Roberto
Vecchioni, La rabbia e le stelle affiorano in "Di Rabbia e
di stelle". Nuovo disco, anzi grande disco. Si può dire
che è un ritorno?
Sì,.
È un bel ritorno. È un ritorno meditato, perché
sono stato tre anni senza fare un disco per poi pensarlo così.
Anche per vedere più chiaramente, rapportarci un po’
di più alla realtà. Soprattutto nei due album precedenti
ero stato un po’ astratto. Forse troppo letterario. Qui
è più vivo. Ci sono cose di tutti i giorni.
E’
più la rabbia o sono più le stelle?
Molta più
rabbia, ma anche molta più tristezza, più disfacimento,
più abbandono, più sconforto. Sarà un po’
l’età, un po’ che le ho provate tutte e le
ho viste quasi tutte, ma una situazione del genere io proprio
non l’ho mai vista, né per l’Italia né
per l’umanità. E non è solo un fatto politico.
E’ purtroppo un fatto umano la decadenza naturale. Naturale
come la vecchiaia e anche culturale perché stiamo andando
sempre più verso traguardi sbagliati. Forse per rimediare
alla vecchiaia. Comunque la rabbia c’è. Le stelle
sono confuse, molto confuse e anche molto appannate. Però
ogni tanto qualcuna brilla e fa piacere.
Un
lampo della notte
Un lampo
di pascoliana memoria o anche di gucciniana memoria (ride).
Però
è una rabbia che sembra sapere di voglia di reazione, una
rabbia che incita a reagire.
Sì,
assolutamente sì. Non è una rabbia inconsulta, una
rabbia che è violenza o spinge a controbattere il mondo
con una reazione oltre misura. Una rabbia non potente, ma che
ha la misura della poca saggezza e della poca intelligenza che
è rimasta a poche persone. Un tentativo di alleanza con
queste persone per far qualcosa. Non sono tanti purtroppo.
Ma
è consolante sapere che c’è ancora gente che
ha voglia di parlare, di spingere, di incitare a fare qualcosa.
E’
un brutto periodo da questo punto di vista. Perché tutti
fanno i poeti di se stessi, tantissimo anche. E vanno a cercare
cose stranissime, Invece i problemi ce li abbiamo sotto gli occhi
e sono tre o quattro cose: cioè la distruzione del pianeta
e non lo sto dicendo alla Celentano. Però tra l’altro
mi va pure bene come lo dice Celentano (ridiamo). Nemmeno alla
Grillo. È molto più piccolo il mio messaggio che
però vuole essere questo: i ragazzi, i giovani, che sono
stati spaesati completamente perché non sanno più
a chi votarsi, non hanno più speranze, continuano a perdere
la loro affettività (e ne hanno tanta) in disegni piccini,
mediocri. E parlo per gli italiani in particolare. Perché
questo è il problema: siamo noi. Siamo noi storicamente
un popolo che a quelle qualità meravigliose che possediamo
accoppiamo difetti orripilanti. Non ne venivamo mai fuori. L’irresponsabilità.
La colpa che la dai sempre agli altri, la meschinità. Essere
forti coi deboli e deboli coi forti. E poi questi mass media che
in Italia sono imperanti. Il gradiente dell’ignoranza non
si dissipa in Italia. E c’è chi va a nozze su queste
cose.
Quale
le sembra la canzone che meglio rappresenta all’interno
del disco questo stato di cose?
Questa situazione
è evidente in “Questi fantasmi”,
mentre la situazione dei giovani è rappresentata in “Comici
spaventati guerrieri”.
Dove
i giovani, immagino, siano sia i suoi figli che i tanti allievi
di questi anni di insegnamento.
Sì.
Ma anche gli altri, quelli che non sono stati allievi miei, perché
sono tutti simili. Non è che cambi molto. Ci sono variazioni
minime. Hanno reazioni diverse, ma tutte inconsulte. Anche il
loro tipo di rabbia. Si fanno del male da soli.
Poi
c’è questo Mond Lader in dialetto milanese. Per un
cantautore che ha portato San Siro nel firmamento della canzone
d’autore italiana, l’approccio al dialetto era quasi
naturale.
Sono contento
di quello, perché c’è una strana storia dietro
questa canzone. L’avevo già fatta in italiano ma
non mi soddisfaceva. Si chiamava “Domani”. E infatti
domani è rimasto nella canzone. Poi un giorno passando
davanti a un salumiere ho visto una scritta fuori sul muro e c’era
scritto “Chest’ chi l’è un mond lader”.
E mi sono detto “ma mond lader ha la stessa metrica di domani,
ma perché non la faccio in milanese?” È partito
da lì.. (ridiamo). Sono sempre così gli spunti!
Anche con “Neanche se piangi in cinese”
lo spunto è venuto da un museo a Milano dove c’era
una cinesina con delle cerniere sugli occhi che piangeva.
Anche
questo è un modo di dire molto milanese.
Eh sì,
in effetti è molto milanese.
In
Mond lader c’è molto del mondo di Enzo Jannacci…
Sì,
è molto jannaccesca, c’è l’operaio che
mi ricorda tanto Vincenzina davanti alla fabbrica. E poi la sua
incazzatura! È bello scrivere di una incazzatura che è
più politica di un’incazzatura politica. Senza tirar
fuori slogan o demagogizzare la situazione. Lui è un figlio
di meridionali che vive a Milano ed esprime la sua rabbia. Beh,
poi la canzone la conoscete anche voi…
“Il
violinista sul tetto” altra bellissima canzone, resa molto
bene dal duetto con la De Sio. È la storia di una diversità?
Una fiaba popolare? Una metafora sul divenire. Lascia delle porte
aperte.
Io ritengo
che questo sia il pezzo più originale del disco. Proprio
perché è una canzone popolare italiana e la volevo
fare da tanto tempo. Tipo “Mamma mia dammi cento lire”.
È un autoritratto, un autoritratto molto forte. Che poi
si espande agli altri: tutto quello che volevi fare da piccolo
e poi non riesci a fare. E poi finisci per buttare i tuoi sogni
al cielo. Come per tutti noi. Io, anche se sembra, nonostante
uno possa dire “Ma come Vecchioni? Lei vende i dischi, è
conosciuto …” Nessuno è mai contento della
sua vita, di quel che ha. Ognuno pensa sempre che avrebbe potuto
avere di più. Oppure che questi sogni avrebbe potuto trasformarli
meglio, che la gente lo avrebbe ascoltato di più. Succede
a tutti che a un certo punto finisce a suonare il violino per
le stelle, perché gli altri non lo ascoltano. Sono usciti
almeno 20 o 30 dischi di grandissimi personaggi in questo momento
in Italia: da Ligabue, a Celentano, a Venditti. Tutti sono usciti!
Giorgia, la Mannoia, tutto il mondo! Gente che esce ancora con
70 mila copie di uscita. Io esco con 30 mila, che non sono nemmeno
tante. Eppure sono decimo in classifica. Quindi dovrei essere
contento.
30
mila copie non sono poche in questa situazione
Questo è
anche vero. Ed ho anche dei bei riordini. Eppure non è
questo che conta. È che vedo che purtroppo quei tre o quattro
che amo veramente, tantissimo, come Battiato, quelli di nicchia
insomma … anch’io mi amo (ridiamo) … non hanno
questo successo. Il successo è sempre nella medierà.
Sarà sempre qualcosa della maggioranza. E la maggioranza
non è mai troppo ignorante o troppo intelligente. Eppure
io non riesco a fare cose in mezzo, non ce la faccio!
Quindi
c’è da sperare, sotto un certo aspetto, di non aver
troppo successo. E’ quasi un indice di qualità?
Lo sa una
frase di mia figlia? Io ho quattro figli. La seconda figlia mi
dice sempre “Papà, il giorno che tu vai primo in
classifica significa che hai sbagliato qualcosa!”
Comunque
non primo in classifica ma con grandi riconoscimenti.
Perbacco,
io sono felicissimo! Sapesse quante mail ricevo, le lettere. I
concerti pieni. Una vita meravigliosa. Sono pieno di emozioni.
Ma mi dispiace per la gente in generale, per gli italiani che
potrebbero avere di meglio. Si potrebbe fare un saltino ogni tanto,
un gradino più su.
Ancora
una canzone che mi piace molto. “Amico mio”. Ha un
aria gaberiana.
È
molto blues in effetti. È jazz. L’ho concepita proprio
per farla con Fariselli e Paolino Della Porta. L’ho scritta
e l’ho subito portata a lui che ha scritto l’arrangiamento
per basso e piano.
La
stessa formazione del Contastorie.
Sì.
Io avevo tre pezzi che volevo dare assolutamente a Fariselli come
arrangiatore che sono Amico mio, Il cielo di Austerlitz
e Le rose blu, perché erano proprio nella
sua misura. Lui è un genio in queste cose! Perché
è quello che toglie e non mette Fariselli: Che è
difficile! E’ come Michelangelo.
Parallelamente
è uscito il suo libro di poesie giovanili. È vera
la storia che si tratta di poesie giovanili dimenticate da sua
madre?
E’
verissimo tutto. Le ha conservate mia madre. Io non dico balle.
Con tutte le cose mie fotografie, bottoni, giocattolini da piccolo.
Avevo una mamma così: innamorata dei figli. E quando è
morta mia madre erano in uno scatolone e un giorno un mio amico
che lavora per la Mondadori a cui voglio molto bene, le ha prese
e ha detto “io le porto via che le voglio fare pubblicare”.
Io ho riso molto a questa affermazione, Però lui l’ha
fatto! A lavori completati mi ha portato un contratto. E lì
mi sono detto: vabbé, facciamolo per gioco. Non ci credevo
seriamente. Però poi a rileggerle reggono alla prova del
tempo. A vent’anni si può anche scrivere così.
Si dice che a vent'anni tutti scrivano poesie. Poi alcuni
vanno avanti ...
Quelle erano
accettabili. Non cose vergognose. Avevano un ritmo molto musicale.
Quasi una premessa a quel che avrei fatto dopo.
All’epoca
scriveva già canzoni?
Le scrivevo,
ma non ne usciva nessuna. Il primo disco mio, poi non cantato
neanche da me ma da anDrea Lo vecchio è uscito nel ‘65/66
se non sbaglio. Due anni dopo le poesie.
Il
libraio di Selinunte invece, uscito in Francia, sta andando molto
bene.
Va benissimo.
Ho buone notizie sul libraio di Selinunte.
Ha fatto la seconda edizione, editore Le Rochè e per un
libro italiano è tantissimo. E adesso lo pubblicano in
Spagna e in Portogallo. Sono molto contento.
I
riconoscimenti non mancano.
Anche questo
di nicchia. Quando esce Eco vende molto di più.
Prossimi
programmi letterari? C’è già qualcosa in cottura?
Io ho in
mente un romanzo per l’Einaudi, adesso, perchè l’ho
“tradita con le poesie. Vorrei chiamarlo ”Le
rose blu” come la canzone. Parla dei problemi
di un padre con un figlio, problemi molto grossi. Ovviamente romanzati,
perché mio figlio non ha tutti questi problemi. (ridiamo)