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Le BiELLE INTERVISTE
Teresa De Sio: "Sacco e fuoco"
Noi che abbiamo resistito e siamo rimasti intatti
di Giorgio Maimone


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Teresa De Sio
A Sud, a sud, a sud

Teresa De Sio
Sacco e fuoco

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Di ravvia e di stelle

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Sponda sud

Radicanto
Lettere migranti

Orchestra popolare
La notte della taranta





Ci sono interviste che si sbobinano subito, altre che restano lì qualchetempo. Così è capitato a questa con Teresa De Sio che però ha il pregio di non aver perso un'oncia di freschezza e di venire fuori proprio nel momento in cui a Teresa viene affibbiato l'onorifico titolo di Imperdibile 2007 di Bielle per il disco "Sacco e fuoco". Ecco la cronaca di allora ... in attesa di aggiornarla a ora.

Purtroppo non ho ancora sentito il disco, Teresa, quindi partiamo con un’intervista alla cieca. Allora “Sacco e fuoco”. Tu o non fai dischi o ne fai due in due anni.

No, vabbé. Sì, sono due anni da “A sud a sud”. In realtà questo disco segue molto la scia di “A sud a sud”. Anche questo ha le radici nella musica popolare, anche se, rispetto ad “A sud a sud” è un disco più cantautorale. C’è un po’ meno tradizione e un po’ di più io come autrice.

Le canzoni sono tutte tue?

Le canzoni sono tutte mie, eccetto l’intro A morte e zì Frungillo che è una canzone scritta e che cantava Carlo D’Angiò, che mi porto appresso dai tempi di Musica Nova e poi c’è Tambureddu che è di Modugno e che ho scelto di mettere perché è una canzone che raccoglie un po’ tutto il suono del sud, perché se ci pensi, Modugno era pugliese di Polignano a mare, costa levante, parla della pizzica ossia Puglia sud, Salento, è scritta ed io la canto in siciliano e c’è dentro la tarantella napoletana. Praticamente era la canzone che faceva per me. E poi soprattutto è il primo esempio di pizzica d’autore, almeno credo di poter dire. In mezzo sono tutti pezzi miei. C’è una canzone che è Vulesse addeventare, in cui ho preso il testo che è parte della tradizione orale napoletana, l’ho modificato, ho completamente riscritto la musica e l’ho reinterpretato in questo modo.

Il disco ti soddisfa? Ti rappresenta?

Sì, sicuramente rappresenta questo momento della mia vita e della mia storia. Mi spiace che non l’hai sentito perché è un disco che quando lo sentirai dirai “ah, potevo chiedere questo o quest’altro”. (ridiamo) Insomma è un album abbastanza pieno di rabbia, un po’ duro rispetto ai miei ultimi dischi, sia come suono che come storie raccontate.

Il gruppo che ti accompagna è lo stesso?

Il gruppo è lo stesso, tranne per alcuni brani dove c’è una sezione ritmica di basso e batteria fatta da Luca Troglio e Mario Guerini. Poi sono sempre gli stessi di sempre. L’ottimo Don Peppino De Trizio al mandolino, Her al violino, Max Rosati alla chitarra che in questo album ha avuto un ruolo molto importante perché abbiamo fatto insieme gli arrangiamenti e lui ha anche registrato il disco.

A Sud a sud è stato un disco che è servito e riposizionarti sul mercato perché era tanto tempo che non uscivi con qualcosa di inedito.

Riposizionarmi … Mercato …?

Sono termini che non ti piacciono?

Non è che non mi piacciono. Non mi piacciono pure, ma soprattutto non mi rapporto in maniera molto consapevole con questo. Non saprei se mi sono riposizionata o meno. E poi cos’è questo mercato? (ridiamo)

Non è quello del pesce.

Certo che non è quello del pesce! Io vorrei anche che il disco andasse primo in classifica, non è che snobbo queste cose. Però non è il fatto prioritario. Prioritario è fare altre cose.

Dal punto di vista degli spettacoli?

Adesso cominceremo il tour. Abbiamo appena suonato al festival del mandolino genovese a Varazze, un festival che fanno da molti anni e che è molto interessante. Visto che danno un premio ogni anno a un artista, quest’anno sono stati così gentili di darlo a me questo premio. E mi hanno regalato questo mandolino genovese che è uno strumento bellissimo che io non conoscevo, fatto da questo artigiano che si chiama Gabrielli e che ha fatto già tanti mandolini. Ne ha fatto uno per Fabrizio De André che a sua volta ha ricevuto questo premio prima di me. Poi lo hanno preso Battiato, Capossela. Questo mandolino è molto bello perché ha cassa molto piccola, manico molto alto ed è un incrocio tra mandolino e chitarra battente e siccome non ha il manico stretto ho capito subito che lo posso imparare a suonare anch’io.

Il mandolino normale è troppo stretto

E’ impossibile! Eppure ci sono maschi che hanno dita più grosse delle mie che riescono a suonarlo. Però loro so’ bravi!

Senti, vediamo le canzoni una a una? Ha voglia?

Sacco e fuoco” è una canzone sul brigantaggio. Il brigantaggio di ieri, il brigantaggio di oggi. Parte da una considerazione di tipo storico. Ossia il fatto che questa benedetta unità d’Italia che tante volte viene messa in discussione negli ultimi anni, in realtà a noi meridionali è costata sangue, sudore e lacrime. Il Sud dell’Italia ha pagato un grande tributo di sangue: ci furono 685 mila morti, 51 paesi rasi al suolo, spariti completamente dalle carte, iniziato il grande esodo verso le Americhe. Garibaldi avevo promesso la democrazia, aveva promesso la liberazione dai Borboni, aveva promesso la costruzione di una Repubblica, aveva detto ai contadini che gli avrebbe dato le terre e ai latifondisti che nona avrebbero più pagato le tasse, quindi tutti quanti vedevano in questa figura di Garibaldi una mano santa. Però quando Garibaldi ha consegnato ai Savoia il regno delle Due Sicilie così chiavi in mano, i Savoia hanno avuto un impatto violento con il Sud. Non hanno “scambiato” , ma nel Sud è arrivato l’esercito piemontese e a quest’esercito ha risposto quel fenomeno che veniva chiamato brigantaggio, spesso liquidato come un fenomeno di criminalità e invece era proprio un fenomeno di antagonismo armato. Questi erano antagonisti politici! La canzone è dedicata a “quei” briganti, però, insomma, anche a quelli di oggi. Nella canzone dico: “passa il tempo, ma è sempre la stessa canzone / una volta era Piemonte un’altra volta era Borbone / ma pure chist’e mo’ è vero so fietente / chi ottiene s’o mantiene in culo a chi non tiene niente”. Chi ci comanda, chiunque sia, non ho dato connotazioni politiche, il potere in generale, non cambia molto le cose: chi ce l’ha se lo mantiene e chi non ce l’ha se lo prende a quel servizio.


Non tengo paura

Non tengo paura” è la lettera di una figlia a una madre. Probabilmente la risposta a una lettera in cui la mamma dice “Figlia mia statte attenta che il mondo è fatto in un certo modo”. E la figlia risponde “Sì, ma io non ho paura, io non conosco le regole, io voglio vivere secondo il mio istinto “voglio ballare sopra un’altere spento /come una femmina di Galatina”. E cito Galatina proprio volendo segnalare questo momento di libertà dell’anima in cui le femmine, fingendosi morse dal ragno in realtà si concedevano un momento di guarigione pubblica, conquistava un ruolo sociale: “io sono la posseduta dal ragno, io sono la morsicata, voi dovete guardarmi ballare e io nel corso del ballo recupero lo status che nella vita quotidiana non ho”. Immaginiamoci quale potesse essere lo status della donne del Salento nel ‘700: zero! Così recupero uno status che mi consente di tornare alla vita quotidiana stando bene. Comunque un grande gesto di forza. Io non tengo paura è una canzone di coraggio, perché di coraggio ce n’è bisogno!

"A figlia d’o rre”, invece?

I’ song’a figlia d’o rre e non voglio tenè padrone!

Anche qua bella donna decisa, eh?

Sì, per questo ti dicevo che mi rendo conto che è più duro dei dischi precedenti.

La canzone dopo però è “Amen”, forse quella è calma …

"Amèn", non àmen! Con l’accento sulla e alla napoletana. E’ una parola bella, che sancisce lo stato di grazia. E’ una canzone su Napoli, la canzone che comincia dove finisce Stamme bbuono, la canzone che ho scirtto con Raiss in A Sud a Sud, Che era sui mali della città di Napoli. Mali che in questi due anni non solo stati risolti, ma anzi sono peggiorati. E’ proprio di questi giorni sono le notizie dei roghi dell’immondizia, la città che va in fiamme. E proprio tra quella canzone, Stamme bbuono, e Amèn sono passata attraverso la lettera del libro di Saviano, Gomorra, un libro veramente sconvolgente. E tra le altre cose, a proposito proprio del fatto della spazzatura lui dice che se si mettesse insieme tutta la spazzatura che il Nord dell’Italia attraverso la camorra ha inviato nel sud – dice che Milano è pulita? Per forza! L’ha inviata tutta nel Sud! – Se si mettesse insieme tutta quella spazzatura si farebbe una montagna alta 14 km. Se tieni conto che il Monte Bianco è altro 4810 metri e l’Everest 8 mila, queste sarebbe in assoluto la montagna più alta del mondo. Allora in questa canzone, Amèn, io ho invocato una serie di divinità pagane, dal Padreterno del Vomero, alla Madonna delle Galline, alla Madonna della mondezza perché laddove l’intelligenza umana e terrestre fallisce almeno intervengano gli dei. Che allunghino il loro piedino celeste su questa montagna. Usino la montagna di mondezza per scendere e venire a vedere cosa ci succede!

"Ukelelle"?

"Ukelelle" è una parola africana. Che in realtà non si pronuncia proprio così, però io non sono africana e mi sono presa questa libertà. A me piace molto la musica africana e questo credo possa essersi capito nel corso della mia carriera. La musica soprattutto di quella zona dell’Africa, del Mali, quella musica dove dentro c’è molto ritmo ma molta lentezza, dove ciò che conta non è tanto quello che dici, ma il ritmo a cui lo dici. E mi sono ispirata un po’ alla musica del Mali. Una canzone un po’ particolare in cui mi sono immaginata … in mezzo al mare cosa ci può stare? Nel tratto di mare che unisce l’Africa al Sud dell’Italia. Che ci può stare? Uno che viene dall’Italia, per esempio da Napoli e che decide di andare a vivere fuori dai coglioni, che non ne può più del mondo e della vita dura che si fa in queste zone. Quando arriva in mezzo al mare si rende conto che in mezzo al mare è pieno di barche affondate e queste barche sono affondate perché venivano da un’altra vita e quelle persone pensavano che venire a vivere da noi significasse iniziare un’altra vita. Gente che veniva di poter volare liberi come uccelli e che invece sono rimasti intrappolati in una retata di tonni. E allora questo uomo che è uscito al largo pensa che sia il caso di tornare indietro e riprendere in mano la battaglia. Qualunque essa sia, pur di non abbassare la guardia. E però c’è un’altra cosa che ti voglio dire di questa canzone. Sentirai che c’è una voce che canta insieme a me e sembra la voce di una bambina. E canta in malgascio. In realtà è una giovane ragazza africana, del Madagascar che si chiama Aisha che ho conosciuto casualmente tre anni fa quando suonavo a Palermo e, dopo un concerto, è venuta a cercarmi per cantare con me. Mi ha dato un cd. Io cerco sempre di ascoltarle. Lo dico però e già mi scuso, non riesco a sentirle tutti. Questo di Aisha fortunatamente l’ho sentito, le si scrive anche le canzoni, e l’ho chiamata a cantare con me. Sentirai come è brava!

"Due ore al giorno"?

"Due ore al giorno" è “ufo” rispetto a questo disco. Non c’entra niente. Posso dirlo francamente. Però mi piace talmente tanto … Ho combattuto talmente a lungo con me stessa, perché non volevo inserirla. Il disco è talmente omogeneo che questa canzone non c’entrava niente. E’ parte in italiano, parte in napoletano, però è omogeneo, anche perché è stato scritto tutto nello stesso periodo. Due ore al giorno invece è una canzone che ho scritto tre anni fa e che fa parte di un gruppo di canzoni in italiano che ho scritto, che mi piacciono molto, ma che non ho mai registrato da nessuna parte.. Però due ore al giorno c’era qualcosa che mi ha convinto. Porto dentro qualcosa legata al Brasile, alla musica nordestina … mi piace tanto. Mi sono inventata questa cosa di immaginare una giornata intera che diventa un po’ una metafora, se mi si passa il termine un po’ abusato, della vita. In cui succede di tutto. C’è un periodo per la tristezza, uno per la felcità, un periodo per il sesso, uno per la lotta, uno per la rabbia, uno per non fare un amato cazzo di niente, uno per le stupidaggini. Poi se tu fai il calcolo, perché dopo averla scritta il problema me lo sono posto “ma quante ore ci ho messo?” Sono 1600 ore! (Ridiamo) Ho inventato una giornata di 1600 oreo che però contiene tutte le umane passioni.

Resta solo “Ninna nanna” …

"Ninna nanna", come mi ha detto qualcuno, le poche persone che hanno già sentito il disco mi hanno detto “Ah, questa è Teresa De Sio quella là!” Non lo so. Tu scrivi ! “Questa è Teresa De Sio-quella-là” e io per non far torto a nessuno dico “eh sì sì … è proprio quella là!”

Bonus track: "Briganti di frontiera"

E’ una canzone che ho rifatto , che stava su Un libero cercare. "Briganti di frontiera" è una canzone battagliera. Intanto la faccio nei concerti. Ho iniziato un po’ di malavoglia a farla nei concerti di Stazioni Lunari con Ginevra di Marco, che è caratterizzata da un cast che gira e mi sono trovato di tutto. Le cose più bizzarre e quindi più divertenti: Cristina Donà, Cisco, Morgan, Peppe Servillo. E lì abbiamo deciso di farla. Facendola con loro io mi sono detta “Ma allora questo pezzo lo posso rifare?” Ho cominciato a farlo nei concerti e vedo che ha un enorme riscontro. Io lo pensavo proprio come un pezzo minore, quelle cose che sia, si lasciano anche per strada. Non è che io posso fare tutto quello che ho scritto! Verrebbe un concerto di 15 ore! Sarebbe come “Due ore al giorno” (ridiamo) . E quindi ho deciso di riarrangiarlo e l’ho messo a fine disco. E’ una canzone comunque combattente dedicata a tutti quelli come noi che abbiamo resistito e siamo rimasti intatti dentro di noi. Briganti eravamo quando eravamo pischelli e briganti siamo ora che siamo giovanotti e signorine! Tutti quelli che abbiamo resistito siamo un po’ delle Brigate di frontiere, con una bandiera e una dolce arma per andare a combattere battaglie. Speriamo che queste battaglie le vinciamo. Altre siamo pronti a perderle.

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Intervista effettuata il: 26-05-2007
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