Una Brigata di memoria, di cultura, di utopie,
di speranze, d'informazione, dell'uomo.

 














 
Le BiELLE Interviste
Paolo Benvegnù e le labbra
Un piccolo sunto della non-indifferenza
di Giorgio Maimone



Ascolti collegati


Benvegnù, Magoni, altri
Cime domestiche

Paolo
Benvegnù
Piccoli fragilissimi film

Mauro Ermanno Giovanardi
Cuore a nudo

Giuseppe Righini
Spettri sospetti

Baustelle
Amen

John De Leo
Vago svanendo

Allora Paolo un disco che si è fatto attendere quattro anni, ma quattro anni in cui sono successe un sacco di cose.

Ah decisamente sì. Ho fatto molte produzioni, tra cui anche quella di un gruppo molto conclamato come i Perturbazione. E io quando produco per altri mi impegno più che se lavorassi in proprio. E’ una “malattia” da cui dovrò cercare di guarire. Ho fatto almeno una dozzina di dischi, poi un po’ di lavori teatrali …

E poi Cime domestiche

Che è un disco che mi ha appassionato tanto. E poi con tre mostri sacri come Ares Tavolazzi, Petra Magoni e Monica Demuru… E’ un sogno realizzato, per uno che parte dall’indie rock.

Tra l’altro è un disco molto interessante, ma ne parliamo dopo. Veniamo a ora: hai fatto prima un Ep, che è andato esaurito in pochissimo tempo …

Un po’ come me! Che sono esaurito in questi ultimi tempi (ride)

E quindi Le labbra che è entrato subito in classifica anche se al 94esimo posto.

Devo dire che da un lato me ne fregio e dall’altro tolgo la vocale che sembra di troppo. Però sono contento per il lavoro del gruppo. Lo sai che li chiamo I Paolo Benvegnù. E nel gruppo ci sono anche i due produttori del gruppo che sono Andrea Franchi, che suona la batteria ma anche altre tantissime cose e Antonio Gagliano che in realtà è un violoncellista ma che si presta nel disco a fare di tutto. E ad arricchire brani che io metto in maniera minimale sul tavolo. Perciò sono felice per loro.

Perciò è un album non di un solista, ma di un gruppo. Però le canzoni sono tutte tue.

Un po’ il fatto di chiamarsi Paolo Benvegnù è un po’ perché le canzoni in maniera primigenia sono scritte da me. Poi è anche perché almeno in questo caso non posso sciogliermi da me stesso. Con gli Scisma nel nome c’era già un manifesto programmatico. Invece dai Paolo Benvegnù sciogliermi sarebbe difficile (Ridiamo). Anche se non sarebbe male se mi sciogliessi da me stesso. Almeno in questo saremmo degli iniziatori.

Veniamo al disco: disco pregno. Di grosso impegno, di significato. Come mai nel libretto non ci sono i testi, invece indispensabili per gustarsi un lavoro così.

Proprio per non dare tanta importanza alla parola. Per quanto sia un disco di parola. Nella realtà il mio intento, anche se in realtà sono sempre intenti troppo concettuali, l’intento era: dico tutte queste parole nella speranza che, chiamando il disco Le labbra, da qui in poi incominci a diventare gesti e sensazioni. Poi in realtà il libretto coi testi lo stiamo facendo, scaricabile da internet. Anche in un formato vicino a quello che è il formato del libretto del disco stesso.

Il disco viene presentato con uno scritto tuo indipendente. Un’aggiunta. Un regalo. Un in più.

Da un lato può essere un regalo se qualcuno lo ritiene all’altezza di essere un regalo (ride). In realtà è un piccolo sunto dell’amore e odio oppure dell’amore. Sicuramente della non-indifferenza. In questo racconto c’è una visione particolare dell’amore, una visione talmente ottimista da risultare quasi cinica e grottesca. Una donna chiude un uomo in una cella frigorifera e questo uomo la ama comunque, a prescindere. Perché l’amore assoluto, per come la vedo io, è incondizionato. E questo porta a essere ottimisti, a vivere le cose in una prospettiva ottimista che non è ovviamente la realtà, ma aiuta a vivere meglio.

Continuano a essere piccolissimi film, tanto per citare il tuo disco precedente, però è anche un idsco con un’area concettuale comune, giusto?

Decisamente sì. In questo caso mi viene da pensare che “Suggestionabili” che era un brano di Piccoli fragilissimi film dove c’era una presa di posizione di se stessi abbastanza evidente (“Io sono l’unica cosa che mi rimane era la frase più importante di quel pezzo”) si sia un po’ esteso a tutto il disco, come se "Le labbra" fosse un po’ l’estensione e la proiezione nel tempo di quel brano. In realtà in questo disco si parla di in quanti modi si possa distruggere o vedere i rapporti interpersonali, ma poi sul finale arriva un momento di costruzione ed è questo che francamente vorrei vivere nella mia vita e lo sto vivendo in questo momento. Ahimé, è concettuale perché è quello che mi è successo in quest’ultimo anno.

E’ un po’ una cronaca poetica e romanzata

Sì. Metaforizzata.

Musicalmente come lo collocheresti?

Non saprei. Mi sembra paradossalmente che non sia tanto diversa dalle cose del Battisti post ’74. Semanticamente la musica segue spesso le parole ed è quello che era particolare di quel periodo di Battisti. E’ perfino banale dire che lo amo molto. Che forse per alcuni aspetti è l’unica cosa della musica italiana paragonabile ai Beatles per la musica mondiale. E questa è stata però francamente una scelta che è venuta a posteriori. Un po’ come dice Fellini: i film si fanno un po’ da soli. Scegli il direttore della fotografia, scegli i caratteristi, scegli gli attori e poi a questo punto quasi per volontà delle maestranze il film viene quasi da solo. La stessa cosa è successa a noi. Avevamo 30 giorni per fare questo disco ed è venuto fuori così. Avessimo avuto magari 40 giorni veniva diverso.

Mi ha colpito molta attenzione nell’uso della voce, una bella importanza alla voce, che spesso la raddoppi.

Sì, nella realtà sentivamo … rientra nel novero dei problemi tecnici. Abbiamo registrato tutto nel nostro studiolo e mixato ance lì, attraverso un computer. E il problema era che a volte perdevamo la voce e come ai vecchi tempi del 4 piste dicevamo: “staoerdendo la voce. Cosa faccio? Beh, la raddoppio” (ridiamo)

Una scelta stilistica “casuale”. E io pensavo più a Phil Spector, il muro di suono …

Phil Spector di muri e di case che circondano l’abitacolo dell’uomo stesso ne sa pure troppo. E’ stato molto naturale per noi arrivare a questo tipo di risultato che peraltro adesso mi ha soddisfatto. Ora è un po’ che non sento il disco, perché quando un disco è finito tendo a staccarmene. Però lì per lì siamo stati contenti. E anche contenti di non avere tantissimo tempo per ripensarci. Come dire “sull’impronta”. Non mi era mai capitato.

Tu hai citato una canzone del disco precedente. In questo disco c’è una canzone in particolare che si avvicina di più a quello che volevi fare? Che ti rappresenta?

E’ strano perché in questo caso è la prima volta che mi capita di sentire un disco come se fosse una canzone unica. Questo è un disco così, non riesco a pensare un brano più importante degli altri. Parlo del flusso di scrittura e di ascolto. Poi nella realtà posso dire quello che mi succede adesso suonando i pezzi dal vivo e posso dire che il pezzo in cui mi sento più coinvolto è “L’amore santo e blasfemo” che è un brano che parla proprio del fatto di sentire l’amore incondizionato. Qualsiasi cosa accada quell’amore rimane sano e puro, anche se dall’altra parte l’amore può essere insano e impuro, perché comunque riesce a capire dell’altro le pulsioni e i desideri. Comprendere nel vero senso della parola. Non soltanto mentale. Come la terra comprende un lago, ecco.

Mentre stavi registrando il disco e anche ora, qual è la musica che ascolti?

Essenzialmente jazz. Non riesco ad ascoltare canzoni. Specie quando lavoro. Ho bisogno di staccare e i grandi del jazz mi danno questa possibilità.

Sul web
My Space
Intervista rilasciata il 28-02-2008
HOME