strada. L'emozione fa fare di queste stupidaggini. Siamo amici da decenni, lo conosco bene, ma suonare alla sua porta mi emoziona ancora. Glielo dico sempre quando viene ad aprire e lui ci ride su. Mi offre del vino rosso, chiesto e avuto come compenso per la partecipazione al film di Ligabue, ed esita sul telecomando: Francesco vorrebbe notizie da Raitre sul nuovo governo di centrosinistra, il governo Amato, che si dovrebbe insediare oggi. Ma parlano solo di poveri bambini massacrati, e così spegne, ci sediamo uno di fronte all'altro, ci guardiamo. - Centrosinistra? - chiedo. -"Sempre meglio di Berlusconi" - risponde. Francesco è sempre stato grande (lui dice "alto" per evitare equivoci), grande e largo; ultimamente è anche un po' più pieno del solito. (segue)

Il cantadubbio, il cantapensiero

di Roberto Vecchioni
Si scrive Guccini, si legge locomotiva, ma paradossalmente “La locomotiva” è la canzone meno gucciniana fra tutte, una perla isolata e magnifica, tutta sua, ma lontana parecchio dalle forme ricorrenti, dal procedere per esclusione di certezze, dall’individuar lampi occasionali di verità. Probabilmente è “La locomotiva” ad aver convinto Guccini di essere, come dice, un “cantastorie”, cosa che non è. Guccini è un “cantapensiero”, è un “cantadubbio”, il più alto, il più vero, il più sparpagliato e sincero che si conosca. Il non colto, il vagheggiato, la fuga del tempo, la labilità dell’amore, ma pure il senso del porto, il luogo natale, così come la provvisorietà e l’incommensurabile dolcezza di alcuni attimi di vita sono alla base del suo concetto di “medesimezza umana” (come diceva Gramsci), per il quale è sintomatica la “canzone quasi d’amore”. La “medesimezza” è un’uguaglianza esistenziale fra gli uomini che si coglie solo a cercarla, a pensarla: non appare e non te la senti addosso se svicoli o ti perdi negli effetti e nella funzione del quotidiano. Più viva, più forte, più determinante si configura in chi è spiazzato, o senza collare, o diverso, o stanco, o deluso, per chi insomma è “pecora nera”, non nel senso amorale del termine, ma decentralizzato, fuori dal coro delle ovvietà. (segue)

 

   
Cronaca di un'auto-biografia annunciata
di Giorgio Maimone
Che tristezza! Non sanno più cosa inventarsi! Per vendere la Mondadori lancia "l'autobiografia di Francesco Guccini". La compro il giorno stesso dell'uscita. Inizio a leggere. Mi piace. Proseguo. Trovo incongruenze e ripetizioni. Proseguo ancora e nasce il dubbio. Infine inciampo su una frase e arriva la certezza: "Ormai, ogni tanto, riciclo. E non è detto che non lo faccia anche questa volta, ma pazienza". Ebbene sì: "Non so che viso avesse" - 225 pagine - euro 18 - Mondadori - Prima edizione febbraio 2010 non è "La storia della mia vita" come da sottotitolo, ma un centone di scritti gucciniani di epoca diversa e le ultime 108 pagine non sono nemmeno scritte da lui, ma da Alberto Bertoni e nell'ultima pagina si ringraziano Elena Draghi e Francesco Andreani per le ricerche d'archvio. Ma perché non dirlo? (segue)
Il vecchio e i bambini: in concerto
di Leon Ravasi
"Le ciliegie in maggio, le susine in giugno, i fichi in settembre, i cachi in ottobre e i concerti di Guccini. La neve a Natale, la nebbia di novembre, il solleone d’agosto e i concerti di Guccini. L’amore delle mamme, la passione dei sensi, il dolore di chi resta e i concerti di Guccini. Tutto il mondo gira per cicli: le stagioni, le tappe della vita, le maturazioni dei frutti, persino le biciclette. E poi ci sono i concerti di Guccini. Che sono immutabili. Costanti nel tempo. Cerimonie laiche di indefettibile bellezza. Non c’è niente da fare: l’inizio è “Canzone per un’amica”, la fine è “La Locomotiva”, l’ossatura del concerto è l’ultimo disco uscito, il penultimo è regolarmente dimenticato e poi ci sono un po’ di chicche di ripescaggi che variano di volta in volta, lasciando quasi sempre fuori”Stanze di vita quotidiana”. E così è stato anche questa volta. (segue)

Tutti i precedenti dei canta-scrittori: da Guccini e Manfredi in poi
di Giorgio Maimone

"Croniche epafaniche" (Feltrinelli) di Francesco Guccini data 1989; "Vacca di un cane" (sempre Feltrinelli) è del 1993. "Macaronì" (Mondadori), il primo romanzo scritto a quattro mani con Loriano Machiavelli è del 1997. Seguono poi "Un disco del Platters" (Mondadori - 1998), "Questo sangue che impasta la terra" (Mondadori - 2001), "Lo spirito e altri briganti" (Mondadori - 2002) e "Cittanova blues" del solo Guccini (Einaudi - 2003). Guccini è ormai più scrittore che cantautore ed è stato forse quello che ha dato la scintilla al movimento. Ma prima di lui era già passato dalle canzoni alla letteratura Gianfranco Manfredi (l'autore di "Ma chi ha detto che non c'è?") che nel 1983 aveva pubblicato "Magia rossa" per Feltrinelli, seguita due anni dopo da "Cromantica" e via via da altri 8 libri. Senza dimenticare i tre libri di Claudio Lolli: "L'inseguitore Peter H." (il lavoro editoriale) nel 1984, "Giochi crudeli" (Transeuropa e poi Feltrinelli) nel 1992 e "Nei sogni degli altri" (Marsilio) nel 1995. Nel 2004 uscirà poi il suo libro di poesie "Rumore rosa" (Stampa alternativa). ""Un destino ridicolo" di Fabrizio De André è del 1996. "Fuori e dentro il borgo" di Luciano Ligabue è del 1997. Nel 1990 esce il giallo di Ivan Della Mea "Il sasso dentro" (Interno giallo). Giorgio Gaber ha scritto (con Luporini) solo testi teatrali: a partire da "Il teatro di evocazione" (Bompiani - 1994) a "Il grigio" (Einaudi - 2003). I libri di Luigi Maieron ("Oreprisint", poesie e "La neve di Anna", romanzo) sono successivi al 2000 come quelli di Van De Sfroos ("Le parole sognate dai pesci" del 2003 e "Il mio nome è Herbert Fanucci" del 2005, entrambi di Bompiani). Però il suo libro di poesie "Perdonato dalle lucertole" è del 1997, precedente al periodo del successo. Roberto Vecchioni ha scritto sei libri per Einaudi, il primo "Viaggi del tempo immobile" è del 1996. Nada è uscita con un libro di poesie ("Le mie madri") nel 2003 e con un (brutto) romanzo autobiografico "("Il mio cuore umano", entrambi di Fazi) nel 2008. Bruno Lauzi è uscito con 4 libri di poesie a partire dal 1994 e due romanzi nel 2005 e 2006 ("Il caso del pompelmo levigato" - Einaudi e "Tanto domani mi sveglio" - Gammarò). Massimo Zamboni ha scritto 5 libri, da solo o con altri, a partire dal 1997. Alieni dalla scrittura Jannacci e Paolo Conte. Ivano Fossati allinea un unico piccolo peccato: "Il giullare" (Edizioni Millelire) del 1991. L'esordio narrativo di Sergio Endrigo, "Quanto mi dai se mi sparo" (Stampa Alternativa) è del 1995. Da segnalare anche il libro di Rudy Marra "L'utente potrebbe avere il terminale spento". Nel 2009 esordio anche per Tricarico con "Semplicemente ho dimenticato un elefante nel taschino".

Un vecchio amico
Quando 32 anni fa un fiorista sanremese ti ha chiesto di partecipare ad un nuovo festival, cosa hai pensato?
Letteralmente ho pensato: “Ma che rottura di coglioni andare fin là! Appena mi telefona dico che ho degli impegni e non ci vado.”
Il maledetto mi ha telefonato la mattina, quando andavo a letto molto tardi: mi ero addormentato relativamente da poco e non ho avuto il coraggio di dire no. Mi sono trovato benissimo i primi anni: un’atmosfera molto bella, diversa. Quindi sono stato contento di andare. Poi Amilcare era una persona deliziosa.
Cosa è cambiato in seguito?

Molto. Eravamo in meno, eravamo sempre insieme. Il primo anno saremo stati in sette o otto, tutti con una gran voglia di suonare, una gran voglia di divertirci, di stare assieme, di bere vino… Vino per altro, quell’anno, pessimo! [ride]
(segue)

Pistoni di Lambrusco col sole raso la piana
Di modenese, dico sempre, mi sono rimaste dentro due cose fondamentali: l’accento, che però si va via via attenuando, ed un’altra che fortunatamente non si attenua, l’amore per il Lambrusco. Sarebbe meglio dire i Lambruschi, perché, minimo, sono tre, ma questa è roba da tecnici, io qui parlo da bevitore volgare, di quelli che non si intendono di cru o bouquet ma che amano avere sempre, quando mangiano, un sano "pistone" sulla tovaglia. Già, il "pistone". Era anticamente la misura vinaria da due litri, ma negli anni ‘50 significava semplicemente una bottiglia di vino, soprattutto Lambrusco. La parola viene probabilmente da pistone nel senso di stantuffo, pestello, ma non ha importanza la storia linguistica. (segue)

Il cantascrittor glorioso: in piazza a Mantova
Un incontro dove il protagonista è Francesco Guccini (o almeno uno dei protagonisti) non poteva non suscitare l’interesse delle folle. L’ampio spazio scenografico di Piazza Castello è riempito in ogni ordine di posti. Molti restano in piedi. Guccini domina la scena gigioneggiando, ma Macchiavelli regge bene il gioco. “Ho sempre detto, fin da piccolo, che avrei fatto lo scrittore o il giornalista. Ho fatto anche il giornalista (e se non avessi incontrato Alfio Cantarella dell’Equipe ‘84 forse lo farei ancora), ma da grande volevo fare lo scrittore. Ma non di gialli! In un giallo si deve sempre uccidere qualcuno (e nel primo giallo ne abbiamo “uccisi” 16 o 17!). Avevo però un’idea: la storia di un prete trovato morto, dalle mie parti, sotto la ruota di un mulino, in un periodo dell’anno in cui i fossi sono peraltro abbastanza asciutti. È vero, lui era ubriaco, perché se anche non indulgeva ai piaceri della carne indulgeva a quelli dello “spirito”, nel senso dell’alcol, ma, insomma, restava il mistero”. "L’altra idea che mi era venuta era che il commissario che indagava su questo delitto, scoprisse il bandolo della matassa tramite una mossa del gioco delle carte. Proposi la storia a Loriano che mi rispose: “falla tu!”. Ma un romanzo giallo che parlava di temi come l’emigrazione italiana a fine ‘800 (uguale ad adesso: sbarchi notturni, buttati giù dalle navi al largo e chi sopravviveva poi doveva cavarsela. C’erano già i sans-papier, gli immigrati clandestini, ma forse tutto questo oggi non si può dire), un romanzo giallo siffatto, dicevano, non poteva interessare nessuno. Finché Franchini, il nostro editor della Mondadori ci disse: “Ma perché non lo fate insieme?”. E così è stato”.
(segue)

Un paio di inediti: "Su in collina"

"Il testamento del pagliaccio"

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