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Dolce
prendere, dolce dare: Priska. E si fa luce
di
Moka
Le informazioni su Priska bisogna guadagnarsele, "Se
sarai brava - mi diceva mio padre - ti darò qualche indizio
per capire chi è Priska, come si chiama davvero, perchè
canta sia in francese che in friulano che in italiano". Ma
erano le classiche storie che raccontano i papà. Quasi sempre
belle, quasi mai vere. Tant'è che mi è venuto il dubbio
che anche Priska, proprio essendo così bella la sua musica,
non fosse vera. Chessò? Un parto del computer accoppiatosi
con Lino Straulino? Un sogno degli anni '70 tornato d'attualità?
Laura Nyro che esce a prendere un té con Jaqui McShee?
Non ne sapevamo
niente di Priska. Avevamo solo in mano un cd consegnato a Bielle
da un Lino Straulino completamente afono che non aveva potuto dire
altro che "ascolta". Abbiamo ascoltato. E goduto. Poi
sul web abbiamo trovato qualcosa: poco, pochissimo, ma sufficiente:
"Nata in Francia nel 76, si trasferisce in Friuli con la famiglia
nel 1982, scegliendo di vivere nella Venzone del post-terremoto.
Da sempre appassionata di musica, inizia sin da bambina a comporre
melodie che solo ultimamente hanno trovato collocazione nella forma
di canzone. Attualmente svolge intensa attività di insegnamento
musicale, in collaborazione con scuole, associazioni e privatamente.
Iscritta al Conservatorio di Udine, frequenta il 10° anno di
chitarra classica".
Esiste anche
uno spazio Priska su myspace
in cui si possono ascoltare tre brani, ma in quanto a notizie si
cava ben poco. Possiamo tuttavia provare a parlarne: la prima sensazione,
straniante, è che sembra di compiere un viaggio nel tempo.
Le canzoni di Priska vengono non da questo tempo, ma da un remoto
altrove sia geografico che cronologico.
Il tempo di
Priska (che forse si chiama Benelli di cognome) è quello
delle fate. Ma non immaginatevi sdolcinature e sbavature melodiche.
Siamo nell'ambito del folk revival, lo stesso in cui fondamentalmente
si muove Straulino che, per quanto mascherato sotto l'acrostico
Lsd ha firmato i testi ed ha suonato nel disco gli strumenti indicati
con "gr, b, h, k, p" (gr è senz'altro chitarra.
B banjo? O bouzouki? H potrebbe essere l'armonica. K le tastiere
e p il pianoforte? Ma vado a naso assoluto, come in tutta questa
recensione. Se aggiungiamo che non conosco nemmeno il francese,
nè il friulano l'abbiamo detta tutta!).
Il mistero è la cifra con cui Priska si presenta: il bellissimo
libretto interno, per quanto ricco di foto, non ne contiene nemmeno
una sua, che peraltro anche nelle immagini su myspace fa di tutto
per celarsi. Mi chiederete a questo punto cos'è il Papavoine.
Non ne ho idea! Su internet dice che è il 33.914esimo cognome
più diffuso di Francia. Papavoine fu anche un assassino di
bambini del 1824 che venne in segutio garrotato. Insomma di furore
doveva averne, ma non c'è niente di più lontano di
questo dal clima del disco. Sui vocabolari francesi la parola non
risulta. E io sono sempre più nelle canne! Non conosco l'autrice,
non so cosa significhi il titolo ... l'unica è affidarsi
alle suggestioni. E quelle sono magnifiche: oltre a un pugno di
testi in italiano di smeraldina bellezza!
Ma vogliamo fare le cose con ordine? Prima ascoltatevi i due pezzi
che proponiamo qua sotto (Dans
le bureau des objects perdus e Jesus
Mari) e poi continuiamo a parlarne con maggiore cognizione di
causa. Delicati arpeggi di chitarra acustica, voci doppiate, controcanto
acustico e un clima musicale che svaria del primo Donovan fino a
Bert Jansch, passando per le corde di famose chanteuse degli anni
'70: dalla Nico dei Velvet Underground a Cat Power. Ma la dedica
sul suo sito è "alla più grande di tutte: Ida
Presti". Così ho imparato che è esistita in Francia
una Ida Presti, scomparsa nel 1967 a 43 anni per un incidente, che
è stata la più grande chitarrista classica della storia.
Se il riferimento è quello, l'allieva, bisogna ammetterlo
se la cava alla grande. E' un disco eminentemente chitarristico,
che raggiunge il suo apice e il suo splendore nella west-coastiana
"Dans le bureau des object perdus",
oltre 5 minuti di ipnotici raga di chitarra acustica su cui su posa
come un manto una voce di morbidezza incantata e di soavi sospensioni.
Il testo parla (per quanto ne colgo) di quattro personaggi: Martin
il clown che ha perso il sorriso, Pierre il frate ha perso il senno,
Antoine l'avvocato ha smarrito la giustizia e Therese ha perso un
figlio in guerra. Tutti quanti vanno a cercare le loro perdite nell'ufficio
degli oggetti smarriti.
"Sans amour" invece, dall'ammaliante
tema di violino, sembra discendere dritta dalle sezioni di "Si
vif" di Luigi Maieron: "niente donne, nè
fiori / niente donne nè fiori, niente sole / Senza amore
/ anche il mio cuore muore lentamente" (traduzione mia).
"Treni", dal delicato incedere
di armonica, vira verso il blues, ma sempre suonato in punta di
dita, mentre "Canzone senza r"
è sì un esercizio di stile, da parte di Straulino,
che, memore della "r" arrotata di Priska le disegna una
strombotto privo di r, ma è anche una signora canzone ricca
di ispirazione (uso tutto le "r" io nella recensione!).
Ma sono solo alcuni degli spunti colti qua e là, assolutamente
a caso per il corpo del disco che si rivela sodo ed omogeno. Niente
cellulite musicale. Niente orpelli. Niente di inutile di di ridondante.
Pochi strumenti, al posto giusto nel momento giusto, e tanta voglia
di esprimersi e raccontare. Priska è il primo gioiello che
ha brillato nel fondo del mio setaccio in questo inizio 2007 e me
lo voglio portare al dito finché mi gira. Per imprigionare,
con la sua bellezza, il sole.
Priska
"Le fureur du papavoine"
Nota - 2007
Solo su internet
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