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Ribellarsi
è giusto, ricordarsene è meglio
di
Giorgio Maimone
Daniele Sepe ci ha più che preparato a un'offerta
mai uguale a se stessa. Di disco in disco cambia il clima sonoro,
cambia il tema, cambiano le coordinate in gioco, cambiano anche
le formazioni (tranne i fedelissimi con cui suona da una vita).
Quello che non cambia è la voglia di incidere dischi quando
si ha qualcosa da dire. E questa volta qualcosa da dire c'è.
Daniele ha scelto un periodo della nostra storia recente, quello
attorno al '77, ha indagato sulla voglia di rimozione che ha preso
tutti dopo di allora ed è tornato alle radici del movimento
che voleva tutto e subito, che credeva nella rivoluzione qui e ora.
Dopo la sconfitta della lotta armata, sul movimento del '77 è
calatIl silenzio. Si è gettato il bambino con l'acqua sporca,
sostiene Sepe, fino ad arrivare a "una pace terrificante"
tanto per citare De André.
Contro
questa marmellata di sentimenti, contro il "volemose bene",
contro il far finta che niente sia successo, Daniele si schiera.
Con il disco e ancora di più con le esplicite note introduttive.
Potremmo parlare a lungo delle "affinità e divergenze
tra il compagno Sepe e noi", ma potrebbe anche essere un dibattito
sterile. Potremmo anche citare De André quando, in un inedito
riportato su “Volammo
davvero” dice: “La ribellione è individuale,
dove la componente maggiore è forse l’esibizionismo”.
Concordiamo tuttavia sul fatto che la rimozione non sia mai un buon
processo, soprattutto se si ha voglia di capire. Concordiamo sul
fatto che una forma di liquidazionismo accidioso ha chiuso di fatto
quella stagione. Differiamo nel vedere i fiori e il piombo.
Ma
soprattutto concordiamo nel ritenere questa musica la giusta colonna
sonora del periodo. Siamo di fronte a un disco fatto come dio comanda.
Daniele ha costruito una sorta di sceneggiata, cantata, suonata
e recitata, quasi in presa diretta e composta in una forma di assemblea
collettiva. Pur firmando il disco come Daniele Sepe und
Rote Jazz Fraktion l’album è indiscutibilmente
rock e soprattutto rock di stagione. Di Jazz non c’è
quasi traccia. Se si parla del '77 e lo si rappresenta con inserti
di radiogiornali e di musica d’epoca ("una sorta
di radio libera su cd"), la musica di fondo non può
che essere del buon rock. Ma non il progressive. Proprio quel rock
sudato che sa di blues e che dalle buone lezioni dei primi Rolling
Stones è salito per li rami, fino a innervare ottime band
anche nel nostro Paese.
La
sceneggiata però è il riferimento principale: l'album
inizia col suono di una sveglia (che sia simbolico anche questo?
Che Daniele voglia dirci che è ora di aprire gli occhi?)
e con un insieme di voci arruffate che emergono dal sonno e ci catapulta
subito nel cuore della vicenda è la storia di un personaggio
che, finito in coma dopo una manifestazione perché picchiato
dai celerini, si risveglia nel mondo di oggi per aver ascoltato
Staying alive dei Bee Gees. Alla domanda
come trova il mondo di ora, lui che era entrato in coma negli anni
di piombo risponde: "una merda. Una vera merda!" Dice
tutto. Come non essere del tutto d'accordo con lui?
I
titoli dei brani sono indicativi di un percorso musicale che si
snoda negli anni '70: da “Peaches in Regalia”
di Frank Zappa (da Hot Rats) a echi di Led Zeppelin e Deep
Purple in “Come in coma”,
al richiamo alle atmosfere ariose dei musical alla Hair in “Let
your past live”. Micidiale, nel senso di imperdibile,
il bluessone all'italiana di "Guzzi Falcone",
con un grande Mario Insenga dei Blue Staff alla
voce: l’inciso ci ricorda "tutti quei colori ai pantaloni
/ alle facce, ai camicioni. / Il nero dei nostri vestiti / ancora
in questi 2000 / è il lutto per tutti i colori degli anni
'70". In “Zut/a/traverso” un
altra frase memorabile e ammonitoria: "Chi ha avuto ha
avuto ha avuto / chi ha dato ha dato ha dato /scurdammoce o' futuro
/ che o' passato nun ce sta!".
"Napoli
Centrale", nel prefinale, è una sorta
di omaggio a James Senese e al gruppo omonimo, alla stagione del
free jazz alla napoletana. Brodo di coltura (o di cultura in questo
caso?) da cui poi esce lo stesso Sepe, 46enne e quindi all'epoca
dei fatti 16enne. Di assoluto spessore la conclusiva “Bianco
e nero” (“Hasta siempre”,
che la segue ha quasi la funzione del bis) che ha un unico difetto,
tecnico. Sepe non ha separato le tracce delle "Sintonie"
(e non sinfonie! Apprezzate il gioco di parole) dall'inizio della
canzone. Volendo ripetere l’ascolto di “Bianco
e nero”, magnifica ballata dal testo agghiacciante,
ci tocca sentire più e più volte l'altrettanto agghiacciante,
ma per tutti altri motivi, ultima telefonata delle Brigate Rosse
con l’annuncio che il corpo di Aldo Moro era stato abbandonato
nel bagagliaio di una Renault 4 in via Caetani. Troppo pesante.
Insomma,
si può essere d'accordo o no. Anzi si "deve" non
essere d'accordo se non lo si è: ribellarsi è giusto
di fronte a qualsiasi ricetta preconfezionata, a qualsiasi teoria
non suffragata. Ma il lavoro di Daniele Sepe è la cosa migliore
che mi sia capitato di sentire in quest'anno ancora giovane. Poche
palle: è imperdibile!
Daniele
Sepe und Rote Jazz Fraktion
"Suonarne 1 x educarne 100"
Manifesto - 2007
Nei negozi di dischi
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