Nada,
tra la timidezza e la passione
di
Marco
Cavalieri
Recentemente
l’hanno definita “la Patti Smith italiana”.
“L’Unità” scrisse di lei “la
miglior rocker del Paese”. Fausto Mesolella, degli Avion
Travel, ha dichiarato di non aver resistito “alla tentazione
di librare la chitarra per la più bella voce della
nostra musica”. La verità è che Nada Malanima
da Gabbro (Li) non sbaglia un colpo da almeno 20 anni; fosse
nata a NY o a Londra, oggi avrebbe il suo bel posticino nella
Rock and Roll Hall of Fame. Ma, nel Paese che crede sia rivoluzionario
premiare “Ti regalerò una rosa”, lei si
ritiene già soddisfatta che il suo brano (questo si
rivoluzionario!) abbia avuto una platea di diversi milioni
di spettatori. “Luna in piena” (Radiofandango,
2007) è un gran bel disco, intenso e profondo, vero
e passionale, dove l’artista (come ha fatto spesso negli
ultimi lavori) non esita a mettersi a nudo, fino a mostrare
tutte le sue insicurezze e le sue paure più nascoste.
Raggiungiamo Nada durante uno
spostamento in autostrada, pregando il dio della rete mobile
perchè il segnale non ci abbandoni sul più bello.
E, a poco più d’un mese dalla straordinaria performance
sanremese (che bello il duetto con Cristina Donà, una
delle poche prove dell’esistenza del Rock italiano!),
la prima domanda è d’obbligo:
-Nada, hai partecipato
per la prima volta al Festival nel 1969, con “Ma che
freddo fa”, nel 1971 lo hai vinto con Nicola di Bari,
poi ci sei tornata molte volte fino a quest’ultima edizione:
allora è possibile frequentare spesso l’Ariston
e rimanere grandi artisti?
“(ride) Mah, per quanto
mi riguarda… credo di si! In fondo è una vetrina,
dove tu presenti quello che fai. Vicino a te ci possono essere
tanti colleghi, con progetti molti diversi dal tuo. Ma insomma,
ormai è un mezzo di comunicazione. Da una parte, anche
per sfortuna, perché sarebbe bello se ci fossero solo
cose di ottima qualità. Sappiamo che non è così,
ma anche tenendo conto che in Italia non ci sono tante manifestazioni
con quegli ascolti, tu approfitti di quello spazio e vai a
proporre quello che hai da dire, sapendo di raggiungere comunque
milioni e milioni di persone. Io sono andata lì portando
quello che porto in qualsiasi altro posto che frequento, quindi
ho usato Sanremo e non mi sono fatta usare”.
-Che poi non sappiamo
neanche come sei finita in classifica…
”Ah, ma questo non lo
so neanche io, eh? Giuro! Ma sai, non è la cosa più
importante. Anche perché quando ho saputo che potevo
andare li, che avevo questa possibilità, non mi sono
posta il problema classifica. Poi, certamente, rimane una
gara e vincere non dispiace a nessuno. Però, per me,
andare lì e portare il mio pezzo, proporre il mio progetto,
mi sembra davvero importante”
-Che è poi
quel che ti disse Mauro Pagani, una delle tante persone d’oro
con le quali hai collaborato: ok, andiamo lì, ma sfruttiamo
il Festival senza rimanere nei suoi ingranaggi. Peraltro,
il tuo duetto con Cristina Donà era di gran lunga il
più azzeccato. Come vi siete trovate?
“Vedi? Anche questa scelta
per me era molto più importante del fatto di vincere.
Cristina è un’artista che conosco già
da un po’, abbiamo lavorato spesso negli stessi spazi,
è nata anche una buona amicizia, cosa non facile in
questo lavoro, soprattutto tra donne. Lei era un po’
stupita da questa mia scelta, ma alla fine è stata
contenta di aver partecipato”.
-Siete davvero
così simili, come sembra da fuori?
“Si, si, è vero.
Poi diciamo sempre di noi stesse che ‘Ci dondoliamo
in disparte’, parafrasando una frase del testo di ‘Luna
in piena’ Un po’ è così,
cerchiamo di fare sempre e solo quello che ci interessa ed
è per questo che a volte siamo un po’ distanti
da certe cose”.
-Lo hai accennato:
ma è vero che il brano si sarebbe dovuto chiamare proprio
“Mi dondolo in disparte”?
“Si, è vero, inizialmente
volevo chiamarlo così. Mi rispecchia molto sai, sono
una persona che ha bisogno di capire, di riflettere…”
-Io volevo fare
anche un brevissimo excursus sulla tua brillante carriera.
Nel 1973 incontri Piero Ciampi: è vero che ti avevano
spaventata, ti avevano detto di stare attenta perché
era un po’ pazzo? Te lo chiedo, perché noi lo
amiamo molto in radio…
“Un grande artista, una
grandissima persona, umanamente fragile proprio perché
molto intelligente e sensibile. Una persona davvero unica.
Si, mi avevano detto che era un po’ strano. Ma sai,
io ero molto piccola e lui non aveva una vita regolarissima…
e quindi…”.
-Ma tu sei rimasta
talmente legata a Piero che ancora porti in giro uno spettacolo
che si chiama “Piero Ciampi Si”, con tanti amici
e colleghi
“Si, adesso in duo con
la pianista Rita Marcotulli, prima con Javier
Girotto… reintepretiamo sue canzoni, ma non
solo, anche letture… perché le cose di Ciampi
non hanno tempo, anzi, col tempo diventano sempre più
attuali”.
-Poi, nel 1974,
hai collaborato con la “Reale Accademia di Musica”!
Per chi non lo sapesse, la “Reale Accademia di Musica”
nasce da un gruppo molto famoso all’epoca a Roma, i
Fholks, i quali (nei loro quattro anni di attività)
suonarono addirittura come spalla a Jimi Hendrix! E questo
la dice lunga sulle tue radici Rock…
“(ride) Erano eccezionali!
Era un gruppo davvero alternativo. È stata un’esperienza
di vita fantastica. Poi gli Anni ’70… Sia a livello
musicale, sia a livello umano è stata una cosa meravigliosa.
Purtroppo adesso, di tutti questi musicisti molti addirittura
non suonano più”.
-Torniamo al tuo
nuovo lavoro. Per i brani “Luna in piena” e Pioggia
d’estate” hai la produzione di Lucio “violino”
Fabbri…
“Si, Lucio è stato
chiamato proprio perché con Sanremo ci voleva un direttore
d’orchestra, anche per l’arrangiamento degli archi.
Gli altri brani sono prodotti da musicisti diversi perché
il progetto nasceva così”.
-Stavolta non hai
con te John Parish, produttore dei Giant Sand che ti ha affiancata
negli ultimi lavori con risultati strepitosi. Era a Londra
per produrre il nuovo disco di PJ Harvey…
“Eh, io l’ho chiamato
John, ma lui aveva già questo impegno… (sospira).
Credo tra l’altro che abbiano appena finito, ma non
ci stavamo con i tempi. Il mio progetto era di lavorare con
lui questa estate, ma alla fine c’è stato Sanremo…”.
-Peraltro, correggimi
se sbaglio, ma è stata talmente intensa la vostra collaborazione
in passato che in alcuni brani, in certe sonorità specialmente,
ritrovo comunque la sua presenza. Come se la sua impronta
artistica fosse rimasta forte in quel che hai fatto…
“Beh, si, ma non a caso
poi le persone si incontrano e decidono di lavorare insieme.
Questo accade perché esiste un’affinità,
ci sono delle idee in comune. Quando John per la prima volta
ha voluto lavorare con me, disse ‘Io vorrei collaborare
con questa cantante’ ed è nato ‘Tutto
l’amore che mi manca’. Questo per
dire che quando succedono certe cose è perché
c’è un gusto molto simile, una forte affinità”.
-Invece hai ancora
con te Cesare Basile. A questo proposito volevo chiederti:
tu dichiari spesso che il tuo background musicale viene in
gran parte dall’estero, ma c’è una schiera
di artisti italiani che ti adorano e tu a tua volta hai una
grande stima per molti di questi artisti. Allora vogliamo
nominarne qualcuno, oltre ai già citati Cristina Donà
e Cesare Basile?
“Beh, c’è
Massimo Zamboni, con quale ho collaborato
a lungo, che stimo molto. Poi Franco Battiato,
senz’altro. Poi sicuramente altri, anche se ora non
mi vengono in mente (ride)”.
-Senti, dici spesso
che i tuoi lavori sono estremamente autobiografici, anche
perchè non riusciresti a descrivere il mondo con gli
occhi degli altri, ma preferisci sempre raccontarti. E quando
lo fai racconti tutto di te, ti metti completamente a nudo
con l’anima. Poi, però ti descrivono (e tu stessa
ti definisci) come una persona molto timida, introversa e
riflessiva… non è una contraddizione?
“Si, nei dischi mi metto
abbastanza allo scoperto. Però, sai, quando scrivi
e racconti qualcosa (che parte sempre e comunque da te, anche
se non è dichiaramene autobiografico) è una
condizione talmente intima che è una timidezza diversa
da quella classica, quella che accusi con gli altri e che
è poi quella negativa. Ma la timidezza intesa come
dolcezza, sensibilità e sinonimo di carattere è
un’altra cosa. Ecco, quando sono lì, nel mio
studiolo, riesco ad essere me stessa fino in fondo”.
-Ti hanno definita
la Patti Smith italiana. E’ appena uscito “Twelve”,
lavoro dove dopo trent’anni di attività la Smith
si cimenta con dodici cover, dodici cose che fanno parte della
sua formazione musicale. Tu, oggi, faresti un’operazione
del genere?
“(ride per il paragone
con Patti Smith) Mah, non ci ho mai pensato, sinceramente.
Se Patti Smith ha fatto questo disco, lo avrà fatto
sicuramente nel migliore dei modi, conoscendola. Fino ad oggi
non mi è mai successo, perché tendenzialmente
mi piace fare cose nuove, però mai dire mai!”
-Allora, nel caso,
una cover che sicuramente non mancherebbe in un progetto del
genere?
“’Wish
you were here’ dei Pink Floyd!
(dal disco omonimo del 1975, n.d.r.) O anche ‘Mother’,
di John Lennon (dal disco “John Lennon/Plastic
Ono Band del 1970, primo album solista di Lennon, n.d.r.)”.
-Eccole, le tue
radici Rock! Tornando al tuo lavoro, c’è una
traccia alla quale sei particolarmente affezionata? So che
il disco è nato nel tuo casale nella campagna toscana,
quindi con molta serenità…
“Si, con molta serenità,
ma anche con molto spazio per riflettere e guardare…
Per rispondere alla tua domanda, sicuramente ‘Il
sole grosso’, una canzone nata proprio
grazie a questa atmosfera”.
-Sarai in tour
da maggio, con due degli Ustmamo, una formazione molto particolare…
“Si, sono due musicisti
bravissimi, che ho conosciuto facendo il tour con Massimo
Zamboni. Siamo diventati amici, ci piace suonare insieme e
allora li ho chiamati con me assieme ad altri due strumentisti
della scena emiliana”.
-Poi so di una
cosa molto carina che riguarda il Nada Trio: la gente vi raggiunge
e sa dei vostri concerti anche quando non fate pubblicità,
anche se non ha i vostri dischi…
“Un passaparola!
Beh, ormai sono più di dieci anni che facciamo concerti,
ormai sanno come trovaci (ride)”.
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