Equilibrismi
sospesi sopra una fune nel cielo
di
Giorgio Maimone
L'appuntamento
con Patrizia Laquidara (purtroppo) non è di persona
perché i nostri tempi non coincidevano. Marco è
sempre più fortunato di me! L'indomani Patrizia presenterà
"Funambola" alla Feltrinelli di Milano. Nel frattempo
il mio rapporto di amore con "Funambola" ormai è
diventato un matrimonio dal tanto che l'ho ascoltato. Le impressioni
di volta in volta si fortificano: un grande album, il migliore
del 2007 per ora. Un album di grande maturità espressiva,
di suoni scintillanti eppure intimi (la magia di un grande
arrangiamento). Potrebbero piacere a Mina o alla Mannoia queste
canzoni, ma le canta e le ha scritte questa ragazza di Catania
(un'altra?) emigrata in Veneto da piccola e ormai naturalizzata.
Ho ascoltato Funambola ed è un disco che mi ha lasciato
esterrefatto, perché è di una bellezza adamantina.
Spicca come un gioiello. Senti, come mai “Funambola”?
Da dove viene questo titolo?
Ci sono
varie cose che hanno contributo a fare scegliere come titolo
“Funambola”, anche coincidenze successe nel periodo
in cui stavo scrivendo i testi. Intanto ho cominciato a scrivere
il testo di una canzone che parla di una persona che dice
“guardo il mondo e penso a testa in giù /
sopra un filo che è sospeso”. Non pensavo
che stavo parlando di un funambolo, ma poi rileggendo il testo,
e soprattutto quella frase che dice “L’equilibrio
è un miracolo” mi sono resa conto che mentre
pensavo di parlare di me stessa, stavo parlando di un funambolo
o una funambola. Nello stesso periodo stavo peraltro leggendo
il trattato di funambolismo di Philippe Petit, che è
il più grande funambolo vivente. Quello che ha collegato
le due torri gemelle con un filo sospeso a oltre cento metri
dal suolo, facendo questo “atto poetico” come
lo chiama lui, camminando sul filo a 412 metri di altezza.
E perciò tutto tornava. Stavo anche leggendo in contemporanea
un altro libro, Neve di Maxence Fermine, che a sua volta parlava
di una funambola e, visto che alla fine mi piaceva anche il
suono della parola, ho deciso di chiamare così il mio
disco. Anche perché, comunque, nei testi che ho scritto
in quel periodo si parla molto di cielo.
Sì,
c’è molta aria, molto cielo nelle tue canzoni.
E anche nelle musiche dire, pure se, in fin dei conti, questo
risultato è da considerarsi casuale.
Sì
sì sì
C’è
molto cielo e c’è molto Brasile dentro, ma non
solo Brasile. Io ho trovato spunti blues e comunque sia una
consapevolezza cantautorale europea. Ci sono quasi tutte le
tue radici dentro.
Sicuramente.
Anche perché la pianta di ogni canzone è una
pianta che si sente che è europea, con un’impostazione
cantautorale, come dicevi tu. La melodia è italiana.
Non si è cercato di andare verso il Brasile. Poi invece,
quando siamo stati a New York, con l’influenza di Arto
Lindsay che comunque di Brasile ne sa molto qualche spezia
si è aggiunta, ma ha cercato proprio per questo di
non metterecene troppa. E suonando a New York la contaminazione
è venuta molto spontanea.
Certo.
L’incontro con Arto è stato casuale?
No. L’ho
a lungo cercato. Ci siamo conosciuti la prima volta a Rio
De Janeiro è stato un po’ strano il posto, perché
ci siamo dati appuntamento in un centro commerciale che era
pienissimo di gente, anche di gente che parlava intorno, però
ci siamo seduti a un tavolino e lui ha avuto la pazienza di
ascoltare i miei lavori, di vedere i miei cd, tutto quello
che stavo facendo. Poi ci siamo incontrati nuovamente a Milano
dopo qualche mese e lì ha deciso di fare questo lavoro?
Come
è stato lavorare con un grande produttore, un grande
artista? Un po’ di soggezione?
Io veramente
ho lavorato a stretto contatto con Patrick Dillett più
che con Arto Lindsay. Arto ci seguiva comunque sempre e soprattutto
ha stabilito come doveva essere il disco, come doveva suonare,
in che direzione doveva andare. Comunque anche Patrick Dillett
è un grande artista. E’ stato bello più
che altro perché da parte mia io mi sono molto affidata,
cosa che difficilmente faccio nella vita e nella mia professione:
faccio molto fatica a fidarmi e ad affidarmi. Invece con lui
ci ho provato e ne sono stata ripagata.
E’
un album dove ci sono tanti amici che ti aiutano, che ti danno
una mano, che hanno scritto per te testi o musiche. Con chi
ti sei trovata in particolare sintonia?
Mi sono
trovata molto bene con Giulio Casale, con cui ho collaborato
per la prima volta e che ha scritto il testo di Senza pelle.
E poi Kaballà, con cui ho avuto un’ottima collaborazione.
Lui è stato molto disponibile a prendere in mano alcune
cose, a rivederle e a integrarle, soprattutto con dei testi
che io avevo già scritto. Poi naturalmente c’è
la collaborazione che prosegue già da un po’
con Tony Canto che è già assodata. E naturalmente
Pacifico, che ho dovuto corteggiare un po’ prima di
farmi affidare questo pezzo “Chiaro e gelido mattino”.
Quando mi è arrivato mi è sembrato subito molto
bello.
Tra
le varie canzoni, l’unica che per me mantiene dei punti
oscuri è “Ziza”, magnifica, magmatica,
sotterranea, ma non immediatamente percettibile. Che storia
racconta? Me la vuoi raccontare tu?
Ziza
in effetti è un po’ difficile da capire, perché
è quella con il maggior contenuto autobiografico. Intanto
Ziza è il mio soprannome. Me l’ha dato Ben Harper
quando ci siamo conosciuti l’anno scorso. Ci siamo scritti
per un po’ e lui mi chiamava Ziza, non so perché
rifosse inventato questo soprannome. Però l’ho
trovato molto simpatico, perché aveva la zeta e mi
dava un ché di giocoso. E così mi sono subito
riconosciuta in questo nomignolo e dato che la canzone è
autobiografica ho pensato di chiamarla Ziza, di modo che ha
il mio nome, ma non tutti lo sanno. E’ autobiografica
perché narra del mio mondo intimo, parla di un voler
nascondersi, di non essere presenti spesso o di far finta
di non esserci, far finta attraversare le pareti: il silenzio
e l’invisibile. Mi riconosco molto perché io
ho spesso la tendenza ad estraniarmi da quello che mi circonda.
C’è
una frase bellissima nella canzone che dice “so che
mi ritroverò costantemente a fare i conti con l’ignobile”
L’ignobile
è la cosa più brutta tra quello che abbiamo
dentro di noi o tra le cose che ci circondano. Perciò
molto spesso dovrò scendere a patti con queste cose,
ma la mia capacità di estraniarmi, di trovare un punto
forte dentro di me, quello mi potrà salvare sempre.
Nella parte parlata, infine, dove dico “io, le notti,
la Cabiria …” ho preso cose che avevo scritto
molto tempo fa, con varie citazioni di frammenti che mi è
piaciuto leggere, vedere, frasi che ho ascoltato oppure frasi
che ricorrono nella mia vita e delle domande che mi stavo
facendo in quel momento della mia vita. E poi c’è
il nome di Ricotta che è il mio cane, da quale non
mi separo mai.
Il
disco è stato finito nel settembre 2006, Indirizzo
portoghese è del 2003: in questi tre anni cosa è
successo nella tua vita? Credi di essere cambiata molto?
Credo
di essere cambiata più negli ultimi mesi che negli
anni precedenti. Sono cambiata nel rapporto con il pubblico,
perché nel frattempo ho fatto diversi concerti live,
sia con Indirizzo portoghese che con altre situazioni e fare
continuamente Indirizzo Portoghese mi ha fatto capire meglio
quale era la direzione verso la quale volevo andare e quello
in cui il pubblico si rinasceva di più e io mi riconoscevo
di più.
Le canzoni sono state scritte in un arco di tempo
breve o nel corso dei 3 anni?
Massì,
nel corso dei tre anni. Alcune erano canzoni che ho scritto
un paio d’anni fa e mai avrei pensato di mettere nel
cd e poi sono ritornate. E altre invece lo ho finite addirittura
in studio di registrazione.
E’
strano perché nonostante vi abbiamo messo mano molte
persone e le canzoni siano state scritte in un arco di tempo
prolungato, il disco ha una sua bella unitarietà che,
non disco sfiori il concepì album, ma almeno richiama
a lungo gli stessi temi e le stesse atmosfere. E’ un
disco unitario.
Sicuramente perché
nei testi c’è sempre questo ritorno di spazi
e di cielo e poi anche il suono è compatto perché
è stato suonato dall’inizio alla fine dai musicisti.
Un’incisione
quasi dal vivo?
Sì, certo.
Praticamente dal vivo.
Noite
luar è invece l’unico brano già edito.
Dalla colonna sonora di Manuale d’amore di Giovanni
Veronesi. Come mai hai scelto di metterlo?
Ho deciso di metterlo
perché nel corso di questi anni, come ti dicevo prima,
ho cercato di ascoltare quello che diceva la gente e Noite
Luar era sempre tra le canzoni più richieste. C’era
gente che mi scriveva nel forum per sapere come recuperarla
e perciò ho pensato che sarebbe stato bello metterla
anche nel mio disco nuovo.
Il
testo in portoghese è tuo?
Sì
E
anche gli altri testi in portoghese tradotti per il mercato
estero?
Sì
Ho
letto che vuoi puntare molto sui mercati internazionali per
la tua attività …
Sì, perché
l’estero mi ha sempre portato fortuna. Ogni volta che
ho fatto un viaggio mi muoveva sempre la musica: andare ad
ascoltare musica per conoscerne di nuova, sempre più
bella, che mi ha stimolato, per cui l’estero lo voglio
frequentare sempre di più.
Internazionalizzazione,
ma anche regionalismo, perché tu hai anche uno spettacolo
di canzoni in dialetto veneto che porti in giro come attività
parallela.
La musica veneta
con una pianista molto brava che adesso sta lavorando anche
a New York e si chiama Deborah Petrina. Con lei riprendiamo
delle canzoni di musica popolare veneta, che possono essere
del ‘500 come del 1960 e cerchiamo di rielaborarle,
non tanto nella melodia, perché non si tratta di reinvenzione
o interpretazione jazzistica: io cerco di mantenere la melodia
il più possibile simile a quello che ho già
sentito, perché la melodia è qualcosa di molto
prezioso, soprattutto quando viene tramandata nel tempo. Mentre
Deborah sotto fa un lavoro con il pianoforte preparato o con
strumenti un po’ particolari come il triangolo, cercando
di mischiare un po’ quello che è la tradizione
con la strada della ricerca, della musica contemporanea o
della classica.
Questo
lavoro è destinato a finire su disco?
Sì, a me
piacerebbe proprio metterlo su disco. Un po’ anche come
se glielo dovessimo alle canzoni che abbiamo scelto di fare,
perché alcune sono canzoni che sono state tramandate
a voce.
Prima
c’è da promuovere Funambola e credo che sarà
un lungo tour. Con chi suoni quando vai in giro dal vivo?
Dal vivo suono
con i due che mi hanno seguito anche in Indirizzo portoghese
che sono Mirco Maistro alla fisarmonica e Lorenzo Pignatari
al contrabbasso. Per il momento c’è anche Tony
Canto alla chitarra e Franco Barresi alla batteria e poi abbiamo
una new entry che è Alfonso Sansimone che è
stato una sorpresa bellissima perché dà vita
a tanti suoni particolari che ci sono nel cd:lui usa pianoforte
e tastiere, che per la prima volta entrano nel repertorio
mio dal vivo. Lui è bravissimo e mi sta dando delle
bellissime sensazioni.
Per
me è tutto, ti auguro un gran successo perché
questo è un grande disco.
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