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Le BiELLE Interviste
Patrizia Laquidara, funambola per convinzione

Foto di Patrizia Laquidara al Tenco
Patrizia Laquidara al Tenco 2006
 




Ascolti collegati



Patrizia Laquidara
Indirizzo portoghese

Susanna Parigi
In differenze

Lucia Lombardo
Il passo dei lupi

Marisa Sannia
Sa oghe de su entu e de su mare

Fiorella Mannoia
Onda Tropicale

Lu
Rumì

Equilibrismi sospesi sopra una fune nel cielo
di Giorgio Maimone

L'appuntamento con Patrizia Laquidara (purtroppo) non è di persona perché i nostri tempi non coincidevano. Marco è sempre più fortunato di me! L'indomani Patrizia presenterà "Funambola" alla Feltrinelli di Milano. Nel frattempo il mio rapporto di amore con "Funambola" ormai è diventato un matrimonio dal tanto che l'ho ascoltato. Le impressioni di volta in volta si fortificano: un grande album, il migliore del 2007 per ora. Un album di grande maturità espressiva, di suoni scintillanti eppure intimi (la magia di un grande arrangiamento). Potrebbero piacere a Mina o alla Mannoia queste canzoni, ma le canta e le ha scritte questa ragazza di Catania (un'altra?) emigrata in Veneto da piccola e ormai naturalizzata.
Ho ascoltato Funambola ed è un disco che mi ha lasciato esterrefatto, perché è di una bellezza adamantina. Spicca come un gioiello. Senti, come mai “Funambola”? Da dove viene questo titolo?

Ci sono varie cose che hanno contributo a fare scegliere come titolo “Funambola”, anche coincidenze successe nel periodo in cui stavo scrivendo i testi. Intanto ho cominciato a scrivere il testo di una canzone che parla di una persona che dice “guardo il mondo e penso a testa in giù / sopra un filo che è sospeso”. Non pensavo che stavo parlando di un funambolo, ma poi rileggendo il testo, e soprattutto quella frase che dice “L’equilibrio è un miracolo” mi sono resa conto che mentre pensavo di parlare di me stessa, stavo parlando di un funambolo o una funambola. Nello stesso periodo stavo peraltro leggendo il trattato di funambolismo di Philippe Petit, che è il più grande funambolo vivente. Quello che ha collegato le due torri gemelle con un filo sospeso a oltre cento metri dal suolo, facendo questo “atto poetico” come lo chiama lui, camminando sul filo a 412 metri di altezza. E perciò tutto tornava. Stavo anche leggendo in contemporanea un altro libro, Neve di Maxence Fermine, che a sua volta parlava di una funambola e, visto che alla fine mi piaceva anche il suono della parola, ho deciso di chiamare così il mio disco. Anche perché, comunque, nei testi che ho scritto in quel periodo si parla molto di cielo.

Sì, c’è molta aria, molto cielo nelle tue canzoni. E anche nelle musiche dire, pure se, in fin dei conti, questo risultato è da considerarsi casuale.

Sì sì sì

C’è molto cielo e c’è molto Brasile dentro, ma non solo Brasile. Io ho trovato spunti blues e comunque sia una consapevolezza cantautorale europea. Ci sono quasi tutte le tue radici dentro.

Sicuramente. Anche perché la pianta di ogni canzone è una pianta che si sente che è europea, con un’impostazione cantautorale, come dicevi tu. La melodia è italiana. Non si è cercato di andare verso il Brasile. Poi invece, quando siamo stati a New York, con l’influenza di Arto Lindsay che comunque di Brasile ne sa molto qualche spezia si è aggiunta, ma ha cercato proprio per questo di non metterecene troppa. E suonando a New York la contaminazione è venuta molto spontanea.

Certo. L’incontro con Arto è stato casuale?

No. L’ho a lungo cercato. Ci siamo conosciuti la prima volta a Rio De Janeiro è stato un po’ strano il posto, perché ci siamo dati appuntamento in un centro commerciale che era pienissimo di gente, anche di gente che parlava intorno, però ci siamo seduti a un tavolino e lui ha avuto la pazienza di ascoltare i miei lavori, di vedere i miei cd, tutto quello che stavo facendo. Poi ci siamo incontrati nuovamente a Milano dopo qualche mese e lì ha deciso di fare questo lavoro?

Come è stato lavorare con un grande produttore, un grande artista? Un po’ di soggezione?

Io veramente ho lavorato a stretto contatto con Patrick Dillett più che con Arto Lindsay. Arto ci seguiva comunque sempre e soprattutto ha stabilito come doveva essere il disco, come doveva suonare, in che direzione doveva andare. Comunque anche Patrick Dillett è un grande artista. E’ stato bello più che altro perché da parte mia io mi sono molto affidata, cosa che difficilmente faccio nella vita e nella mia professione: faccio molto fatica a fidarmi e ad affidarmi. Invece con lui ci ho provato e ne sono stata ripagata.

E’ un album dove ci sono tanti amici che ti aiutano, che ti danno una mano, che hanno scritto per te testi o musiche. Con chi ti sei trovata in particolare sintonia?

Mi sono trovata molto bene con Giulio Casale, con cui ho collaborato per la prima volta e che ha scritto il testo di Senza pelle. E poi Kaballà, con cui ho avuto un’ottima collaborazione. Lui è stato molto disponibile a prendere in mano alcune cose, a rivederle e a integrarle, soprattutto con dei testi che io avevo già scritto. Poi naturalmente c’è la collaborazione che prosegue già da un po’ con Tony Canto che è già assodata. E naturalmente Pacifico, che ho dovuto corteggiare un po’ prima di farmi affidare questo pezzo “Chiaro e gelido mattino”. Quando mi è arrivato mi è sembrato subito molto bello.

Tra le varie canzoni, l’unica che per me mantiene dei punti oscuri è “Ziza”, magnifica, magmatica, sotterranea, ma non immediatamente percettibile. Che storia racconta? Me la vuoi raccontare tu?

Ziza in effetti è un po’ difficile da capire, perché è quella con il maggior contenuto autobiografico. Intanto Ziza è il mio soprannome. Me l’ha dato Ben Harper quando ci siamo conosciuti l’anno scorso. Ci siamo scritti per un po’ e lui mi chiamava Ziza, non so perché rifosse inventato questo soprannome. Però l’ho trovato molto simpatico, perché aveva la zeta e mi dava un ché di giocoso. E così mi sono subito riconosciuta in questo nomignolo e dato che la canzone è autobiografica ho pensato di chiamarla Ziza, di modo che ha il mio nome, ma non tutti lo sanno. E’ autobiografica perché narra del mio mondo intimo, parla di un voler nascondersi, di non essere presenti spesso o di far finta di non esserci, far finta attraversare le pareti: il silenzio e l’invisibile. Mi riconosco molto perché io ho spesso la tendenza ad estraniarmi da quello che mi circonda.

C’è una frase bellissima nella canzone che dice “so che mi ritroverò costantemente a fare i conti con l’ignobile”

L’ignobile è la cosa più brutta tra quello che abbiamo dentro di noi o tra le cose che ci circondano. Perciò molto spesso dovrò scendere a patti con queste cose, ma la mia capacità di estraniarmi, di trovare un punto forte dentro di me, quello mi potrà salvare sempre. Nella parte parlata, infine, dove dico “io, le notti, la Cabiria …” ho preso cose che avevo scritto molto tempo fa, con varie citazioni di frammenti che mi è piaciuto leggere, vedere, frasi che ho ascoltato oppure frasi che ricorrono nella mia vita e delle domande che mi stavo facendo in quel momento della mia vita. E poi c’è il nome di Ricotta che è il mio cane, da quale non mi separo mai.

Il disco è stato finito nel settembre 2006, Indirizzo portoghese è del 2003: in questi tre anni cosa è successo nella tua vita? Credi di essere cambiata molto?

Credo di essere cambiata più negli ultimi mesi che negli anni precedenti. Sono cambiata nel rapporto con il pubblico, perché nel frattempo ho fatto diversi concerti live, sia con Indirizzo portoghese che con altre situazioni e fare continuamente Indirizzo Portoghese mi ha fatto capire meglio quale era la direzione verso la quale volevo andare e quello in cui il pubblico si rinasceva di più e io mi riconoscevo di più.

Le canzoni sono state scritte in un arco di tempo breve o nel corso dei 3 anni?

Massì, nel corso dei tre anni. Alcune erano canzoni che ho scritto un paio d’anni fa e mai avrei pensato di mettere nel cd e poi sono ritornate. E altre invece lo ho finite addirittura in studio di registrazione.

E’ strano perché nonostante vi abbiamo messo mano molte persone e le canzoni siano state scritte in un arco di tempo prolungato, il disco ha una sua bella unitarietà che, non disco sfiori il concepì album, ma almeno richiama a lungo gli stessi temi e le stesse atmosfere. E’ un disco unitario.

Sicuramente perché nei testi c’è sempre questo ritorno di spazi e di cielo e poi anche il suono è compatto perché è stato suonato dall’inizio alla fine dai musicisti.

Un’incisione quasi dal vivo?

Sì, certo. Praticamente dal vivo.

Noite luar è invece l’unico brano già edito. Dalla colonna sonora di Manuale d’amore di Giovanni Veronesi. Come mai hai scelto di metterlo?

Ho deciso di metterlo perché nel corso di questi anni, come ti dicevo prima, ho cercato di ascoltare quello che diceva la gente e Noite Luar era sempre tra le canzoni più richieste. C’era gente che mi scriveva nel forum per sapere come recuperarla e perciò ho pensato che sarebbe stato bello metterla anche nel mio disco nuovo.

Il testo in portoghese è tuo?

E anche gli altri testi in portoghese tradotti per il mercato estero?

Ho letto che vuoi puntare molto sui mercati internazionali per la tua attività …

Sì, perché l’estero mi ha sempre portato fortuna. Ogni volta che ho fatto un viaggio mi muoveva sempre la musica: andare ad ascoltare musica per conoscerne di nuova, sempre più bella, che mi ha stimolato, per cui l’estero lo voglio frequentare sempre di più.

Internazionalizzazione, ma anche regionalismo, perché tu hai anche uno spettacolo di canzoni in dialetto veneto che porti in giro come attività parallela.

La musica veneta con una pianista molto brava che adesso sta lavorando anche a New York e si chiama Deborah Petrina. Con lei riprendiamo delle canzoni di musica popolare veneta, che possono essere del ‘500 come del 1960 e cerchiamo di rielaborarle, non tanto nella melodia, perché non si tratta di reinvenzione o interpretazione jazzistica: io cerco di mantenere la melodia il più possibile simile a quello che ho già sentito, perché la melodia è qualcosa di molto prezioso, soprattutto quando viene tramandata nel tempo. Mentre Deborah sotto fa un lavoro con il pianoforte preparato o con strumenti un po’ particolari come il triangolo, cercando di mischiare un po’ quello che è la tradizione con la strada della ricerca, della musica contemporanea o della classica.

Questo lavoro è destinato a finire su disco?

Sì, a me piacerebbe proprio metterlo su disco. Un po’ anche come se glielo dovessimo alle canzoni che abbiamo scelto di fare, perché alcune sono canzoni che sono state tramandate a voce.

Prima c’è da promuovere Funambola e credo che sarà un lungo tour. Con chi suoni quando vai in giro dal vivo?

Dal vivo suono con i due che mi hanno seguito anche in Indirizzo portoghese che sono Mirco Maistro alla fisarmonica e Lorenzo Pignatari al contrabbasso. Per il momento c’è anche Tony Canto alla chitarra e Franco Barresi alla batteria e poi abbiamo una new entry che è Alfonso Sansimone che è stato una sorpresa bellissima perché dà vita a tanti suoni particolari che ci sono nel cd:lui usa pianoforte e tastiere, che per la prima volta entrano nel repertorio mio dal vivo. Lui è bravissimo e mi sta dando delle bellissime sensazioni.

Per me è tutto, ti auguro un gran successo perché questo è un grande disco.


Sul web
www.patrizialaquidara.it
myspace.com/patrizialaquidara
 
 
Intervista telefonica del 18-04-2007
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