Ottodix:
un cantautore che usa l'elettronica
di
Vincenzo
Greco
Incontro
Ottodix – al secolo Alessandro Zannier
– in un pomeriggio romano in cui
l’inverno non ne vuole proprio sapere
di arrivare.
Questo, secondo me, contribuisce a schiarire
i pensieri e a trovare la giusta via di
mezzo tra il prendersi sul serio le proprie
paure, ossessiono, speranze e non prendersi
mai troppo sul serio.
Di Ottodix è da poco uscito l’ultimo
album, in questo sito già recensito:
Nero. Di lui si segnala anche una bella
cover di “Cose veloci”, canzone
che ha portato garbo alla ribalta sanremese,
e che ora è contenuta in “Con
Garbo”, opera-tributo a Garbo di
vari artisti della nuova generazione elettronica
(e non solo) italiana.
Con lui, oggi, si parla non solo e non
tanto dell’album.
Cominciamo dall’ultimo
album. Nero. Un titolo impegnativo e anche
rischioso. Rischi di venire catalogato
come il solito pessimista che vede tutto
nero e prigioniero del dark. Per non dire
delle implicazioni politiche.
Si, lo so. Quanto alla politica, altri
mi hanno detto che c’è questo
rischio. Io non mi occupo di politica.
Se proprio mi si vuol collocare da una
parte, però, devo dire che le mie
simpatie non volgono proprio verso quelle
nere.
Nero vuole essere non solo un richiamo
dark. E’ un contenitore. In realtà,
Nero si ispira molto alla notte, all’assenza
di luce: dove non c’è luce,
potrebbe esserci di tutto. Ecco perché
un contenitore.
Il tuo album è molto
elettronico, e i testi risentono molto
dell’impostazione elettronica: in
essi, infatti, non si raccontano storie.
Le storie vengono invece raccontate molto
nella canzone d’autore. Pensi che
sia un destino dell’elettronica
quello di non raccontare storie?
No, anzi, io vorrei, nei miei prossimi
lavori, anche cimentarmi con questa tecnica
di scrittura che, è vero, è
tipica dei cantautori ma che non è
proprio detto che non possa venire usata
anche nella musica elettronica.
D’altronde, tu ci tieni molto a
non essere considerato uno dei tanti cloni
dei Depeche Mode
Si, verissimo. A me loro piacciono: è
inevitabile imbattersi nella loro musica.
Ma mi dà tanto fastidio essere
liquidato così (ed è pure
successo, a volte). Tanto più che
io li ho conosciuti dopo aver cominciato
a suonare, quindi, non coincidono neanche
i tempi.
Se proprio si deve usare uno slogan, allora,
preferisco essere considerato un cantautore
che usa l’elettronica per esprimersi.
A me, per esempio, piace molto Paolo Conte.
È vero che tanti steccati
fanno male alla musica, la settorializzano,
mentre dovrebbe conservarsi come fenomeno
generale e universale. E certi paragoni
pure: pensa alla definizione di Garbo
come il David Bowie italiano.
Sere fa, parlando proprio di Garbo con
un artista (non faccio il nome per pietà),
anche lui in un po’ voga negli anni
’80, ma che poi ha seguito una diversa
strada, mi dice: “Garbo l’ho
visto come uno che si ispirava a Bowie.
Poi, più nulla. Nulla di che…”.
Io non ho avuto voglia di dirgli “ma
tu di Garbo hai sentito solo il primo
album, al massimo il secondo”. Continuando
nella discussione, ho capito che era proprio
così: pensa che non sapeva neanche
che Garbo aveva continuato e continua
a fare dischi. Ora, considerata la qualità
dei successivi dischi di Garbo (i cui
anni duemila sono, secondo me, molto più
interessanti degli anni ’80 cui
viene così tanto associato), e
il percorso sotteso, e considerato il
fatto che lo stesso artista con cui parlavo
è rimasto nel mondo della musica,
come produttore, questa cosa qui mi ha
creato non pochi imbarazzi a continuare
a discutere con lui.
Questo per ribadire che l’etichettatura
è spesso frutto di ignoranza.
Si. Come anche l’etichettatura del
“tipo oscuro” che si potrebbe
fare ascoltando il mio disco. Io, a dire
il vero, sono un tipo conviviale, mi piace
uscire con gli amici, divertirmi. Non
è che sto tutto il giorno a riflettere
sulla notte e sulla distruzione. Per sballarmi
non ho certo bisogno dell’uscita
del sabato sera e discoteca. L’età,
ultratrentennale, non me lo consentirebbe
neanche più: e comunque cose del
genere non mi sono mai piaciute granché.
C’è un che di teatrale, allora,
nel mettere in scena la notte e l’oscurità.
Si, è così. Io esorcizzo
le mie paure così. Come un attore
si veste di un personaggio e terminata
la recita ritorna ad essere lui, diverso
da quel personaggio, io pure indosso l’abito
oscuro (non solo concretamente, ma anche
nella musica) per recitare una parte:
che fa parte di me, ma non esaurisce quello
che sono io.
Pensa a “La casa dalla mura sussurranti”,
un pezzo molto teatrale, di impatto, sin
dal testo.
Che è un tema, poi, legato alla
necessità espressiva. Tu provieni
dal mondo dell’arte. Sei passato
alla musica perché non ti bastava
più l’arte?
Si, in un certo senso è così.
Una critica ungherese mi ha definito un
simulatore, che vive bene in ambiti scenografici.
Come nell’arte creo installazioni
e assemblaggi che hanno la funzione di
riprodurre sensazioni astratte, così
nella musica adotto lo stesso metodo:
è il caso di “Cuore/Coscienza”,
tanto per fare un esempio.
L’elettronica mi consente, infatti,
di costruire ambienti, atmosfere, e mi
permette di controllare tutto: di fare,
persino, la radiografia dell’intuizione.
Ecco perché il mio produttore ideale
è quello che non aggiunge né
toglie nulla: perché significherebbe
tradire un’emozione, una sensazione
che è mia, e deve rimanere mia.
Nel bene e nel male.
Proviamo a fantasticare, estendendo il
discorso artistico anche al cinema, dato
che i tuoi testi hanno un che di sguardo
cinematografico sulle cose. Per quale
regista, anche tra quelli importantissimi,
vorresti scrivere una colonna sonora?
Molti sono già morti..Kubrick.
Grandeur e surrealismo insieme. La sua
inquietudine mi ricorda i quadri di De
Chirico.
E poi, sarò banale, molti francesi,
da Truffaut a Leconte a Rohmer e per quello
che faccio io, anche Tim Burton, restando
più leggeri, potrebbe interessarmi.
A proposito delle sensazioni. Che ne pensi
dell’immaterialità attuale
con cui gira la musica? Il file non è
toccabile come una copertina, per esempio.
Ed si è come invasi da una proposta
musicale quasi infinita, ma di livello
parecchio basso.
Che erano proprio belli i tempi del collezionismo,
la sensazione della ricerca, la soddisfazione
della scoperta. Ora tutti possono fare
musica e tutti la ascoltano, e ne ascoltano
di ogni genere. Questo è in teoria
positivo. Ma intasa tutti i canali, e
si rischia di non distinguere più
cosa è fatto bene da cosa è
fatto male. Appunto, musica ovunque, ma
spesso cattiva musica.
Colpa anche di una certa ignoranza, nell’ambiente
musicale. Qui torna il racconto del produttoreignorante
che t’ho fatto prima.
Si, ora i produttori hanno estromesso
la fascia di età 26-40 dai loro
discorsi e dalle loro mire. Fascia che,
invece, potrebbe essere quella più
attenta.
Il punto è che in questa fascia
c’è un ascolto più
critico di quello dei ragazzini. Potenzialmente
(anche perché parliamo di gente
che ha, o dovrebbe avere, maggiore capacità
d’acquisto) è una fascia
che potrebbe rigenerare il mercato: ma
devi capire cosa vuole, cosa ti chiede,
cosa gli manca. Certo, se gli proponi
certa spazzatura musicale, con l’illusione
che sia “commerciale”, il
trentenne ti volta le spalle ed acquista
un bel libro, invece di un disco. Questo,
in Italia, non lo si vuole proprio capire.
E il futuro cosa ti riserva?
Ora sto lavorando con un grosso produttore,
di cui non faccio il nome, naturalmente.
Lui cerca di instradarmi sul terreno anche
del pezzo radiofonico, una cosa che mi
piacerebbe molto. Vorrei un lavoro più
commerciale di Nero, più pop, senza
però tradire il mio percorso musicale.
Potrebbe persino tornare il tema della
notte. Come quello della città:
io sono affascinato da una idea, di cui
parlo in “Invisibile”: stare
in mezzo al caos e non essere visto. Mi
crea come una sensazione di appagamento.
E per quanto riguarda la promozione del
tuo disco?
Entro i primi di aprile esce il nuovo
singolo Ottodix, titolo: "Cuore/coscienza".
un video scritto a quattro mani da me
e il regista Maurizio Tiella.
Il video, in arrivo dopo il 15, è
costato un bel po'di fatica al sottoscritto
e si avvale di un importante contributo
dato da una talentuosa giovane attrice
svizzera, Eva Allenbach, che ha ispirato
e contribuito a creare molte atmosfere,
collaborando anche come performer in una
danza futurista.
D'ispirazione cubista-espressionista-dadaista-
futurista e anni '20, tra esterni e teatro,
con un sacco di costumi deliranti ispirati
a modelli originali di abiti per le performances
e per gli spettacoli originali delle suddette
correnti d'Avanguardia, in più,
disegni originali del sottoscritto a fare
da contorno.
Continuerà la collaborazione con
Garbo?
Certo. In contemporanea alla mia attività
solista, tratto dal cd doppio, tributo
a Garbo, CONGARBO, è in arrivo
il singolo estratto, Grandi Giorni, che
guarda caso è proprio di Ottodix(musica)
e Georgeanne Kalweit (voce).. Nella versione
singolo lo stesso Garbo duetterà
con la Kalweit e nel videoclip relativo
ripercorrerà le stesse scene e
ambientazioni del video originale del
'98.... anch'io compaio per qualche istante..
Inoltre il 13 aprile parte il Congarbo
Tour, sempre con Ottodix, per una stagione
lunga fino a Natale e ricca di date.
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