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Le BiELLE Interviste
Rudy Marra, l'urticante

Foto di Patrizia Laquidara al Tenco


 

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Il ritorno di un genio dimenticato
di Giorgio Maimone

La storia di Rudy Marra magari la conoscete già. Un debutto coi fiocchi a Sanremo negli anni '90, con "Gaetano", premio della critica e ottimi giudizi per il ragazzo con la voce da Adriano Celentano e l'aria di quello che ha delle cose da dire. Impressione confermata dal primo ottimo disco: "Come eravamo stupidi". Poi, un paio di anni dopo un secondo disco, l'invenzione delle "sopa music" e quindi la scomparsa e l'oblio. Quest'anno il ritorno e il disco "Sono un genio ma non lo dimostro" è ancora ottimo. Rudy è fluviale, ve ne accorgerete guardando gli spazi riservati ai miei interventi o ascoltando l'audio.

La prima domanda, Rudy, è dove eri finito in tutto questo tempo? Hai fatto due dischi, belli, negli anni ’90 e poi sei sparito per una dozzina d’anni.

Intanto ero finito all’università. Ho pensato bene di finire il mio corso di laurea in Sociologia che era rimasto in ballo per un po’ troppo tempo. E questa è già una cosa. Poi se devo essere sincero, finita l’esperienza del secondo album ho tirato un po’ i remi in barca perché non ero contentissimo. Non mi ci ritrovavo nell’ambiente, nella situazione delle discografia musicale di quel periodo. Ed essendo io uno che non media molto, ho difficoltà proprio a tenere sulla bilancia i due piatti, ho detto: “li mando a fanculo tutti quanti. Mi sono proprio rotto le palle” (ridiamo). Tanto che avevo quasi appeso la chitarra al classico chiodo. Ma non mi sono mai staccato dalla musica, perché nel frattempo ho collaborato coi i miei musicisti. Per un paio d’anni, dal ’95 al ’97 ho girato l’Italia con la mia band, la Sopa band che è la mia band da sempre, suonando in qualsiasi situazione dalla Sicilia fino alla Valle d’Aosta anche se questo fatto lo sanno in pochi (ridiamo). Abbiamo sempre fatto tutto in casa quindi i giornali, le televisioni e le radio non ne parlavano. Io ho suonato dappertutto. Tanto che venivo considerato una specie di ufo che ogni tanto appariva da qualche parte: “Il mito narra che Rudy Marra sia stato visto suonare a Trento!”. (ridiamo) Guarda, ricevo ancora adesso un sacco di mail sul sito di gente che si ricorda di avermi visto in giro alla Cascina Monlué a Milano o a Santa Maria di Leuca. Tutti eventi che organizzati da gente del posto, appassionati, organizzazioni. Poi ho tirato avanti per un paio d’anni quasi per conto mio, fuori dal giro. Poi ho collaborato come autore con Cristiano De André. Tosca e altri. Non sono mai stato del tutto fuori.

Come hai scelto di tornare?

Dunque, il ritorno me lo immaginavo pieno di lustrini e paillettes (ridiamo). Invece ho visto che la situazione …

… è uguale

Se vogliamo è anche peggiorata! Perché comunque ci sono dei muri di gomma invalicabili, situazioni che si sono sempre più intorcinate su se stesse. Come le radio, le music control: queste cose poi me le spiega il mio ufficio stampa, perché io, nonostante la laurea, non ci capisco un cazzo! “Per fare ascoltare il tuo disco in radio devi entrare a far parte delle nove sorelle consociate nel music control …” La madonna, ma che cazzo è? Neanche a fare un progetto per le testate nucleari ci vogliono così tanti permessi. Non basta un pezzo forte? No.

Però ce l’hai fatta a tornare e hai fatto un signor disco!

Un disco molto meditato. Nel senso che ho avuto tempo per poterlo preparare, programmare. Volevo esattamente fare questo disco. La cosa a cui tenevo di più, al di là dell’aspetto musicale, dove sono sempre coadiuvato da Stefano Melone con cui abbiamo scelto suoni ben precisi e caratterizzanti. Tu sai che io mi vanto di essere l’inventore della sopa, che è questa zuppa che è stata male interpretata da tutti: l’hanno pensata come un misto di un po’ di funky, un po’ di jazz, un po’ di blues, un po’ di musica cantautorale. Invece è al contrario: è la negazione di tutto. Non è né rock, né pop, né jazz ...

E’ il calderone primordiale della musica.

Esatto, è il calderone. Per far questo bisogna stare molto attenti perché è ovvio che noi abbiamo background da tutte le parti, però se andiamo a toccare le nostre fonti, dai grandi gruppi ai solisti, alla new wave, al punk rock, rischi di fare proprio quello che io ho sempre contestato alla musica italiana: lo scopiazzare le musiche già esistenti. Io non ho bisogno di andare ad ascoltare uno che rifà Tom Waits: ho già il Tom Waits originale! Uguale per tutta la musica rock. Perché devo andare a sentire dei gruppi italiani che si spacciano per rock e fanno un misto tra gli Oasis (quando va bene) e i Beatles? Mi sento gli originali! Vado a vedermi i filmati! E’ una situazione che odio. Che poi ci caschi, è ovvio. Vuoi un pezzo di atmosfera suonato al piano? Basta che metti un contrabbasso e un sax e vai a finire sparato su Tom Waits. E’ per questo che bisogna inventarsi uno stile che prende lo spunto da tutto quello che ho ascoltato, ma che va a diventare Rudy Marra. Questo è uno dei peccati mortali di voi giornalisti, di chi recensisce. Io capisco anche che avrete i coglioni pieni: tremila dischi che arrivano e per ciascuno trovare qualcosa da dire. Mi immagino quindi che sentiate il primo pezzo e concludiate “ecco, questo assomiglia a tizio” e via. Ma questo con Rudy Marra non funziona ed è un errore madornale ascoltare solo il primo pezzo ...

Tra l’altro nel tuo disco non è nemmeno quello che mi piace di più (ridiamo)

Devi andare avanti, anche perché io non costruisco mai a pezzi. Io penso al disco nel suo insieme. E questo in particolare, tanto per ritornare al tema, perché io ogni tanto mi perdo (sparami quando mi perdo!), concettualmente è sorretto dal fil rouge dei testi e alla situazione in generale della comunicazione.

E qui ritornano i tuoi studi ...

Certo. E poi quella del genio in particolare, quando per genio non intendo la mente eccelsa, ma quello che sposta i parametri dell’attuale, coperte dalla coperta di Linus, cioè il paradigma, la consuetudine e va a ricercare un altro lato da cui vedere la luna, per dirlo alla Picasso. Scoprire che ci sono altri modi per guardare alle cose.

Senti, ma questo disco è nato nei dodici anni di silenzio o è venuto fuori tutto di colpo nell’ultimo periodo? Come è stato il processo?

Guarda, il processo è stato “lento e inesorabile” (ridiamo). Perché dalla situazione dei dodici anni in cui sono stato fermo è maturata a livello viscerale, di pancia, di istinto, la voglia di dire. “ma porca puttana qua se non vado a mettermi dentro il greggione e a fare le cose come tutti gli altri, sia come composizioni che come contatti, io rimango come un cretino disperso nella grande steppa!”. Vedi si fa presto a dire io faccio rock o cantautorato. Ma c’è una massa indistinta che forma un greggione di quelli pesanti che condiziona tutte le scelte. Mi danno botte sulle orecchie, ma io ce l’ho geneticamente questo problema: non riesco proprio per quanto mi possa sforzare, a fare il pezzo paraculo! Potrei imitare Tom Waits a mia volta o cercare le parole difficili: tanto ce l’ho il vocabolario anch’io, come tutti. Apro le pagine e cerco di fare il difficile, fare il contorto, mi vesto anche un po’ strano e vado nel calderone. Però questo non lo sopporto. E allora ho cominciato a pensare seriamente che non c’era via d’uscita.

Se non quella di essere te stesso ...

Ma questo ti fa tornare alla prima questione. Quando sono uscito non sopportavo più di stare in quella situazione. Quello che mi riguarda poi tanto tanto riesco a gestirlo. E’ quello che non mi riguarda che mi fa impazzire! Non riesco a capire come è possibile che uno come me che ha fatto quattro dischi, che ha girato due videclip, che è andato a fare un disco in Francia chiamato dai francesi, che ho fatto serate a Parigi, io non ho all’attivo nessun passaggio televisivo, dico nessuno, al di fuori delle televisioni francesi e del Festival di Sanremo del ’91! Quando andai a espormi al “pubblico ludibrio” e mi cacciarono via a calci, facendo passare la compilation delle ballerine di Domenica In. ‘Na figura ‘emmerda! (ridiamo)

Beh, io però il tuo disco l’ho comprato! Quello con Gaetano e Pieno di Campari, per intenderci. “Come eravamo stupidi” era il titolo.

Ecco bravo, vedi! Comunque dopo quella situazione avevo voglia di gridare. Poi è subentrata anche la teoria dagli studi universitari e capisci che non sei l’unico pirla a pensarla in quella maniera. Che ci sono stati fior di studi illuminati. E allora ricomponi la situazione e cominci a capire che è la situazione dell’uomo nella civiltà moderna quella di essere opacizzati intellettualmente. Poi c’è qualcuno che tira i fili. Chi detiene l’economia a livello discografico, per intenderci, le radio, le edizioni, ha bisogno di fare andare in un certo periodo certa musica anziché altra, creare dei circoli, dei club privati nei quali è impossibile l’accesso. E quindi chi fa delle cose diverse incomincia a essere scartato, tenuto lontano il più possibile, fino a che non c’è una rottura del paradigma che è lo scoppio della rivoluzione. Questo succede, grazie a dio, di tanto in tanto, vedi Vasco Rossi vent’anni fa o i Beatles e i Rolling Stones negli anni ’60. La rottura del paradigma poi può essere recuperata e costituire la novità. Quello che è frustrante è che l’Italia è al numero uno nell’opacità mentale, nelle situazioni di comodo ascolto, della coperta di Linus già citata. L’Italia è la terra dei Papi: immoto secolare immutabile. A livello musicale l’Italia non è mai uscito da quel suo provincialismo becero che dagli anni ‘60/70 ha fatto salire alla cronaca gente che non avrebbe dovuto nemmeno essere contemplata. Io odio tutto questo! Odio! Cani e porci che vengono chiamati artisti e non tutti lo sono: c’è gente che canta, gente che suona ... ma per dire artisti ci vuole altro! Questa è gente strappata non all’agricoltura, perché i contadini c’hanno due coglioni così: questi sono strappati al nulla! Io non mi sento rappresentato da quelli. Come oggi non mi sento rappresentato da Eros Ramazzotti o Laura Pausini che vendono venti milioni di copie. Ma non mi sento rappresentato neanche da situazioni fantomatiche rock che in Italia non esistono. I Sex Pistols quando al tempo del punk rock andavano in giro dicendo “chi è questo vecchio di merda?” e si riferivano a Mick Jagger, facendo crollare un momento (sbagliando poi, perché Mick Jagger “è” un monumento) era la situazione che contava, la violenza, la provocazione. In Italia chi fa questo?

Senti ma, capovolgendo un po’ le carte e facendo un gioco in cui tu fai la parte del giornalista, in che ruolo lo vedresti Rudy Marra? Che musica fa? Come parentele nobili da chi si sentirebbe rappresentato?

Rudy si sentirebbe rappresentato da quei personaggi, e ce ne sono stati tanti nella musica mondiale, che non hanno un’etichetta, una collocazione precisa, non hanno magari neanche avuto un grande successo, però sono stati quelli che hanno creato dei semi dai quali hanno attinto tutto. Io, ad esempio vengo dal punk/post punk, però vengo anche da prima, dai grandi gruppi come Pink Floyd, Led Zeppelin. Ad esempio io penso a Joe Jackson. Nessuno lo ha mai accostato a me, tra i giornalisti che hanno commentato i miei dischi, nemmeno sfiorato da lontano, ma probabilmente perché non sanno nemmeno più chi sia. Joe Jackson è uno che ha rivoluzionato la musica, perché da lì abbiamo iniziato a pensare a una musica più raffinata rispetto al classico punk rock solo fisico. Poi potrei citare David Byrne dei Talking heads, Elvis Costello. Un sacco di gente potrei citare: Dr John per esempio, che non c’entra un cazzo. E’ un bluesman che però tocca tutto, tocca ritmi tropicali.

In effetti rende l’idea Dr John. Trovo dei nessi.

Sono sempre stato su quell’onda. Sono convinto che non ci sia un genere musicale, ma un’idea, uno stimolo, una forza dirompente. Soprattutto nella musica detta rock. Per rock io non posso intendere delle sonorità o uno stile di suonare, dove proprio intendere quello che è l’origine del rock, la pietra rotolante. Io devo proprio andare a rompere i coglioni! Io sono l’urticante. A livello italiano mi ricordo Piero Ciampi negli anni ’60, che pur essendo un anomalo totale, rompe i coglioni a ogni riga che scrive. Mi posso ricordare dei De André degli anni d’oro, i De André che andavano ad abbattere il sistema precostituito, un po’ anarchico, uno po’ così. Forse neanche Tenco, perché Tenco era più raffinato. Rino Gaetano chiaramente,.

Qualcosa c’è. E’ il nome che avrei fatto. Per l’ironia sferzante.

Sì, l’ironia, il senso del divertimento.

Tu però un po’ più cattivo, giusto?

Esattamente! Diciamo che sono uno più incazzato, perché questo è il termine giusto. Io l’ho vissuta molto sulla pelle questo tipo di incazzatura.

Il disco ti fa contento però. Sei soddisfatto di questo disco?

Guarda io sono soddisfatto del disco a livello di nascita. Adesso il problema è che devo impegnarmi molto, ma molto, ma molto a livello di crescita. Sennò ho paura che anche questo disco faccia la fine degli altri miei album. Che due anni dopo mi scrivano mail da mezzo mondo dicendo che era geniale. Due anni dopo, tre anni dopo non mi serve a un cazzo, sia chiaro! Mi serve che adesso cominci qualcuno a dire “ma sai, lui ha uno voce un po’ particolare, strana, un tipo di scrittura metrica strana, una musica originale, forse che sia uno da tenere bene d’occhio per capirlo fino in fondo?” Questo è il problema vero di questo disco. Se riesco a tenerlo bello pimpante, qualcuno prima o poi si accorgerà che ci sono significati nascosti più profondi che vengono a galla, ci sono sonorità non proprio comuni a tutti. E in questo modo inizi a fare il viaggio che deve fare.

Gente che se ne accorge ce n’è sempre, guarda, te lo garantisco. E’ che è sempre e comunque in giro piccolo. I giri della Pausini e di Ramazzotti sono più grandi.

Ah guarda, come ho scritto anche nella postfazione del mio comunicato stampa citando una frase di Debussy: “il pubblico mi apprezza? Avrò mica scritto una porcata?”. Io pagherei per non diventare uno come Vasco Rossi. Diventare una rock star proprio non mi interessa. Mi fa soffocare solo l’idea. Io devo essere comunque libero nella mia vita. Però vorrei riuscire a campare di questo lavoro.

(Per la prima volta mi finisce lo spazio su disco prima di finire l'intervista. Forse Rudy sarebbe andato avanti ancora a lungo. Dopo 15 anni di silenzio di cose da dire ce ne sono veramente tante. Sarà per un'altra volta Rudy, intanto grazie di averci dimostrato di essere ancora geniale).

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Intervista telefonica del 22-04-2007
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