Ascolti collegati
Piccola Banda Ikona
Stari Most |
Milagro
Acustico
I storie o cafè di lu furestiero novo |
CantoDiscanto
Malmediterraneo |
Mauro Pagani
Creuza de ma 2004 |
Daniele Sepe
Jurnateri |
Eugenio Bennato
Sponda sud |
Musicisti:
Piccola banda Ikona:
Stefano Saletti (bouzouki, oud, baglama, electric
and classic guitars, back vocals, cajon, balafon, steel drums,
riq, bendir, piano, programming)
Barbara Eramo: Vocals
Ramya: Vocals
M ario Rivera: fretted and fretless bass, programming sampling
and electronics
Gabriele Coen: clarinet, sax, flute, duduk
Carlo Cossu: violin
Leo Cesari: drums
Desiré Infascelli: accordion
Ospiti: Amer Ben Abdel Nyoumen (darbouka in 2,3,6,7)
Anad "Hagi" Mishra (shakers in 7,10)
Giuseppe Tortora (cello in 5,8)
Alessandro Gwis (piano in 5)
Ominostanco (remix in 11)
Testi e musiche: Stefano Saletti (1, 3, 4, 9), Stefano Saletti/Gabriele
Coen (2, 11), Stefano Saletti/Barbara Eramo (5), Stefano Saletti/Mario
RIvera (6), Stefano Saletti/ Mario Rivera / Barbara Eramo (8),
Domenico Modugno /Enrica Bonaccorti (10), Rodgers/Hammerstein
(7)
Produzione artistica: Stefano Saletti e Mario Riverai
Produzione esecutiva: Erasmo Treglia e Pietro Carfi
Progetto grafico:Guido Gentile
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Tracklist
01 - Elee
02 - Marea cu sarea
03 - Anpalagan
04 - Famu chiovere sali
05 - Fuori di me
06 - Sabir
07 - My favorite things
08 - Opsada
09 - Benda benda
10 - Amara terra mia
11 - Marea cu sarea remix
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"Noi ablar Sabir. C'era una lingua che univa i popoli del Mediterraneo.
Era il Sabir, la lingua franca che marinai, pirati, pescatori, commercianti,
armatori parlavano nei porti per riuscire a capirsi fra loro. Da
Genova a Tangeri, da Salonicco a Istanbul, da Marsiglia ad Algeri,
da Valencia a Palermo fino ai primi decenni del '900 si è
parlato questa sorta di esperanto marinaro, formatosi a poco a poco,
prendendo in prestito termini dallo spagnolo, dall'italiano, dal
francese, dall'arabo. A noi piace questo linguaggio. Piace mischiari
suoni e parole. Noi suoniamo Sabir. Noi cantiamo Sabir". Così
sta scritto nella prima pagina del libretto e questa è già
la prima recensione possibile di questo bellissimo disco.
"Marea cu
sarea", titolo del disco e di una canzone (in
due versioni) contenuta nell'album, è un proverbio romeno:
significa letteralmente promettere il mare con il sale, cioè
promettere e non mantenere. A uno che di nome fa Saletti, il sale
non poteva lasciare indifferente (e infatti c'è una seconda
canzone, siciliana che si intitola "Famu chiovere
sali"), ma la Piccola Banda Ikona, capitanata
dallo stesso Saletti promette e mantiene molto bene e dopo lo splendido
"Stari Most" di qualche anno fa, tra
Gli imperdibili di Bielle
nel 2005.
I dischi bisognerebbe ascoltarli sempre con attenzione, ma non bisogna
trascurare il fatto che, a volte, alcuni album resistono alla "prova
distrazione". Li mettete su di sottofono, magari a volume basso
e vi mettete a fare altro. Le condizioni peggiori per l'ascolto.
Se, nonostante questo, un disco attira la vostra attenzione vuol
dire che è un grande disco. La situazione peggiore per ascoltare
musica è facendo l'amore. Insomma, l'attenzione va di qua
o va di là. Se capita che l'attenzione venga suddivisa, i
casi sono due: o la partner dovrebbe fare una revisione delle sue
arti erogene. Oppure, ancora, il disco è maledettamente buono.
"Marea cu sarea" passa agevolmente le
prove tortura. E' uno di quegli ottimi esempi di letteratura musicale,
dove si ritiene che il territorio di confine per la musica mediterranea
si estena a tutto il bacino del mare interno: da Napoli a Tunisi,
dalla Spagna alla Grecia. Ne possiamo citare tanti di gruppi che
stanno su queste stesse sponde: dai Cantodiscanto, a Daniele Sepe
(nel suo versante etnico), ai Rua Port Alba, ai Milagro acustico,
fino ad Eugenio Bennato o alla Nova compagnia di canto popolare
(e chiedo scusa alla decina di gruppi che, in questo istante, non
mi ricordo: gli Indaco, Raffaello Simeoni, i Tabulé, fino
a Mauro Pagani nei suoi lavori da Creuza a quelli con Massimo Ranieri).
Anche in questa precisa enclave ci sono due tendenze: quelli come
Eugenio Bennato che pensano che sia inutile appoggiarsi agli strumenti
di altre tradizioni, tanto è ricca la nostra e quelli invece,
Pagani in testa, che ritengono che la strumentazione etnica renda
meglio il suono etnico e di koiné culturali. La piccola banda
Ikona, e soprattutto Stefano Saletti, fanno parte di questo tipo
di cultura.
Quindi molte percussioni, il duduk tra i fiati, alternato al clarinetto
e al sax, oud e chitarre a giocarsela corda su corda. E tante piccole
spezie strumentali a dare più sapore al cous cous musicale
che si allarga sempre anche verso oriente, le cultura dell'est europeo,
i balcani, ma senza suscitare quell'ansia di già sentito
che a volte ammazza operazioni di questo genere.
Forse per questo uno dei brani migliori è "Famu
chiovere sali" che è un originale, ispirato
nel testo a un canto tradizionale siciliano. Altri punti di assoluto
livello sono "Opsada", dall'incidere
solenne e ispirato a un film girato dalla regista bosniaca Vesna
Ljubic, testimone in diretta della battaglia di Sarajevo (eccoci
sui Balcani! Ma niente cartoline. Sono lacrime salse.
Deliziosa è anche la versione di "My favorite
Things" che, per quanto ne so, oltre a essere
la sigla Fahrenait su RadioTre, dovrebbe essere un evergreen della
musica americana. Un brano solo strumentale che fruga negli angoli
riposti del cuore, li purifica e li rinfranca. "Amara
terra mia" di Domenico Modugno è indirizzata
a diventare un classico della musica popolare italiana: a memoria,
oltre a questa versione, mi sovvengono quella dei Radiodervish e
quella di Rita Botto, ma sono sicuro che ne esistono altre ancora.
Questa versione non colpisce subito, si insinua piano piano, ma
alla fine lascia il segno anch'essa. Brevemente le altre: "Elee"
ha il testo in aramaico, "Anpalagan"
racconta la storia i un ragazzo tamil, affondato nel Canale di Sicilia
nel Natale del 1996. "Sabir"
prende lo spunto da un tema tradizionale ebraico yemenita del XVII
secolo. "Benda benda" è
tratto da un "villancico", un genere di canzone spagnola
scritta in lingua franca nel XVI secolo. La benda era l'offerta
dei pellegrini nel medioevo (da lì "pre-benda"?).
Un album dunque che mischia suoni e parole dai quattro angoli del
Mediterraneo e che cerca forme proprie per raccontare una storia
comune. Un album che ti scava lentamente sotto pelle per ricavarsi
il suo angolo sicuro di tranquillo ascolto. Che non cerca di stupire.
Che racconta. E scusate se è poco.
Piccola Banda Ikona
"Marea cu salea"
Finisterre - 2008
In qualche negozio di dischi, ai concerti o sul
sito
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