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Le BiELLE RECENSIONI
Dente: "L'amore non è bello"
Giuseppe Peveri, per brevità chiamato Dente
di Giorgio Maimone


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Musicisti:
Dente: voce, chitarra, percussioni, pianoforte
Andrea Cipelli: painoforte, krumar, basso
Gianluca Gambini: batteria

Fiati su 1,3,7,11 scritti e diretti dal maestro Enrico Gabrielli
Raffaele Kholer: tromba
Luciano Macchia: trombone
Enrico Gabrielli: sax e flauto traverso
Synth su 1,7 suonato meravigliosamente da Gianluca De Robertis
Coro su 12: Magnifici Angioletti, diretti da Mariafrancesca Poli

Testi e musiche: Giuseppe Peveri per brevità chiamato Dente

Arrangiamenti: Dente
Produzione artistica Dente
Produzione esecutiva: Francesco Brezzi/Dente
Progetto grafici: Dente

Tracklist

01. La presunta santità di Irene
02. Incubo
03. A me piace lei
04. Voce piccolina
05. La più grande che ci sia
06. Buon appetito
07. Sole
08. Parlando di lei a te
09. Quel mazzolino
10. Finalmente
11. Sempre uguale a mai
12. Vieni a vivere
13. Solo andata


E' uscito il 14 febbraio, San Valentino, e parla d'amore, fin dal titolo. Pochi strumenti e pochissima aria professionale. Da gettare? Tutt'altro. Da conservare e fare conoscere. Dente ha genialità che trasuda dai pori. Dopo Battisti e un po' più in là di Rino Gaetano, ma forse più semplicemente Dente (ormai al terzo disco conosciuto. ma pare ci sia un misconosciuto "Anice in bocca" del 2006 nella sua discografia). Giuseppe Peveri, per brevità chiamato Dente (e non artista) ha ormai un suo stile molto ben definito, identificabile e peculiare. E' un finto naif (finto?) che arriva al cuore.

Sotto questo aspetto "L'amore non è bello" aggiunge poco al quadro già conosciuto. Se non una maggior ricchezza orchestrale (qualche fiato, qualche spunto di accompagnamento), ma l'impostazione vocale è quella, lo stile nelle canzoni quello, la scrittura quella: insomma, in parole povere: una genialata!

Dente non è Bugo, non è Tricarico, né Folco Orselli, non è nessun altro che sè stesso. Un personaggio che disegna piccoli quadri molto semplici, quasi elimentari eppure così vicini all'esperienza di noi tutti, da essere immediatamente riconoscibile. Ogni tanto qualche canzone può sembrare già sentita. Non è così. E' piuttosto un frugare dentro la bisaccia comune dove tutti noi abbiamo appoggiato le nostre esistenze. Ed esprimere con estrema chiarezza di accenti e semplicità del porgere, la propria tranche de vie.

In questo quadro quasi stupisce la lunga intro musicale de "La presunta santità di Irene": 3'52" di canzone, affidata solo a 11 righe di testo (con le andate a capo), dopo 1'50" di sola musica e prima d una coda di altri 52" di musica: totalino 1'10" di cantato. "Incubo" è invece una piccola bossa che scorre via tranquilla. "A me piace lei" è un brano importante: "mi piacciono le ragazze con le doppie punte /le macchine senza multe / mi piacciono quei lavori che si suda tanto / mi piace anche la pauisa pranzo / mi piacciono le risate e le stelle filanti / i piedi nudi in mezzo ai campi / ma su tutto e su tutti / a me piace lei e lei piace a me". Una semplice canzone d'amore, che suona limpida alla Jovanotti più ispirato, sulla base di una piacevole ballata, molto intensa.

"Voce piccolina" è ancora più delicata e fragile, un po' alle De Gregori quando è in vena di dolcezze. "Bambola bambolina affittami il tuo cuore lo pago come vuoi / di una parola gentile scrivimi una canzone senza fine ... bombola gasolina scoppiami nel cuore fallo quando vuoi". E poi di colpo lo stop e la canzone è finita.

"Buon appetito" è soavemente, ma ferocemente sarcastica: "Sapessi che felicità mi dà / l'idea di non sapere più / quando cammini dove vai / quando dormi con chi lo fai / Ho messo le mani in tasca / ed ho sputato sulla tavola / buon appetito amore mio". Un amore finito, con risentimento, ma con dolcezza. Ricapitolando le tappe comuni, fino a cercare di cancellare persino il ricordo: "Vorrei non sapere più nemmeno dove abiti".

E a seguire una canzone di 52" secondi "La più grande che ci sia": "Faccio la cazzata più grande che ci sia / mi fido di te". "Quel mazzolino" è una divertente storia d'amore al tempo dell'etilometro, mentre "Sole" e "Parlando di lei a te" parlano di amori finiti o comunque non belli. "Sempre uguale a mai" è leggermente più mossa del solito, "Finalmente" è Dente al 100%, ma troppo simile ad altre. Ecco, questo può essere il limite maggiore di Dente. Se non piace, non piace dall'inizio alla fine, dal primo brano all'ultimo, perché di sorprese non ce ne sono. L'evoluzione sonora tra un brano e l'altro è fatta di accenni, di alzate di sopracciglia, di battere di alti di farfalle.


"Vieni a vivere", neanche a farlo apposta, ha qualche piccola variazione, come un coro nel finale e un ritornello un po' più marcato e insinuante. Ma non turbatevi: "Solo andata" chiude il disco ancora in perfetto stile Dente. Buon disco? Pessimo disco? Impossibile dirlo. E' un disco di Dente, senza prova di smentita. A me piace. E non saprei dirvi nemmeno esattamente perché. Forse per la delicatezza del porgere, forse per quella sottile noia che lo percorre tutto e fa tanto giornata di pioggia (c'è chi ama le giornate di pioggia). Io amo Dente. E non sono neanche il solo.

Dente
"L'amore non è bello"
Ghost Record-Venus -2009
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Ultimo aggiornamento: 21-02-2009
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