È
uscito un tuo nuovo disco, "Donna Rita", che in realtà
è un doppio: uno è proprio Donna Rita e l’altro
è Etnea. Quest’ultimo è la riedizione di tuoi
lavori precedenti. Quanto precedenti?
Si parla
dell’89. Sotto la spinta di un amico, il mio bassista, siamo
andati in sala di registrazione, abbiamo provato a fare dei pezzi.
Abbiamo registrato dei provini ai quali poi abbiamo aggiunto altri
pezzi: uno è una registrazione dal vivo fatta a Ferrara
. Abbiamo raccattato un po’ di brani qua e là e abbiamo
fatto un cd da vendere poi durante i concerti. In realtà
erano provini in cerca di autore, in cerca di produttore, veramente.
Ha avuto una piccola distribuzione dalla Ird, che è un’ottima
casa di distribuzione, poi, finito quel periodo è scomparso
dagli scaffali. Qualche anno dopo è stato soppiantato da
Stranizza d’amuri che è proprio tutta un’altra
cosa, nasce con un vero produttore e con una vera distribuzione.
Quindi quel primo progetto è stato messo nel cassetto e
adesso è venuto il momento di tirarlo fuori. Una scelta
del produttore. Dal mio punto di vista ho detto: perché
no? E così abbiamo il disco doppio!
E’
stato rifatto rispetto alla prima versione?
No, è
esattamente quello con pregi e difetti: batterie elettroniche
e tutto il resto. C’era anche più gusto per la sperimentazione,
perché, insomma, non dovevamo guardare a niente. E’
un po’ una jungla, ma è un caro ricordo.
Parliamo
invece di Donna Rita, disco nuovo ufficiale. Rispetto a Stranizza
d’amuri si muove sulla stessa lunghezza d’onda?
Diciamo che
io ci trovo variazioni. Di Stranizza d’amuri, che poi è
stato il mio primo vero disco, non so quale sia stata la ricetta.
Certo che è entrato molto nel cuore della gente. Rifare
la stessa cosa, non avendo la ricetta, perché sono quelle
alchimie che si formano da sole, quella specie di Magaria, non
avrei saputo farlo. Sarebbe stato uno sforzo che nona avrebbe
portato allo stesso risultato. E allora tanto vale provare a essere
se stessi. Nel momento in cui mi sono provata a fare questo disco
ero questa persona. Con voglia di fare altro, di parlare sempre
sì dell’amore, ma anche di tematiche più scottanti:
parlo di corna, che è un tema caldo dappertutto, ma in
Sicilia ancora di più. E parlo sia del tradimento subito
da una donna e poi anche di quello fatto. Ho cercato di fare le
due parti. Ma tutto ritornando, se vogliamo, al clima di Etnea,
dove c’è pout-pourri di stili, si passa da uno stile
all’altro. Un po’ tutto quello che mi apparteneva
prima di iniziare a cantare in siciliano, quando lavoravo come
cantante di jazz o affrontavo gli standard brasiliani, l’esistenzialismo
francese. Facevo tante cose. E un po’ questo essere versatile,
questo saltare di palo in frasca sono aspetti che mi appartengono.
Non mi sento di stare sempre su un’unica onda. Anche se
in mezzo c’è stato Stranizza d’amuri, dove
il produttore si è un po’ imposto, ha tenuto a freno
la mia versatilità, Donna Rita, come dice il titolo, è
più mio, mi sono sentita più libera e non ho fatto
che riprendere quello che è nella mia natura. Un po’
caos. Ma dal caos nascono delle belle cose. Anche qui qualche
fiore è nato.
Ci
sono tanti pezzi scritti da te.
Infatti,
Donna Rita anche per questo perché ci ho messo più
che mai la faccia. E’ quindi molto diverso da Stranizza
d’amuri, anche se rimane il fatto che continuo a cantare
in siciliano. Il tono di fondo è forse meno affascinante,
però più leggero.
Eppure
anche qua c’è il richiamo a Domenico Modugno come
c’era nel disco precedente: la era Pisci spada e qui Amara
terra mia.
Sì
infatti, un pezzo in italiano. Di tema siciliano, ma cantato in
italiano. Ne avrei voluto mettere anche altri, come ad esempio
“Tre somari e tre briganti” che mi piace molto, ma
mi mancano Ciccio Ingrassia e Franco Franchi. Da qualche parte
li troverò. (ridiamo)
Sei
anche stata in giro con lo spettacolo con Carmen Consoli e i Lautari.
Una bella esperienza?
Sicuramente
è una bella esperienza, perché ci troviamo tutti
artisti siciliani che amiamo la Sicilia in un unico intervento.
E’ una cosa che lega abbastanza e serve a rendere molto
variopinto il discorso sulla nostra terra, perché ognuno
poi è molto diverso dall’altro. Anche se in questa
situazione si vede meno perché con fatto che i Laudari
accompagnano sia Carmen che Alfio Antico che me, la sostanza musicale
è sempre quella. Se avessi dovuto partecipare col mio gruppo
si sarebbe sentito di più l’elemento jazzistico che
invece qui non viene valorizzato. Credo però che all’interno
dello spettacolo ci voglia una certa unità.
Di
questo disco a cosa tieni di più? C’è una
canzone che ti rappresenta più di altre?
Sì.
E’ quella che si intitola Sulu pe’ ttia che è
quella più autobiografica di tutte. Il testo parla di me,
non c’è niente di tradizionale, sono io, il mio cuore,
i miei sentimenti. L’ho anche musicata e quindi me la sento
come la prima vera e autentica tutta mia e nella tradizione dei
miei sentimenti. Anche in Ritango, dove ho usato le espressioni
della tradizione, circa i sentimenti feriti, ho messo insieme
spezzoni esistenti per costruire qualcosa che non c’è
e parlare dei miei sentimenti feriti, utilizzando le espressioni
tipiche della tradizione, ma come se stessi parlando proprio di
me. E anche in Ti amai, il tradimento al contrario, la prima e
l’ultima strofa sono del Martoglio, tratte da un poemetto,
ma in mezzo ho ricucito con altre espressioni su questo mondo
ferito che sono mie.
Un
paio di ore di musica da ascoltarsi con Donna Rita. Meno male
che ogni tanto arrivano questi regali.